VERONESI E IL NUCLEARE

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La Stampa - Politica

03/03/2011 - INTERVISTA

Veronesi: "Senza nucleare
l’Italia è un Paese morto"

«Spiegherò ai cittadini che si può fare in sicurezza e che non è giusto avere paura»

LUCA UBALDESCHI

Vista con gli occhi di Umberto Veronesi, la questione del ritorno all’atomo è estremamente semplice. «Senza il nucleare l’Italiamuore. Tra 50 anni finirà il petrolio, tra 80-100 il carbone, seguito poi dal gas. Altre fonti non saranno sufficienti a fornire l’energia di cui abbiamo bisogno. Il risultato? Non avremo la luce, non potremo far funzionare i computer o i frigoriferi e neppure far viaggiare i treni. Se lo immagina?». Se questa è la (apocalittica) premessa, non è difficile capire perché il medico più famoso d’Italia, a 85 anni, abbia deciso di abbandonare il Senato e accettare la presidenza dell’Agenzia per la sicurezza nucleare. L’incarico - c’è da scommetterci - porterà con sé una cospicua dote di polemiche, ma Veronesi non ha dubbi che il piano possa realizzarsi senza pericoli per le persone e l’ambiente.

Professore, recenti sondaggi dicono che la maggioranza degli italiani è contraria al nucleare. Non la preoccupa andare controcorrente?
«No, anzi, la conflittualità mi stimola. Sono abituato ad affrontare problemi scabrosi. L’importante è essere sicuro che la scelta che faccio sia moralmente corretta».

E in questo caso lo è?
«Assolutamente sì. Come oncologo conosco molto bene le radiazioni e i modi per proteggere i pazienti.Voglio dedicare i prossimi anni ad assicurare i cittadini che non corrono rischi».

Conoscerà altrettanto bene le contestazioni mosse dal fronte degli oppositori, vero?
«Guardi, ci sono essenzialmente tre problemi per quanto riguarda un reattore nucleare. Primo, garantire la sicurezza nel funzionamento ordinario, obiettivo non difficile. Poi c’è la questione delle scorie e mi creda, nessunomai almondo èmorto per inquinamento da scorie. Infine c’è il fattore umano, la possibilità di poter disporre di personale qualificato è fondamentale. Basta pensare che i due grandi incidenti nelle centrali nucleari hanno avuto una caratteristica comune: sono dipesi da errori umani. E’ stato così a Three Mile Island, negliUsa, come a Cernobil».

Quel nome, Cernobil, a distanza di 25 anni agita ancora negli italiani incubi difficili da scacciare.
«Lo so, ma so anche che Cernobil è qualcosa che non potrà più accadere. Là era tutto sbagliato. C’era una macchina vecchia, pensata per usi militari, non civili. Si decise di fare un esperimento, vera follia in una centrale. E il direttore dell’impianto non era un esperto di nucleare».

Con questo che cosa vuol dire?
«Che poiché il fattore umano è cruciale, la mia attenzione maggiore sarà formare personale adeguato dal punto di vista tecnico, scientifico,ma anche psicologico, perché sappia far fronte alla pressione».

Ma dopo un quarto di secolo lontano dal nucleare, l’Italia ha il bagaglio di conoscenze necessarie?
«
Due aspettimi confortano. In primo luogo che abbiamomantenuto viva la ricerca e centri come quello di Casaccia, vicino a Frosinone, sono all’avanguardia. Poi il fatto che partire da zero ci consente di usare le tecnologie più moderne e il tempo necessario a impiantarle ci daràmodo di creare le competenze per usarle almeglio».

C’è chi sostiene che le tecnologie scelte dall’Italia per le nuove centrali rischino di risultare superate una volta che gli impianti entreranno in funzione. Come risponde? «Ma noi non abbiamo ancora fatto una scelta definitiva, per cui l’obiezione non è fondata. E poi, una centrale è studiata per durare da 60 a 100 anni. Se anche ne trascorrono 10 per averla operativa, certo non potrà essere considerata vecchia».

Torniamo al primo problema che lei ha sollevato, il funzionamento del reattore. Gli ambientalisti ripetono che, pure in condizioni di normalità di un impianto, ci sono piccole dispersioni che creano conseguenzeper la salute. E’ vero?
«E’ un’invenzione assoluta. Non esce nulla. Meglio, esce dell’acqua, che può avere minime quantità di radiazioni, ma molto inferiori anche rispetto al livello di legge. Non crea problemi».

Resta la delicatissima questione delle scorie e di come smaltirle. Quando nel 2003 il governo individuò Scanzano Jonico come sede del deposito nazionale, ci fu una sollevazione popolare. Come pensa di affrontare questo aspetto?
«Il discorso è complesso, provo a ridurlo all’essenziale. Solo una piccola parte delle scorie richiede millenni per depotenziarsi completamente. Vanno messe in sicurezza, e ci sono le soluzioni per farlo, dentro una montagna o a grandi profondità. Al tempo stesso, si stanno affinando tecniche per renderle innocue più in fretta. Soprattutto, l’Italia potrà non avere depositi di scorie pericolose».

In che senso?

«Si tende a individuare un unico sito per Continente. In Europa ci sono tre soluzioni allo studio, tutte fuori dai nostri confini. Ma il punto vero è che le scorie sono sì un problema serio e costoso, ma non devono spaventare. Non si sorprenda se dico che c’è più radioattività in un ospedale. O ancora, lo sa che c’è uranio anche in un bicchier d’acqua? ».

Ma tra un bicchier d’acqua e una centrale esiste una bella differenza. La realtà è che c’è ancora paura fra la gente. Questo non conta?
«Ho trascorso lamia vita a combattere le paure ingiustificate. Soltanto 40 anni fa in Italia c’era ancora il timore a usare il forno amicroonde, per non dire di quando cominciò a girare la storia che il pane congelato in freezer fosse cancerogeno. Assurdità, lo sappiamo. Ma voglio dire che spesso la paura è frutto di ignoranza. Sono timori vaghi, confusi, sui quali giocano alcuni movimenti politici. Il risultato? Non si possono usare gli Ogm, non si fa la Tav, si bloccano i termovalorizzatori... ».

Mentre lei non ha dubbi che la soluzione del nucleare sia sicura.

«Certo.Guardiamo che cosa succede nel mondo. Tutti i Paesi puntano sul nucleare. La Cina ha previsto 120 centrali, l’India 60, la Francia ne ha 62, il programma svizzero ne contempla 8 per 8milioni di abitanti. Capisce? E ancora: scommettono sul nucleare Paesi di cui si parla meno, la Lituania, la Slovacchia, l’Armenia. Ma lo sa che anche inMedio Oriente, nella culla del petrolio, hanno imboccato questa strada? Gli Emirati Arabi hanno ordinato 4 reattori, tanti quanti è previsto ne abbia l’Italia. Possibile che siamo noi i più intelligenti a opporci?».

Le fonti rinnovabili non possono essere un’alternativa?
«Sarebbe bellissimo, ma dobbiamo intenderci. Dalle biomasse può arrivare l’1-2% del fabbisogno italiano, così come dalla geotermica. L’idroelettrica è praticamente già al massimo. L’eolica? Procede, ma abbiamo poco vento e bisogna pensare anche al paesaggio e al turismo. E se comunque, per assurdo, riempissimo la penisola di pale, arriveremmo a coprire il 10-15%. Resta il solare, io sto giusto mettendo un impianto nella mia casa in campagna. Ma è questa la dimensione, va bene per le famiglie, non per una grande fabbrica».

Il nucleare evoca anche scenarimilitari. Lei, che da anni si batte per il disarmo, non si sente un po’ al centro di una contraddizione?
«Per nulla. Lavoro per usare l’atomo a fini di pace. Nel mondo ci sono già oggi 30 mila testate nucleari, non c’entrano con la scelta di realizzare un impianto per produrre energia».

Una centrale agita anche il rischioterrorismo. E’ d’accordo?
«E’ chiaro che servono contromisure, ma non credo sia un pericolo reale pensare a qualcuno che si impossessa di materiale nucleare per costruire una bomba.Troppo difficile».

Lei, pur non essendo iscritto, è stato eletto nelle fila del Pd, un partito contrario al nucleare. Ha provato imbarazzo per questa diversità d’opinione?
«Difendo le mie posizioni di uomo di scienza. So che nel Pd c’è chi ha idee diverse, lo rispetto, ma restiamo distanti. Comunque, non è per questo che mi sono dimesso da senatore».

Così come nel 1987, c’è ancora un referendum che può bloccare il nucleare in Italia. Teme il voto?
«Le rispondo con una battuta. Se dovessero prevalere i contrari, io avrei più tempo libero per dedicarmi alla famiglia e ai miei interessi. Peccato che a rimetterci sarebbe il Paese».