RIFONDAZIONE C'E'

 in coda il documento presentato da Falce e Martello e il documento a firma Bettarello e altri

Documento approvato dal Comitato politico nazionale del 9 e 10 marzo 2013

 

 

Il CPN del PRC esprime il proprio ringraziamento a tutti i compagni e le compagne che si sono impegnati con generosità e passione anche in questa difficilissima campagna elettorale, dimostrando che Rifondazione Comunista rimane una risorsa imprescindibile per la sinistra e la democrazia in Italia, un patrimonio umano e politico il cui valore nessuna soglia di sbarramento antidemocratica può cancellare.

 

Va riconosciuto il fallimento del tentativo di Rivoluzione Civile che non è riuscita a diventare il punto di riferimento per la domanda di cambiamento e la protesta di milioni di elettori. Hanno contribuito alla sconfitta elettorale sicuramente limiti soggettivi nostri e dei nostri interlocutori e alleati. In particolare il ritardo e la conseguente rapidità nel configurare lo stesso progetto ne hanno impedito una costruzione democratica e partecipata. Non va sottovalutato che la collocazione in alternativa al PD per il PRC era una scelta maturata da tempo e unanimemente condivisa all’interno, mentre per gli altri soggetti politici della lista si è trattato di uno sbocco obbligato a causa della chiusura del PD nei loro confronti. La stessa esperienza della Federazione della sinistra si era arenata sul nodo dell’alleanza con il PD. Anche un processo partecipato come quello apertosi con l’appello “Cambiare si può” è giunto troppo tardi per poter determinare un percorso condiviso di costruzione unitaria dal basso. Rivoluzione Civile, che pure avrebbe dovuto coniugare questione morale e questioni sociali ed economiche, non è riuscita a definire e a presentarsi con un profilo e un’identità forti dentro la campagna elettorale in cui sia la crisi economica che il rifiuto di una politica corrotta sono stati temi centrali.

 

L’esito elettorale, da cui esce vincente il movimento di Beppe Grillo, ha determinato un terremoto politico che fotografa una fortissima crisi di legittimazione dell’intero sistema dei partiti come articolatosi durante il ventennio del bipolarismo.
Il segno politico del voto è quello del rifiuto delle politiche di austerità e di bocciatura dei partiti che hanno sostenuto il governo Monti, la cui ombra ha ipotecato e pregiudicato anche la possibilità di affermazione di un centrosinistra che si è candidato a proseguire con più equità quell’impianto rigorista dettato dalla BCE. La stessa parziale tenuta di Berlusconi può essere spiegata con la paura da parte di ampi settori sociali storicamente rappresentati dal centrodestra, in particolare piccole imprese e lavoro autonomo, di diventare il bersaglio di un nuovo governo rigorista.

 

Il risultato di fondo che ci consegna il voto è lo scardinamento del bipolarismo che non possiamo che salutare positivamente ma senza nasconderci possibili involuzioni del quadro. Se la sconfitta dell’ipotesi di un governo Bersani-Monti costituisce un dato positivo, non possiamo escludere il profilarsi di una risposta conservatrice al terremoto in termini di blindatura ulteriore del sistema politico attraverso l’introduzione del doppio turno e del presidenzialismo. La stessa mancata vittoria del PD potrebbe produrre un ulteriore spostamento a destra dell’asse programmatico, mascherato da ringiovanimento della classe dirigente. Dentro questo quadro va rilanciata la nostra battaglia per il proporzionale e l’urgenza di risposte a un’emergenza sociale senza precedenti.

 

L’incalzare e l’approfondirsi della crisi e il malcontento suscitato dalle misure assunte per contrastarla, tanto inique quanto inefficaci, hanno determinato nel contesto italiano un rivolta dell’elettorato che si è espressa però non sul terreno della lotta di classe ma su quello della contrapposizione dei cittadini contro la casta.

 

A determinare questa dilagante percezione di massa non è stata soltanto la indubbia capacità comunicativa e “diversiva” di Grillo, ma le caratteristiche specifiche della situazione italiana a partire da una corruzione sistemica, una questione morale che i partiti non hanno voluto affrontare in termini di autoriforma, un clima di delegittimazione del Parlamento e della politica alimentato dagli stessi media dei “poteri forti”, la pervasività del lungo discorso antipolitico berlusconiano, il disarmo culturale agito dalla stessa sinistra di governo.

 

Ha pesato fortemente l’anomalia italiana di un mancato sviluppo del conflitto sociale di fronte al dispiegarsi di uno stillicidio di provvedimenti antipopolari.

 

Non può essere taciuta la responsabilità in tal senso di sindacati come Cisl e Uil che hanno coperto persino la strategia di Marchionne, ma anche la linea del gruppo dirigente della Cgil (con significative eccezioni a partire dalla Fiom) condizionata dal suo rapporto con un PD che sosteneva il governo Monti. La mancanza di ondate di movimenti di lotta paragonabili a quelle degli altri Paesi europei impone anche a noi e al resto della sinistra antiliberista una riflessione. Al tempo stesso impone la ripresa di una iniziativa del partito in sinergia con i movimenti a partire dalle prossime scadenze delle manifestazioni No Tav e No Muos.

 

Non va mai dimenticato che la nostra sconfitta è l’ultimo capitolo di una sconfitta più grande e storica che è quella del movimento operaio e di processi di atomizzazione sociale di lungo periodo che abbiamo da tempo analizzato e vissuto sulla nostra pelle, ma rispetto ai quali non siamo riusciti a determinare un’inversione di tendenza. Le nostre responsabilità soggettive si iscrivono dentro questo quadro.

 

Negli ultimi cinque anni abbiamo difeso con dignità e orgoglio Rifondazione Comunista. Il progetto intorno al quale ci siamo impegnati contemplava il rilancio del partito e la costruzione dell’unità della sinistra d’alternativa. Non possiamo non constatare che nessuno di questi obiettivi è stato conseguito. Il quadro di difficoltà dentro il quale abbiamo sviluppato la nostra iniziativa politica non ci esime certo da una riflessione senza reticenze sui nostri limiti, errori, insufficienze.

 

Si rende indispensabile aprire una fase di riflessione e confronto per ridefinire il ruolo di Rifondazione Comunista, con la consapevolezza che siamo di fronte alla chiusura del ciclo di Rifondazione per come l’abbiamo conosciuta e che sia ineludibile la necessità di rimetterci in discussione.

 

Ripensare il ruolo del Prc non implica rinunciare al progetto della Rifondazione Comunista ma cercare di individuare le strade per rilanciarlo sul piano dell’elaborazione teorica e programmatica, della pratica sociale, del radicamento, dell’organizzazione, della relazione con tutto ciò che si muove al di fuori di noi.

 

La sconfitta di Rifondazione e del complesso della sinistra radicale, che dentro la più grave crisi del capitalismo non sono riuscite in Italia a diventare punto di riferimento dell’ampio malcontento e del disagio sociale, costringe tutte le culture politiche e le esperienze organizzate a mettersi profondamente in discussione e ad attivare un processo di ricomposizione che non può essere riproposto in forme pattizie che non coinvolgono anzi accentuano l’ostilità e la diffidenza assai diffuse nei confronti dei partiti.

 

La profondità della sconfitta, nonostante la gestione unitaria del partito e una ampia condivisione della linea, impone un percorso di confronto ed elaborazione collettiva fondato sull’ascolto reciproco e sul coinvolgimento dell’intero corpo del partito a partire dal livello territoriale.

 

La riflessione che vogliamo collettiva non va ristretta entro le forme congressuali e della logica delle mozioni, ma sviluppata attraverso seminari tematici, assemblee territoriali, l’utilizzo di internet, coinvolgendo gli iscritti e con l’apertura al contributo di compagni della sinistra e dei movimenti. Sviluppare l’orizzontalità e partire dai contenuti sono due aspetti fondamentali per rendere fecondo e non rituale il percorso.

 

Lo stesso risultato del voto non smentisce l’asse della nostra battaglia politica di questi anni e neanche la collocazione difficile che abbiamo scelto nelle ultime elezioni. Milioni di elettori hanno scelto una proposta politica di rottura netta con il bipolarismo e che non si presentava come moderata. Al di fuori e contro il bipolarismo lo spazio si è allargato enormemente ma non è stata Rivoluzione Civile a occuparlo.

 

Rifondazione Comunista rimane e resta valida l’esigenza di costruire una sinistra antiliberista unita e autonoma dal centro-sinistra, alternativa rispetto a questo sistema politico.

 

Rifondazione Comunista da tempo è cosciente della sua non autosufficienza e quindi della vitale necessità della ricomposizione della sinistra di alternativa come in tutta Europa.

 

I successi recenti delle formazioni aderenti al Partito della Sinistra Europea ci dicono che è possibile uscire dalla marginalità senza rinunciare alla radicalità, alla coerenza sui contenuti e a una posizione di alternativa e di indipendenza rispetto a partiti di centrosinistra che hanno fatto proprie le politiche neoliberiste. Si tratta ora di compiere un salto di qualità dando impulso ad un percorso nuovo e unitario di rilancio e rinnovamento dell’intera sinistra di alternativa.

 

L’esperienza di questi anni e degli ultimi mesi ci induce a ritenere non riproponibili pratiche ‘pattizie’ e quindi a rilanciare la centralità della democrazia e del principio “una testa un voto” come metodo indispensabile per la costruzione di una nuova soggettività politica unitaria della sinistra e dei movimenti sociali antiliberisti, ambientalisti, contro la guerra.

 

L’apertura della discussione a tutti i livelli sull’esito elettorale, sulle prospettive del partito, sulla necessità di un suo rinnovamento (in primo luogo delle pratiche, delle modalità di intervento e dei gruppi dirigenti, anche sul piano generazionale) e sul futuro della sinistra non deve bloccare l’operatività del partito e l’iniziativa politica, a partire dalle prossime elezioni amministrative e da una forte partecipazione alle prossime scadenze di mobilitazione.

 

Al fine di coniugare il più ampio dibattito e il proseguimento dell’attività del partito il CPN individua i seguenti impegni:

 

- Partecipazione alle manifestazioni No ponte il 16 marzo, il 16 marzo a Firenze manifestazione antimafia, la mobilitazione No Tav il 23 marzo e quella No Muos il 30 marzo.
- Convocazione attivi di circolo e di federazione
- Convocazione dell’assemblea nazionale dei segretari di circolo e di federazione
- Convocazione periodica della riunione dei segretari regionali e di federazione
- Convocazione della conferenza programmatica entro il mese di luglio
- Convocazione del congresso straordinario nazionale entro novembre.
- Elezione della commissione politica per la stesura del documento congressuale e avviamento del percorso di approfondimento e dibattito anche attraverso seminari tematici nazionali e territoriali,
- La segreteria nazionale rimane in carica per garantire il proseguimento dell’iniziativa politica del partito e della gestione amministrativa fino al congresso.

 

Documento presentato dalla maggioranza della Commissione votata dal Cpn per il documento finale

 

La votazione del dispositivo finale è avvenuta per parti separate, gli ultimi tre punti sono stati approvati a maggioranza.

 

 

Documento presentato dai compagn* di Falce e Martello.

A questo link il documento approvato

La sconfitta di Rivoluzione civile e di Rifondazione comunista, che ne è stata parte fondante, ha dimensioni senza appello. Non basta quindi un sussulto d’orgoglio o uno sforzo volontaristico per mettersela alle spalle e tracciare una prospettiva credibile. È necessario rimettere in discussione l’intera strategia politica che ha guidato le scelte del gruppo dirigente in questi anni.

Il Cpn ringrazia i compagni e le compagne di Rifondazione Comunista per l’impegno mostrato e sottolinea come il risultato pesantemente negativo non può essere relazionato in alcun modo allo sforzo profuso in campagna elettorale, notevole e generoso come sempre.

 

Le cause della sconfitta sono puramente politiche. Il Cpn accetta pertanto le dimissioni della segreteria nazionale e si riconvoca da qui a un mese per avviare il percorso del congresso straordinario da tenersi entro l’estate del 2013.

 


L’analisi del voto

 


Il dato che ci consegnano le elezioni del 24-25 febbraio è quello di una vera e propria crisi di sistema che non viene raccolta dalle forze della sinistra alternativa come avviene nel resto d’Europa. I governi europei, la Bce e il Fondo monetario, i mass media internazionali chiedono a gran voce un “governo stabile” che difficilmente otterranno.

 

Il Partito democratico, che poche settimane fa pareva sicuro della vittoria, perde tre milioni e mezzo di voti rispetto al 2008 e vince alla camera di un soffio.

 

La sconfitta più bruciante è tuttavia quella di Monti e della sua “lista civica”. Una vera e propria disfatta della grande borghesia che ha sostenuto questa operazione, nella quale Monti fagocita l’Udc che precipita sotto al due per cento e Fli che sparisce dal parlamento.

 

Da più parti si cerca di evidenziare come questo voto sia la riprova dell’ignoranza degli italiani, che votano a destra e per l’antipolitica. Insomma, un “popolo bue” non degno della raffinata cultura del progressista medio. Questo tipo di argomentazione servono solo ad assolvere i gruppi dirigenti della sinistra dalle loro pesanti responsabilità.

 

In verità i dati nudi e crudi ci raccontano ben altro. Il Pdl ha perso nel giro di cinque anni ben sei milioni e mezzo di voti. La Lega nord un milione e 600mila. Ambedue i partiti dimezzano i consensi, mentre l’estrema destra (considerando anche il partito di Storace) passa da un milione a circa 400mila voti.

 

Non c’è stato dunque un recupero della destra, per quanto Berlusconi sia riuscito a fermare il declino che fino a pochi mesi fa sembrava inarrestabile. Le elezioni del 24-25 febbraio le ha perse il centrosinistra. Questo voto è il risultato di 15 mesi di governo tecnico, di “unità nazionale” che ha visto i principali partiti presenti in parlamento votare, compatti e allineati, attacchi micidiali ai diritti e alle condizioni di lavoro della classe operaia, alla sanità, all’istruzione, allo stato sociale. È il frutto degli otto milioni di indigenti, dei due milioni di bambini poveri, di un tasso di disoccupazione che è ormai al 12%, dei quattro milioni di precari che vivono con salari da 800 euro al mese (in media).

 

In realtà quello a cui abbiamo assistito è un voto di massa contro le politiche di austerità, contro l’Europa dei sacrifici, contro la trojka. Si tratta a tutti gli effetti di un voto contro il sistema e in particolare contro il sistema politico. Il Movimento 5 Stelle diventa il primo partito alla camera con quasi 8 milioni e 700mila voti. L’operazione di Grillo è vincente perchè, pur privo di un’alternativa anti-liberista, riesce ad evocarla nella percezione di massa, riproponendo alcune delle rivendicazioni principali dei movimenti di questi anni, dal No Tav in Valsusa (dove Grillo ottiene quasi ovunque oltre il 40%) al No Muos in Sicilia (dove raddoppia i voti rispetto all’ottobre scorso, totalizzando il 30%) alla battaglia per l’acqua pubblica, al reddito di cittadinanza, mischiando il tutto con un programma interclassista contro la “casta” e per la difesa della piccola e media imprenditoria. In questo modo occupa lo spazio lasciato libero a sinistra. La stessa Sel, se anche ottiene un cospicuo drappello di parlamentari (grazie alle distorsioni del porcellum), viene relegata al 3%, molto al di sotto delle aspettative, e paga la propria subalternità a Bersani, emersa con grande chiarezza nel corso della campagna elettorale.

 


Il fallimento di Rivoluzione Civile

 


Gli slogan che hanno caratterizzato Rivoluzione Civile e Ingroia (che oltre al simbolo ha monopolizzato anche gli spazi televisivi a disposizione della lista) erano “il coraggio” e “il cambiamento”, con un giustizialismo strisciante, la quasi totale assenza di riferimenti al mondo del lavoro e alla necessità di un’alternativa al capitalismo. Un problema che non poteva essere risolto con la presenza di qualche operaio in lista, per giunta selezionato dall’alto e senza un confronto con le realtà di lottà e i collettivi di provenienza, come è avvenuto per altro con tutte le candidature della cosiddetta “società civile”.

 

La campagna elettorale del candidato premier è stata ai limiti dell’analfabetismo politico, dapprima alla rincorsa di Grillo quando pareva che il suo movimento vivesse una battuta d’arresto, poi, quando su quel fronte si è alzato un muro invalicabile, proponendo Rivoluzione civile come una brutta copia di Sel, rivendicando l’accordo col Pd, aprendo all’ipotesi di fare il ministro in un governo Bersani, fino all’ineguagliabile “se perdo potrei tornare in Guatemala”.

 

Le responsabilità del gruppo dirigente di Rifondazione Comunista sono gravi. Quindici mesi fa, in coincidenza con le dimissioni di Berlusconi e l’insediamento di Monti, si era aperta l’opportunità di liberarsi delle pastoie che legavano il partito al centrosinistra (la linea del fronte democratico) e di lavorare, sia pure con grave ritardo, alla costruzione di un credibile punto di riferimento a sinistra, fuori e contro l’unità nazionale, che provasse a connettere politicamente il conflitto sociale che carsicamente continuava a manifestarsi nel paese.

 

Quello spazio è stato bruciato. Sei mesi sono stati consumati a fingere di tenere in vita il cadavere della Federazione della sinistra, i successivi sei mesi a improvvisare appelli, assemblee e costruzioni fittizie fino a “Cambiare si può”, nata e morta nel giro di un mese per approdare infine sotto l’ala di Ingroia.

 

Il codismo, l’eterna illusione che mettendosi “in scia” di qualcun altro si possa trovare la scorciatoia per apparire più forti o autorevoli di ciò che effettivamente si è, si è manifestato come vera e propria patologia del gruppo dirigente uscente. Ancora una volta si è dovuto apprendere che sul terreno elettorale i voti non si sommano e che mettendo assieme più debolezze non si ottiene una forza ma una debolezza ancora più grande.

 

Una lista che in definitiva è stata costruita con l’unico proposito di superare lo sbarramento del 4%, non solo non raggiunge l’obiettivo ma si ferma al 2,2% alla Camera (1,8% al Senato), molto al di sotto dei risultati ottenuti dalla Federazione della Sinistra nelle europee del 2009 e nelle amministrative degli anni successivi.

 

Oggi c’è chi parla di disastro e di sconfitta definitiva per la sinistra e di un mondo che va nella direzione sbagliata e si fanno paralleli con la Repubblica di Weimar. Ci opponiamo fermamente a questo tipo di posizioni. Il movimento operaio e la sinistra non sono affatto finiti e non lo saranno. Il conflitto sociale si riproporrà e sarà sempre più all’ordine del giorno. Il problema è soggettivo e va ricercato nelle scelte dei gruppi dirigenti e del nostro partito in particolare.

 

Il Prc deve fare un congresso vero. Non un dibattito improvvisato con qualche attivo in giro per l’Italia, ma un serio percorso di analisi, orientando i propri militanti in primo luogo verso le fabbriche, verso i giovani, per ascoltare e annodare un filo di dialogo che è stato interrotto da un gruppo dirigente che ha completamente abbandonato l’idea di poter radicare il partito nel conflitto di classe per dargli un riferimento e una espressione politica compiuta.

 

La situazione odierna è caratterizzata dalla scomparsa dallo scenario politico di qualsiasi espressione indipendente della classe. La ricerca di soluzioni magiche, il gettarsi a destra e a sinistra nella speranza di un miracolo, l’alternarsi di speranza e disperazione, la ricerca di salvatori, sono le classiche manifestazioni delle classi medie, della piccola borghesia e di un “popolino minuto” stritolato dalla crisi e privato di punti di riferimento.

 

Il riscatto potrà iniziare solo se invece di contemplare a bocca aperta questi fenomeni e di tentare di imitarli, sapremo innalzare la bandiera dell’indipendenza di classe, di una critica del sistema che sia fondata su una autentica visione rivoluzionaria (non “civile”…), di un conflitto che sappia esprimersi su tutti i terreni: sociale, sindacale, politico, ideologico.

 

Oggi la classe dominante si arrovella sulle possibilità di uscita da questa crisi di governabilità. Una crisi organica e strutturale che presto o tardi troverà una risposta nei movimenti di massa anche in Italia così come abbiamo visto in Portogallo, Grecia e Spagna. L’attuale crisi di governabilità non è niente rispetto al panico che proveranno quando a non essere governabili saranno le fabbriche e le piazze di questo paese. È a questo che ci dobbiamo preparare. È da questo che può ripartire la sinistra di classe nel nostro paese, se saprà farsi interprete del cambio epocale che si sta producendo sotto i nostri occhi. Non è questa la fase in cui una linea minimalista e gradualista, totalmente priva di audacia, può pensare di “tirare a campare”.

 

Ciò che di questo partito rimane ancorato a una prospettiva di classe può e deve trovare posto nella battaglia per il rilancio di un movimento che si ponga all’altezza dei compiti che la nuova situazione richiede, perchè la crisi del capitalismo non sbocchi nella barbarie ma nel rovesciamento di un sistema che non è più in grado di soddisfare i bisogni più elementari della popolazione.

 

Il Cpn considera chiusa l’esperienza di Rivoluzione Civile. È necessario lasciarci alle spalle una discussione stantia sui “contenitori” che si è mostrata fallimentare e potenzialmente liquidatoria del partito per affrontare il tema del rilancio della Rifondazione comunista attraverso un confronto sui “contenuti”.

 

La discussione del congresso deve ripartire dalla definizione di un programma anticapitalista, che metta al centro il tema dell’estinzione del debito, delle nazionalizzazioni, del controllo pubblico dell’economia, al fine di impedire che le masse popolari vengano stritolate dalla crisi.

 


Franco Bavila,  Maria Lucia Bisetti, Margherita Colella, Antonio Erpice, Lucia Erpice, Francesco Giliani, Alessandro Giardiello, Mimmo Loffredo, Sonia Previato, Jacopo Renda, Dario Salvetti, Ilic Vezzosi

 

Documento respinto

Il voto ai tempi del Fiscal Compact

Il voto del 25 febbraio evidenzia una sconfitta pesantissima di Rivoluzione Civile e con essa della linea portata avanti dal gruppo dirigente del PRC.
Rivoluzione Civile non si avvicina allo sbarramento pagando non solo il poco tempo a disposizione e gli errori evidenti nella composizione delle liste elettorali, ma soprattutto il profilo debole e ambiguo nei confronti del centrosinistra (espresso dalle dichiarazioni ondeggianti verso il PD di Ingroia e dalla sottovalutazione del segno “negativo” dell’IDV). Insomma mentre, a torto o a ragione, il Movimento 5 Stelle è stato percepito come “fuori” e “contro” i giochi delle alleanze a sostegno del Fiscal Compact e dei vincoli della UE, Rivoluzione Civile è stata percepita “fuori” ma non “contro” tali giochi delle alleanze.
Il voto mostra anche come tutto ciò avvenga in uno scenario di grande instabilità del sistema.
Il PD non sfonda e perde 3 milioni e mezzo di voti ed il 5% rispetto alla pur perdente gestione veltroniana del 2008. Il partito di Monti non occupa gli spazi persi dal berlusconismo a destra e stenta a superare lo sbarramento di coalizione registrando la quasi scomparsa dell’UDC di Casini e l’annichilimento del FLI di Fini. Il polo di Berlusconi perde più di 7 milioni di voti e 17 punti percentuali. Il suo partito-azienda personale oggi si attesta al 21% (aveva il 37%) e la Lega è uscita dimezzata sia in termini di voti che di percentuali. Gli unici dati in crescita netta sono il M5S e in parte l’astensionismo.
I poteri forti che avevano scaricato Berlusconi come interlocutore privilegiato di questa fase, quindi, non hanno trovato altri cavalli di razza capaci di imporre un livello di sostegno forte alle politiche di massacro sociale. L’idea di un governo politico a sostegno delle politiche di austerity della troika, incarnato dall’ipotesi di patto di legislatura PD-Monti, è stato sconfitto e non ha i numeri per governare. Berlusconi, dal canto suo, anche se ha tenuto di fronte al pericolo di scomparsa dallo scenario politico, non ha più la dimensione sufficiente per governare da solo in maniera plebiscitaria come era abituato. Ed è in questo quadro che è cresciuta a dismisura l’ipotesi populista di Grillo che trascina, attraverso la critica alla “casta” politica governante, larghi settori di massa su un terreno di opposizione alle politiche del capitalismo finanziario filo-UE.
Se questo movimento reggerà o si sfalderà, non è dato saperlo oggi. Le sue sorti dipenderanno anche dal grado di mobilitazione sociale contro l’agenda dell’austerità e dall’affacciarsi o meno di un movimento antiliberista e anticapitalista degno di questo nome che occupi parte delle praterie oggi cavalcate solo da Grillo.

Movimento 5 Stelle. La “resistenza” populista ai dogmi dello spread.

A differenza di Rivoluzione Civile, il M5S è un movimento che ha una sua base sociale (seppur interclassista) poiché incarna quelle aspirazioni di resistenza alla crisi e alla feroce competizione del capitalismo che schiaccia quei settori che possiamo definire piccolo-borghesi. Grillo raccoglie sul piano populistico i sentimenti del piccolo imprenditore, del proprietario di bottega o di un’azienda agricola, del lavoratore autonomo, del popolo delle partite IVA, e li fonde con quelli di ampi settori delle nuove generazioni e di lavoro dipendente e precario che si sentono senza rappresentanza, esclusi e oppressi dal dominio della “finanza”. Questo movimento lega questi settori a una idea di uscita dall’euro e dalla crisi di tipo autarchico e alle illusioni della regolamentazione del mercato capitalistico (“tartassato” da tasse e sindacati), dell’economia verde e del ritorno alle piccole produzioni.
Questo movimento cavalca l’ondeggiamento tipico delle posizioni della piccola borghesia che non ci sta ad essere schiacciata dal grande capitale finanziario e dalla feroce concorrenza ed è su questo terreno che incrocia le sensibilità di alcuni movimenti antagonisti che sono sempre stati di fondo astensionisti ma che oggi occhieggiano con alcuni punti della piattaforma grillina. Non è solo per l’appoggio che il M5S ha dato a questi movimenti, ma perchè tocca alcune corde di chi aspira al ritorno alle produzioni agricole precapitalistiche e a forme di autoproduzione, rivendica reddito e pur essendo contro le privatizzazioni vagheggia un affidamento “non statale” dei beni comuni magari al settore no profit (processo che nell’assistenza sociale, ade es., ha già prodotto una privatizzazione strisciante dei servizi e precarizzazione del lavoro).
Tutto questo è tenuto insieme da una critica durissima al sistema dei partiti e alla casta dei governanti di cui si auspica un taglio netto mettendo nello stesso calderone tutti i lavoratori considerati “improduttivi” contrapponendo così il lavoro privato a quello pubblico e le nuove generazioni precarie a quelle dei vecchi lavoratori in pensione.
L’egemonia grillina su questi settori è destinata a durare se questi terreni non vengono recuperati da una proposta anticapitalista credibile che saldi attorno a interessi di classe precisi un’alleanza più vasta di un nuovo blocco sociale antagonista al capitalismo.

Per una Rivoluzione Civile o per una prospettiva anticapitalista?

L’operazione Rivoluzione Civile è stata un evidente fallimento.
L’unica cosa che può essere salvaguardata è quel patrimonio minimo di ripresa di contatto coi settori sociali che ha caratterizzato una campagna elettorale fuori dai grandi mezzi di comunicazione di massa. Molte assemblee hanno visto una partecipazione che andava al di là della base dei partiti che componevano questa coalizione. Rivoluzione Civile è apparsa schiacciata sul nome del magistrato-leader e sul suo profilo legalitario, non ha saputo parlare dei temi della giustizia sociale e del lavoro, e dunque è stata percepita non utile. Chi si poneva l’obiettivo di contrastare i diktat della BCE ha percepito utile Grillo o si è astenuto, chi si illudeva di condizionarli ha votato la coalizione PD-SEL. Pochissimi hanno scelto Rivoluzione Civile e praticamente nessuno il PCL (l’unica falcemartello sulle schede). Il problema quindi non è stato di identità formale e di simboli, ma di profilo politico e di radicamento sociale.
Nonostante alcune candidature apprezzabili provenienti da alcune battaglie civili e sociali, non c’è stato nessun coinvolgimento dei movimenti reali del paese e non è emersa nemmeno una piattaforma sociale con proposte dirompenti sul piano economico o che rompessero coi vincoli europei proponendo in questo profilo il senso del non apparentamento col PD e non nella scelta di quest’ultimo di allearsi con Monti. Tutto è stato calato dall’alto e in questo ha influito anche l’eterogeneità dei gruppi dirigenti che componevano la “cabina di regia” di RC.,insieme ad alcune candidature palesemente indecenti.
E' mancata inoltre la capacità di unire con proposte concrete la critica al ceto politico dominante ed alla separatezza della politica alla questione sociale, lasciando questo campo nelle mani della demagogia grillina.
Pensare di far percepire una proposta chiara all’elettorato con queste contraddizioni in campo è stato un azzardo. Il PRC avrebbe dovuto farsi garante in maniera pubblica e forte di un chiaro profilo anticapitalista e antiliberista proponendosi come interlocutore anche di quei movimenti critici con la proposta di Rivoluzione Civile. Invece le esclusioni di esponenti provenienti dai movimenti e vicini al PRC (come Nicoletta Dosio del NoTav e Vittorio Agnoletto proposto da un’assemblea di centinaia di persone) sono avvenute senza grossi scossoni, mentre si era impegnati a individuare col manuale Cencelli i rappresentanti delle diverse anime della maggioranza da proporre in lista. Questo ha provocato che nel campo comunista ci si è divisi tra chi per lealtà ha votato Rivoluzione Civile, chi l’ha fatto sperando che rimanesse un lumicino di visibilità pubblica per “chi si oppone” da sinistra ai diktat della BCE, chi invece non ha votato o ha preferito dare il voto altrove tanto per 'dare uno scossone'.
Di fronte a tutto questo ed al fatto che De Magistris ha già dichiarato conclusa l’esperienza di Rivoluzione Civile, Di Pietro sta cercando una via d’uscita alla sua scomparsa e nel PdCI stanno riaffacciandosi le pulsioni a tornare nelle braccia del PD, la proposta di continuare l’esperienza di RC è quantomeno surreale.

Voltare pagina, basta navigare a vista!

Dopo il terremoto elettorale del 24-25 febbraio, le dimissioni della segreteria nazionale rappresentano un atto dovuto, ma non possono bastare: occorre. voltare decisamente pagina in termini di linea politica e gruppo dirigente, senza indugiare in atteggiamenti autoconsolatori e continuisti che tendano a giustificare comunque le scelte fatte.
La sconfitta elettorale di Rivoluzione Civile, così come il fallimento della Federazione della Sinistra, non sono il frutto di errori tattici e contingenti degli ultimi mesi, ma l'epilogo di una linea sbagliata, ondivaga e contraddittoria, che ha cancellato la svolta a sinistra decisa a Chianciano nel 2008, dopo la fallimentare esperienza del governo Prodi.Per questo è necessario restituire subito parola e sovranità ai compagni/e con un congresso, i cui tempi e modalità di svolgimento non possono essere “ordinari”, ma pensati e valutati in relazione alla eccezionalità della fase politica ed alla necessità di produrre in tempi utili una forte discontinuità.
Una svolta reale e radicale rispetto al percorso fin qui compiuto, rappresenta un passaggio obbligato per impedire la dissoluzione del patrimonio e dell'esperienza di Rifondazione Comunista, per ciò che essa rappresenta storicamente all'interno del movimento operaio, e di larga parte della sinistra comunista ed anticapitalista nel nostro paese..
E' necessario superare la delusione, la stanchezza e la demotivazione che oggi vivono molti compagni/e, dicendo con chiarezza che le responsabilità delle sconfitte vanno individuate negli errori di linea compiuti dal partito. Facciamo appello alla base, a tutti i militanti dei circoli affinchè riprendano la parola e rilancino dal basso la rifondazione comunista, anche attraverso l'autoconvocazione di assemblee e attivi di tutti gli iscritti e simpatizzanti. E' importante che si sviluppi un confronto reale avviato già in molti circoli e territori all'indomani della sconfitta elettorale, con il coinvolgimento delle realtà sociali e politiche di opposizione..E' necessario avviare il percorso congressuale su basi di chiarezza e modalità effettivamente democratiche, un congresso che rappresenti un momento di crescita collettiva, finalizzato a individuare gli errori di linea per poterli superare, definire un ruolo utile dei comunisti in questa fase e assolvere alla nostra funzione di costruzione dal basso dell'alternativa di sistema.
Riteniamo che Rivoluzione Civile, come del resto la Federazione della Sinistra, siano due esperienze chiuse e finite su cui riflettere con rigore per affrontare su basi diverse una questione centrale, tuttora irrisolta e quanto mai attuale, quella della costruzione di un ampio schieramento sociale e politico anticapitalista, per opporsi e resistere alla gestione capitalistica della crisi. Oggi questo terreno concreto di impegno rappresenta la priorità e l'unica possibilità per rilanciare la rifondazione comunista e ricostruire il partito, fuori da opportunismi, settarismi e scorciatoie elettorali..
Il PRC non deve sciogliersi in generici contenitori di sinistra, ma investire le proprie energie nei conflitti sociali per essere promotore e strumento di un processo nuovo di ricomposizione di forze, oggi disperse, sulla base di una linea di massa per sviluppare l'opposizione di classe e delineare l'alternativa di sistema.
Occorre dare segnali forti di cambiamento. Uscire dall' ambiguità nei rapporti col centrosinistra, rompendo subito le giunte locali col PD, laddove siano incompatibili con un programma di alternativa, riprendere la questione centrale della rifondazione di un sindacalismo di classe, l'impegno nei comitati No Debito, nella Piattaforma contro l'austerità e nelle principali esperienze di lotta, proporre una assemblea nazionale, una sorta di “stati generali” dei movimenti di opposizione. Questi sono alcuni passaggi concreti per voltare pagina e fare un congresso vero che ci consenta di superare le attuali difficoltà e rimotivare la militanza di tanti compagni/e.

Claudio Bettarello, Sandro Targetti e altri

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