92 ANNI FA

Noi comunisti e i nostri compiti

Per il 92° anniversario della fondazione del PCdI

Care compagne, cari compagni,
riprendiamo oggi qui una bella tradizione dei comunisti e delle comuniste di Roma, festeggiare il 21 gennaio, cioè la nascita del Partito Comunista d’Italia a Livorno nel 1921, come Sezione italiana della Internazionale Comunista; e il compagno professore Tonino Parisella (che con tanta competenza e passione presiede il Museo della Liberazione di Via Tasso), ha voluto ricordarmi che il primo Congresso comunista dopo Livorno si tenne a Roma, nel salone dei Tranvieri in via La Spezia-Via Orvieto, proprio lì dove abitava Edoardo D’Onofrio (un nome caro per i comunisti romani). Di più: leggo in un bel libro edito degli Editori Riuniti, Russia 1932-1934 di Giuliano Pajetta (il quale, allora poco più che sedicenne!, si trovava in esilio dal fascismo a Mosca) che nel 1932 il 21 gennaio le bandiere rosse erano listate a lutto in tutta l’Unione Sovietica, perché quella era la data della scomparsa di Lenin, di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht, e quei tre compagni – così diversi fra loro – erano allora ricordati e onorati dai comunisti tutti insieme, perché tutti erano parte di un solo movimento che era in realtà assai plurale e niente affatto monocolore.

Questo carattere plurale dell’essere comunisti è dunque una tradizione gloriosa, che noi abbiamo cercato di riprendere fondando tutti insieme Rifondazione nel 1990-91. Il nostro Partito vedeva mettersi tutti insieme il grosso delle compagne e dei compagni del PCI che dicevano no alla liquidazione di quel glorioso patrimonio ideale e politico e i compagni e le compagne che provenivano dalle esperienze della nuova sinistra anticapitalista, vecchi e giovani, partigiani e ragazzi e ragazze alla prima esperienza politica, cossuttiani, ingraiani, trotzkisti, luxemburghiani, maoisti, ex anarchici e autonomi, femministe, sindacalisti, ambientalisti, e così via.
Io penso che quella esigenza di unire rifondando sia ancora attualissima, anzi che noi dobbiamo sapere tornare a questa varietà di modi di essere comunisti i quali tutti hanno qualcosa da insegnare e da imparare e che tutti debbono essere ricondotti a sintesi nella linea politica (come vedete questo pluralismo comunista è l’esatto opposto del correntismo che ci ha così spesso distrutto).
Quel coraggioso tentativo della rifondazione del comunismo nel cuore dell’Occidente capitalistico all’inizio degli anni Novanta andava di certo nella direzione della storia, ma doveva nuotare contro la fortissima corrente della cronaca.
Oggi con la conclamata crisi del capitalismo diventa chiara a molti la fondatezza dell’analisi di Marx e la necessità di fuoruscire dal capitalismo, cioè la necessità storica del comunismo (che non vuol dire affatto la sua inevitabilità e meno che mai la sua facilità), ma quelli erano gli anni (ricordate?) del capitalismo trionfante, gli anni in cui tutti (tutti meno noi) giuravano sulla straordinaria capacità del capitalismo di non avere mai più crisi e di superare qualunque crisi, in cui tutti (tutti meno noi) battevano le mani alla magica capacità del capitalismo realizzato – finalmente liberatosi della minaccia sovietica – di garantire al mondo la pace perpetua.
Abbiamo poi visto come è andata a finire: quante guerre, quanti sterminii e quanti massacri, quanta fame e quante distruzioni ambientali, quali e quante crisi irresolvibili proprio la vittoria capitalistica abbia portato con sè. Ma in quegli anni Novanta tutto ciò non era altrettanto chiaro come è chiaro oggi, e i Clinton e i Blair (e i loro tanti servitorelli italiani) finivano – per così dire – il “lavoro sporco” che avevano iniziato i Reagan e le Thatcher. Quel lavoro sporco era, né più né meno, che la disdetta unilaterale da parte capitalistico-borghese del grande compromesso democratico (voglio chiamarlo così) fra le classi e fra i popoli che aveva permesso all’umanità di battere il nazifascismo e di fuoruscire dalla seconda guerra mondiale, un patto che è rimasto scritto nella nostra Costituzione. Il grande compromesso democratico di cui parliamo non era certo il socialismo, ma tuttavia prendeva atto della lotta di classe, le riconosceva il diritto a esistere e a dispiegarsi, e riconosceva alla parte proletaria, in Italia e nel mondo, la possibilità di svolgere il proprio ruolo, di difendere i propri diritti e di conquistarne di nuovi, di avanzare sul terreno sindacale e politico, nella democrazia.
Ora, con la rottura unilaterale del compromesso democratico, il capitalismo non riconosceva più nulla di tutto questo al proletariato, né a livello internazionale (da cui le guerre, ovunque, untuosamente definite “missioni umanitarie”) né a livello nazionale (da cui la subordinazione consociativa oppure l’emarginazione del Sindacato). Questa politica sindacale portava con sé un colossale spostamento di reddito dai salari, dagli stipendi e dalle pensioni verso i profitti e le rendite. Nel 1980 la percentuale di redditi da lavoro dipendente era il 49,6% del Prodotto interno lordo; nel 1993 (con gli accordi “concertativi”) questa percentuale scende al 45,8%, nel 2000 diventerà del 40,5%: 10 punti di PIL in meno! È un colossale spostamento di ricchezza dalle tasche dei lavoratori a quelle dei padroni che continuerà e si accentuerà ininterrottamente anche in seguito. È questa la storica sconfitta materiale della classe operaia su cui si innesca il berlusconismo, perché – ormai lo sappiamo – quando si perde salario e si perdono posti di lavoro si perde anche potere e si perdono diritti.


La rottura del compromesso democratico operata dalla borghesia capitalistica significa in realtà un attacco diretto alla democrazia, perché quelle politiche economiche degli anni Novanta, esattamente come le politiche di Berlusconi ieri e di Monti oggi, non si fanno, non si possono fare, in un quadro di vera democrazia.
E infatti l’attacco più duro ci venne portato sul terreno istituzionale, in quel punto vitalissimo e cruciale che sono le leggi elettorali, cioè le regole del gioco.
Il quadro politico in cui Rifondazione dovette muovere i primi passi è segnato dunque non solo dall’attacco al lavoro e dai “massacri sociali” dei vari Governi Amato e Ciampi e Berlusconi e Dini (quest’ultimo col voto di fiducia anche di un deputato pugliese, che noi con generosità comunista non espellemmo: e sbagliammo), ma appunto anche dall’attacco alla democrazia cioè alla proporzionale (proporzionale significa solo, ricordiamocelo, che il numero dei parlamentari eletti è in proporzione al numero dei voti ricevuti). E fu il PDS di Occhetto, in prima persona, a raccogliere le firme insieme a Segni per abbattere la legge elettorale proporzionale, che è il fondamento necessario (e direi: logico) di tutto l’impianto della nostra democrazia costituzionale; e fu D’Alema a concordare addirittura con Berlusconi un’ipotesi di Repubblica presidenziale e non più parlamentare (che poi Berlusconi, non D’Alema, fece saltare).
Riguardando anche autocriticamente – come è giusto fare – alla nostra storia di Rifondazione, dobbiamo tuttavia riconoscere che la gabbia del sistema bipolare che si cercò di imporre con ogni mezzo al Paese rappresentò per i comunisti un problema oggettivamente gravissimo: al di là dei limiti nostri di direzione politica, che certo ci furono e furono gravi, quel bipolarismo forzoso ci costringeva a oscillare fra l’inefficacia del settarismo e l’inefficacia dell’opportunismo (e anche le 8 scissioni, 8!, che abbiamo subito in venti anni sono state quasi sempre legate a questo problema del bipolarismo coatto).
Oggi, nella stessa logica antiproporzionalista e antidemocratica vanno gli orrendi premi di maggioranza che si sommano agli orrendi sbarramenti nell’orrenda legge elettorale “porcellum”, una legge che il PD si è guardato bene dal modificare perché in realtà gli andava più che bene. Eppure con la proporzionale Berlusconi sarebbe stato addirittura impensabile, e solo i trucchi della legge elettorale gli hanno consegnato una schiacciante maggioranza di seggi pur non avendo egli superato mai il 37,8% dei voti espressi, mentre con quella legge elettorale non hanno neppure un rappresentante i partiti con meno del 4% dei voti alla Camera (che diventa addirittura l’8% al Senato); il 4% dei voti significa, non dimentichiamocelo mai, circa due milioni di voti espressi: e perché mai due milioni di votanti ... meno 1 non debbono avere nessun rappresentante? È una autentica vergogna!


Permettetemi di soffermarmi un attimo su questo punto che noi stessi troppo spesso trascuriamo: e invece si tratta di riuscire a fare oggi una battaglia ideale e politica fra le masse simile, per ampiezza a profondità, a quella che i comunisti (e qualcuno di loro è oggi qui presente) seppero condurre vittoriosamente nel 1953 contro la “Legge truffa” tentata dalla DC. Diciamocelo subito: la “Legge truffa” è rose e fiori rispetto alle leggi elettorali che sono in vigore oggi: e si tratta di un punto davvero cruciale per la democrazia, cioè di decidere se il parlamento è “specchio del paese” – come diceva Togliatti –, cioè è il luogo in cui si può manifestare politicamente il conflitto fra le classi, oppure al contrario se il parlamento è un luogo in cui, a causa di leggi elettorali costruite apposta, le masse popolari non possono mai accedere nella loro autonomia politica, e debbono solo limitarsi a scegliere il meno peggio fra i loro padroni e nemici.
Dunque la differenza è davvero sostanziale: si nega il diritto alla rappresentanza autonoma della classe nelle istituzioni con la stessa protervia reazionaria con cui si nega ai lavoratori e alle lavoratrici di votare i loro contratti di lavoro e di scegliere liberamente le loro rappresentanze sindacali. E il tono usato dai compagni del PD per imporci la cosiddetta desistenza o il cosiddetto voto utile è lo stesso tono che usa Marchionne cogli operai FIAT e con la FIOM.
Vedete, i toni in politica contano, e parlano a volte più delle parole. Pensate a quanto disprezzo e quanto genuino odio di classe c’è in un solo sguardo di Marchionne della Fornero o di Monti, e quanto quelle facce parlano di politica, se solo noi vogliamo guardarle e capirle. Ebbene, nella recente polemica sul cosiddetto “voto utile” è emerso da parte di esponenti del PD (io penso a Letta “nipote” ospite di Bruno Vespa, ma anche a Franceschini o a Bersani) lo stesso tono, il tono sdegnoso e un po’ seccato con cui un padrone si riferisce ai suoi servi e sottoposti quando questi non obbediscono prontamente agli ordini.


Riflettiamoci un momento su questa richiesta del voto utile, che allieterà (è il caso di dirlo) la nostra campagna elettorale. Ma dove mai si è visto un partito che pretende che gli altri non si presentino alle elezioni, così da consentirgli di poter prendere più voti e di vincere? La cosiddetta desistenza è sempre frutto di un accordo politico, cioè essa deve essere in qualche modo sempre reciproca. A noi non si propone invece nessun patto politico e nessuna reciprocità, anzi – si noti bene! - non si chiede neppure, ufficialmente e alla luce del sole, di far convergere gratis i nostri voti, perché una tale richiesta rivolta ai comunisti e alla sinistra democratica scandalizzerebbe alcuni settori borghesi e centristi a cui il PD guarda, e forse farebbe inarcare con un moto di schifo il sopracciglio di Luca, detto Luchino, Cordero di Montezemolo o del cardinal Bertone: non sia mai! No, quello che ci si chiede è semplicemente di sparire, di votare disciplinatamente per il PD, e in silenzio, senza disturbare, da bravi servi ubbidienti, solo perché riconosciamo finalmente la ontologica superiorità del PD, di Vendola (e di Monti e di Casini) e la nostra indegnità di comunisti.
Si è mai vista una pretesa simile in politica, non solo in Italia ma in tutto il mondo?
E allora mi permetto una modesta proposta: perchè Bersani con chiede a Monti di fare lui una bella desistenza per farlo vincere? Non scherzo affatto, è la situazione politica che viviamo che è grottesca, anche se non è affatto divertente: mi permetto di ricordare che il PD, SEL, il PSI e il compagno Tabacci hanno sottoscritto una “Carta di intenti” in cui si impegnano solennemente a fare il Governo, anzi un Governo di legislatura!, con Monti e con Casini. Proprio ieri il PD ha peraltro ribadito che questa alleanza con Monti la farà anche se avesse la maggioranza assoluta nei due rami del Parlamento.
Cito tesualmente da quella “Carta di intenti” (che potete tutti trovare ancora facilmente in rete): “La prossima maggioranza dovrà avere ben chiara questa bussola: nulla senza l’Europa (...)”. Ci si riferisce qui anche all’impegno di rispettare tutti i patti sottoscritti da Berlusconi e da Monti con l’Europa, cioè il folle “fiscal compact” che ci impegna a stangate finanzarie da 40 miliardi l’anno per i prossimi venti anni. E la “Carta di intenti” del PD e di SEL così prosegue: “Qui vive la ragione più profonda che ci spinge a cercare un terreno di collaborazione con il centro liberale. I democratici e i progressisti si impegnano a promuovere un accordo di legislatura con queste forze.” Leggiamola questa “Carta di intenti”, care compagne e cari compagni, e facciamola leggere a tutti e a tutte, a cominciare dai compagni del PD e di SEL! Leggiamola e facciamola leggere, per vedere che cosa c’è e che cosa non c’è in quel programma di Governo del PD e di SEL: non c’è la priorità della pace, non c’è l’impegno a reistaurare l’art. 18, non c’è l’impegno far pagare l’IMU al Vaticano, non c’è la patrimoniale, e così via. Dunque, cari compagni Bersani e Vendola (e non dimentichiamolo mai: caro compagno Tabacci) dato che la maggioranza e il Governo voi li farete comunque con Monti, con Casini, con Montezemolo e col Vaticano, ma allora fatevi votare da Monti, da Casini, da Montezemolo e dal Vaticano! Che c’entriamo noi comunisti?


Dicevo poc’anzi che il tema del voto utile “allieterà” la nostra campagna elettorale: non scherzavo. Credo che questo sia in verità il nostro argomento più forte, su cui far riflettere tanti cittadini e compagni che sono ancora incerti fra votare per noi di Rivoluzione Civile o votare per il futuro Governo Bersani-Monti oppure l’astensione, magari sotto forma di voto a Grillo.
Intanto permettetemi di ricordare un argomento – diciamo così – “tecnico”, che potrebbe interessare anche elettori democratici non vicinissimi a noi: tutti i sondaggi danno la lista “Rivoluzione civile” al 5% alla Camera e all’8-9% al Senato; il quorum è dunque del tutto possibile, anche se non è affatto scontato.
(Pesano su di noi – e lo sappiamo bene – cose come la ristrettezza dei tempi, il simbolo nuovo, l’assenza della nostra falce e martello, la totale mancanza di mezzi finanziari, la persistente censura dei mass media, etc. Noi sappiamo anche bene che questi problemi dovremo risolverli anzitutto noi comunisti e comuniste con la nostra militanza, che oggi come sempre e più di sempre è decisiva, lavorando in ogni luogo di lavoro, in ogni scuola, in ogni bar, in ogni mercato, per orientare, informare, convincere la nostra gente.)
Ebbene – tornando al problema di tecnica elettorale –, è nell’interesse della democrazia italiana in quanto tale, oppure no, che il quorum sia da noi raggiunto? Sarebbe meglio per la democrazia italiana che il quorum fosse da noi mancato, magari per l’assenza dei pochi voti di chi, pur avendoci in simpatia, accettasse però il ricatto di dare il suo voto al Governo PD-Monti? Ricordo che se – Dio non voglia! – noi mancassimo il quorum, le decine e decine di seggi che malauguratamente in tale caso andrebbero persi da noi si distribuirebbero fra Berlusconi-Lega, Monti-Casini-Vaticano, PD-Vendola-Tabacci e Grillo, e nessuno può garantire che la maggioranza di tali seggi non premierebbe la destra o l’estrema destra. C’è qualche democratico che pensa che questa eventualità sarebbe positiva per il paese?
Dunque proprio considerando la “tecnicalità” del pazzesco sistema elettorale vigente, ragionando razionalmente e da veri democratici anche molti elettori di sinistra del PD o di SEL dovrebbero votare per noi, per essere sicuri del nostro quorum, per garantire che milioni di voti non restino privi di rappresentanza, e per ottenere in tal modo che ci sia in Parlamento una opposizione di sinistra, un vincolo a sinistra al Governo Bersani-Monti. Questo “vincolo a sinistra” - è quasi superfluo dirlo - Vendola non è assolutamente in grado di garantirlo, quali che siano i voti che prenderà, anche se è facile prevedere che da qui alle elezioni sarà tutto un crescendo di affermazioni “di sinistra” da parte sua; ma sono solo parole, perché noi sappiamo bene (e Vendola sa bene) che egli ha già sottoscritto con la propria firma un solenne impegno ad obbedire, perinde ac cadaver, a tutto ciò che decideranno a maggioranza i gruppi parlamentari dei partiti della coalizione di Bersani. Credere di vincolare a sinistra il PD votando SEL, che ha già giurato di obbedire al PD: ecco un bell’esempio di voto del tutto inutile!


Ma veniamo alla politica: noi vogliamo che il nostro voto sia utile, lo vogliamo più di ogni altra cosa.
Utile vuol dire che il nostro voto deve mandare in Parlamento qualcuno/a che voti contro la guerra e le spese militari, contro gli F16, e per l’immediato ritorno a casa dei militari italiani che sono oggi in guerra, contro la nostra Costituzione; un voto utile è per qualcuno/a che contrasti le legislazioni che diffondono il precariato e che rivendichi il salario sociale per tutti e tutte; un voto utile è per qualcuno che proponga modi alternativi a quelli delle banche e del capitale per affrontare la crisi provocata delle banche e del capitale, a cominciare da una tassa patrimoniale sui grandi patrimoni, che proprio l’altro ieri anche Bersani (non solo Berlusconi e Monti) ha invece escluso assolutamente; un voto utile è per qualcuno/a che si impegni a reintrodurre l’art. 18 e la legislazione di garanzia del lavoro e a sopprimere le leggi vergogna e antipopolari di Berlusconi e Monti (queste ultime tutte senza eccezione votate in Parlamento anche dal PD assieme a Berlusconi, compresa l’abrogazione dell’art.18); un voto utile è per qualcuno/a che sia contro il TAV e il ponte sullo stretto, e le decine di miliardi di euro che queste follie costano; voto utile è per qualcuno/a che investa nella scuola e nell’Università pubblica, trovando i soldi – per cominciare – dall’azzeramento dei finanziamenti pubblici alle scuole e alle università private; un voto utile è per qualcuno che faccia pagare l’IMU al Vaticano, e con quei 5 miliardi di euro regalati da Monti al Vaticano, abolisca l’IMU sulla prima casa e la renda proporzionale al reddito; un voto utile è per qualcuno/a che si impegni con nettezza per il riconoscimento dei diritti civili delle persone omosessuali, e – da subito – per la cittadinanza agli immigrati e i loro figli; un voto utile è per qualcuno/a che difenda i beni comuni e non tenti mai più di privatizzarli; un voto utile è per qualcuno/a che pratichi la solidarietà internazionalista, quella che il Che Guevara chiamava “la tenerezza fra i popoli”; un voto utile è per qualcuno che difenda sul serio la Repubblica dai nuovi fascisti e dalle masso-mafie e ritenga sacra la Costituzione, invece di stuprarla inserendovi il pareggio di bilancio.
L’elenco delle cose utili, utilissime, necessarie che i nostri parlamentari dovranno fare potrebbe continuare, ma mi fermo qui.
Chiediamo troppo? Perché mai queste idee e questi interessi della nostra classe non dovrebbero avere diritto a essere rappresentati in Parlamento?
Possiamo noi pensare che queste idee e questi interessi sarebbero rappresentati dai candidati dalla coalizione PD- SEL-compagno Tabacci?
Non voglio parlare dei nomi cosiddetti “impresentabili” perché in odore di camorra o di mafia, parlo di candidati PD come il cislino Giorgio Santini, il numero due di Bonanni, che ha sempre avallato e reso possibili le politiche antisindacali di Berlusconi di Marchionne e di Monti, o come Giampaolo Galli, che è addirittura il Direttore Generale della Confindustria! Costui, accettando la candidatura dalle mani di Bersani, ha dichiarato: “ho molto apprezzato il sostegno leale che il PD ha sempre dato al Governo Monti.”
La volta scorsa il PD ha eletto, anche coi voti di tanti bravi compagni ingannati dallo sporco trucco del “voto utile”, i veri Rutelli e Ichino, i radicali e i Colaninno, e i Calearo; ricordate chi era costui? Era un esponente della Confindustria veneta, un padroncino reazionario, presentato come capolista dal PD, che poi passò con Berlusconi per garantirgli la maggioranza che Fini gli aveva tolto.
Vorremmo guardare negli occhi quei compagni che abboccarono nel 2008 al trucco del voto utile e chiedergli: è stato utile quel tuo voto? Abboccheresti oggi di nuovo?


Care compagne, cari compagni,
oggi forse possiamo dircelo: forse il punto massimo della nostra crisi è stato da tutti noi superato ed è alle nostre spalle: noi siamo qui. E siamo in tanti e in tante.
Ma soprattutto i comunisti e le comuniste stanno ovunque nel Paese ci sia un conflitto, una resistenza, una rivendicazione di dignità e di giustizia. Non è bastato escluderci dal Parlamento con leggi elettorali vergogna, non è bastata la censura totale e feroce dei mass media, non è bastata la mancanza di finanziamenti che ci ha costretto a chiudere i nostri giornali e a vendere le nostre sedi, non sono bastati gli abbandoni e i voltafaccia di alcuni dei nostri massimi dirigenti e istituzionali, non sono bastati neppure i tanti errori che abbiamo commesso come Partiti.
No, noi non ci siamo lasciati distruggere! Noi siamo qui.
Non solo abbiamo resistito, quando non era facile resistere e sembrava anzi a molti impossibile, ma abbiamo avviato una politica unitaria di ricomposizione, dei comunisti e della sinistra: e queste cose – resistere, unirci in quanto comunisti e costruire un fronte unitario più ampio – stanno insieme, e non ci sarebbe una cosa senza l’altra.
Così oggi noi celebriamo, almeno a Roma, un momento di unità più alta e più vera fra comunisti, e di questo noi “comunisti della capitale” dobbiamo essere e siamo particolarmente fieri. E il contributo nostro è stato determinante perché si costituisse finalmente, a sinistra di Berlusconi di Monti e del PD, un polo politico unitario non solo fatto di comunisti ma di tutti quanti si vogliono battere contro le politiche reazionarie e antipopolari della Banca Europea, servilmente seguite dalla maggioranza PdL-PD-centristi che ha governato l’Italia negli ultimi quindici mesi. E questo vale anche per la Regione Lazio e per il Comune di Roma.
La battaglia è e sarà durissima, non ci illudiamo: ma è già un miracolo politico essere qui a combatterla, e veramente noi possiamo vincerla!
È, certo, la battaglia per tutti i punti politici e di programma che ho sommariamente richiamato, ma direi che prima di ogni altra cosa è una battaglia per il senso, per dare o ridare senso alle cose della politica. Molte cose noi non perdoneremo mai alla borghesia delinquente che ci ha dominato in questi anni, e anche a chi le ha – come si dice – “retto il cappello”, ma una cosa è davvero imperdonabile: aver massacrato una intera generazione di giovani togliendole diritti, lavoro e speranza, averla convinta che “non c’è niente da fare”, che “tanto, sono tutti uguali”, averla gettata nella depressione e nella disperazione (di cui l’astensionismo è segno evidente), avere persuaso tante e tanti giovani che nel grande blob post-moderno nulla ha più senso.
Non è vero. Non è vero che “sono tutti uguali”. Noi comunisti e comuniste siamo diversi. E soprattutto le cose (a cominciare da quelle della politica) hanno un senso, e le categorie analitiche del marxismo – che noi stiamo finalmente reimparando a usare – ci aiutano moltissimo a farci comprendere il senso vero delle cose. Le cose che viviamo derivano da scelte umane, da scelte di classe, dal fatto che – come diceva Lenin – c’è una classe che le prende e una classe che le dà, e noi comunisti vogliamo che la nostra classe la smetta di prenderle e ricominci un po’ a darle.
Vorrei che di questo fossero convinti il più giovane ragazzo e la più giovane ragazza che sono presenti qui oggi in questa sala, a cui trasmettiamo idealmente il testimone del nostro essere comunisti: ce la faremo, perché davvero noi “veniamo da lontano e andiamo lontano”.

Raul Mordenti

in data:21/01/2013

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