Le morti bianche sono il doppio degli omicidi: ecco la vera emergenza!

Il governo manda i soldati nelle strade, in nome di un'emergenza sicurezza completamente inventata, con lo scopo di instillare ancor più paura nei cittadini e affossare la democrazia di questo paese. Intanto nei luoghi di lavoro c'è una carneficina. Adesso lo dice anche il Censis.

 

 

 

COMUNICATO STAMPA 

Le morti bianche sono il doppio degli omicidi: ecco la vera emergenza sicurezza!

Il rapporto del Censis pubblicato ieri dà incontestabilmente ragione a tutti coloro che da tempo denunciano, nel silenzio della stragrande maggioranza dei mass media, l'inesistenza della presunta "emergenza sicurezza" che condiziona pesantemente l'opinione pubblica , alimentando paure ed insicurezze dei cittadini. In nome della sicurezza, da un anno a questa parte si susseguono atti politici sempre più inquietanti che condividono i caratteri di inefficacia concreta e demagogia populista: prima le ordinanze contro lavavetri e mendicanti, contro il degrado e per il decoro urbano, che si diffondono in un numero crescente di città italiane insieme alle telecamere che spiano ogni giorno un pezzo in più di territorio pubblico; poi il pacchetto sicurezza del governo, con le norme discriminatorie contro i rom e i migranti e la schedatura tramite impronte digitali dei rom, provvedimenti denunicati dall'Europarlamento come contrari ai principi fondamentali dell'Unione Europea; infine lo spiegamento teatrale di alcune migliaia di militari nelle città italiane, atto puramente propagandistico ma allo stesso tempo gravissimo, in quanto ricorda tempi e luoghi di negazione di democrazia e libertà.
Ora i dati pubblicati dal Censis, non certo un covo di pericolosi sovversivi, fanno piazza pulita della propaganda e ristabiliscono un principio di realtà: dal 1995 al 2006, gli omicidi sono scesi da 1042 a 663 ( una diminuzione del 34.6%) e l'Italia è tra gli stati europei con il minor numero di morti violente. Accanto a questo il dato sulle violenze alle donne, che per la stragrande maggioranza dei casi avvengono ad opera di padri, mariti, amici, fratelli, fidanzati e non di pericolosi immigrati.
Di contro, l'Italia primeggia in Europa per il numero di morti sul lavoro: nel 2007 ben 1170, quasi il doppio del numero di omicidi in Italia nel 2006 e ben al di sopra dei valori di paesi come Germania, Francia, Spagna, Inghilterra.
È questa la vera emergenza sicurezza, che rende l'Italia un paese tutt'altro che civile, in cui ogni giorno 3 persone muoiono sul lavoro, in cui il numero di ispettori che dovrebbero far rispettare le leggi in materia di sicurezza sul lavoro è scandalosamente basso.
Il governo manda i soldati nelle strade, ma forse farebbe meglio a mandarli nei cantieri; la sicurezza dei cittadini si tutela impedendo che muoiano come mosche sui luoghi di lavoro, garantendo servizi che invece sono costantemente tagliati come nell'ultima finanziaria, garantendo effettivamente il diritto alla salute e la qualità della vita. I militari in città servono solo ad alimentare ancor di più un'emergenza sicurezza che non esiste, sfruttando le paure dei cittadini senza però aggredirne realmente la fonte, l'insicurezza sociale sempre più diffusa, usando i migranti, i rom, i "diversi" come capro espiatorio di ogni male.
Il PRC-SE continuerà a lottare insieme ai migranti, ai lavoratori, ai movimenti contro ogni ipotesi di militarizzazione del territorio, contro ogni forma di razzismo e xenofobia, contro lo smantellamento dello stato sociale che rende sempre più insicura la vita di tutte e tutti.

la Segreteria Provinciale del PRC-SE

Biella, 6/8/2008
 
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da Liberazione del 6/8/2008:

«Gran parte dell'impegno politico degli ultimi mesi è stato assorbito dall'obiettivo di garantire la sicurezza dei cittadini rispetto al rischio di subire crimini violenti. Tuttavia, se si amplia il concetto di incolumità personale, e si considerano i rischi maggiori di perdere la vita, risalta in maniera evidente la sfasatura tra pericoli reali e interventi concreti per fronteggiarli. Il luogo di lavoro e la strada mancano ancora di presidi efficaci per garantire la piena sicurezza dei cittadini, e spesso si pensa che perdere la vita in un incidente stradale sia una fatalità. Gli altri Paesi europei dimostrano che non è così».
Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, non è un rappresentante sindacale e nemmeno un giornalista di Liberazione . Lui, deformazione professionale, è abituato a parlare solo per dati, spesso incontestabili.
E quelli rilevati dal Centro studi investimenti sociali resi noti ieri dopo un'analisi delle cifre delle fonti ufficiali, rendono l'idea e mettono paura: «In Italia i morti sul lavoro sono quasi il doppio delle vittime di omicidi».
Infatti, mentre gli omicidi nel nostro Paese continuano a diminuire, passando da 1.042 casi nel 1995 a 818 nel 2000, fino a 663 nel 2006 (meno 36,4% in 11 anni), le morti per motivi di lavoro sono state solo nel 2007 1.170, di cui 609 per infortuni stradali, che tradotto significa il numero dei lavoratori e delle lavoratrici che hanno perso la vita lungo il tragitto casa-lavoro ("in itinere") o in strada durante l'esercizio dell'attività lavorativa. E pure volendo scorporare questi dati, che come suggerisce Confindustria non vengono rilevati in modo omogeneo da tutti i Paesi europei, l'Italia resta di gran lunga il Paese in Europa che fa pagare il dazio più alto alla sua forza lavoro: 918 vittime a fronte delle 678 in Germania, 662 in Spagna, 593 in Francia.
Così, mentre il governo e la maggioranza agitano da mesi lo spauracchio ordine pubblico, gli elementi forniti dal Censis non ammettono interpretazioni e mettono a nudo il carattere propagandistico e demagogico dei provvedimenti stabiliti dall'esecutivo. Infatti, non solo il numero di omicidi in Italia è di gran lunga inferiore a quello delle morti bianche, ma lo è addirittura se raffrontato a quello degli altri membri dell'Unione. Nel 2006, ad esempio, Roma si è dimostrata ben più sicura di molte altre capitali, registrando un numero di morti violente molto più piccolo di quello riscontrato a Londra, Bruxelles, Atene, Madrid e Berlino.
Il neo segretario di Rifondazione Comunista, l'extraparlamentare Paolo Ferrero, interrogato sul provvedimento varato dal governo che ha messo in campo tremila soldati per coadiuvare la polizia nel controllo dell'ordine pubblico, lo aveva del resto suggerito già due giorni fa: «I militari andassero nei cantieri - aveva detto - dove gli operai muoiono». E come lui, ieri è intervenuta anche l'agenzia telematica Peacereporter : «I numeri degli incidenti sul lavoro sono quelli di una guerra, e dunque sarebbe giusto impiegare i militari per una vera missione di pace».
I parà della Folgore a guardia degli immigrati già rinchiusi nel Cpt di Ponte Galeria, però, per adesso non si spostano, e non lo faranno almeno per i prossimi sei mesi.
Eppure, l'emergenza immigrazione sbandierata dalle destre, fa a pugni anche con i numeri snocciolati a luglio dall'Inail. Secondo quanto riferito dall'Istituto nel suo rapporto annuale, infatti, sono proprio i lavoratori stranieri a pagare più di tutti gli altri le conseguenze di una politica interessata zero al dramma quotidiano degli infortuni sul lavoro. Per loro, numeri alla mano, il dato infortunistico è addirittura più eclatante rispetto all'andamento generale del fenomeno: + 8,7% di infortuni denunciati rispetto all'anno precedente.
In Italia, dunque, se anche le stime preliminari dell'Inail per il 2007, elaborate sulla base degli infortuni relativi ai primi dieci mesi dell'anno, indicano in generale una debole tendenza al ribasso degli infortuni sul lavoro, le cifre di quello che può essere definito il vero scandalo della moderna democrazia, restano agghiaccianti e intollerabili per un Paese che preferisce definirsi civile. Basti pensare che, se dall'aprile 2003 (anno di inizio della seconda Guerra del Golfo) all'aprile 2007, i militari della coalizione che hanno perso la vita durante le operazioni belliche sono stati 3.520, i morti sul lavoro in Italia, dal 2003 all'ottobre del 2006, sono stati 5.252. Una vera e propria carneficina consumata nel migliore dei casi nel silenzio ineffabile della politica quasi tutta, ma anche nell'indifferente rassegnazione della società detta civile.
«E' una centrale modernissima, peccato sia costata qualche vita umana», aveva detto il Ministro Claudio Scajola inaugurando qualche giorno fa la nuova centrale di Civitavecchia.
«Le leggi ci sono, ma bisogna farle rispettare», si limitano a dire in coro i politici più attenti, dopo l'approvazione del Testo Unico sulla salute e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. «Le leggi ci sono, ma manca chi le deve fare rispettare», avvertono invece i rappresentanti dei lavoratori, che denunciano: «I tecnici della prevenzione delle Asl sono 1950 in tutta Italia con 5 milioni di aziende da controllare. Se dovessero controllarle tutte, ogni azienda ne riceverebbe uno ogni 33 anni». Come dire: parole. Come quelle del Ministro del Welfare Maurizio Sacconi, che da una parte dà, «vogliamo realizzare iniziative concrete per scalfire lo zoccolo duro delle 1200 morti l'anno», e dall'altra toglie, smantellando tutt'intorno al mondo del lavoro quel poco che resta dello stato sociale e proponendo di spostare l'età pensionabile fino a 62 anni di età, aumentando di fatto i rischi e l'esposizione dei lavoratori. Altre parole. Come quelle dell'ex Ministro Cesare Damiano: «Anche un solo decesso sul lavoro costituisce una tragedia per una comunità aziendale e per un territorio».
Intanto, mentre la politica si parla addosso, le persone muoiono. E anche ieri a Merano due operai di 27 e 28 anni sono rimasti intossicati e gravemente feriti dopo essere caduti in una cisterna di un centro di riciclaggio.
Perché forse è, ancora, terribilmente vero: la disoccupazione è un problema, ma in compenso ci tutela da una morte precoce.