regionali

    SULLE ELEZIONI REGIONALI – NOTA DI MARCO REVELLI

2 GIUGNO 2014
 
Voglio ringraziare tutte le compagne e i compagni che si sono spesi con generosità in questa campagna elettorale, per far vivere lo spirito de L’Altra Europa e soprattutto per costruire il nostro futuro; e aggiungere qualche riflessione personale, a caldo, dopo una notte in bianco.

A me sembra che il dato politicamente più rilevante di queste elezioni regionali sia la clamorosa battuta d’arresto del progetto renziano. E per noi che avevamo indicato da sempre nel renzismo la più immediata minaccia all’assetto democratico non è poco.

La perdita della Liguria da parte del Pd è per Renzi una sconfitta strategica. Da sola vale tutta la posta in gioco in questa tornata elettorale. La conquista risicata dellaCampania è un boccone avvelenato che sarebbe stato per lui meglio perdere che trovare, per le grane politico-procedurali che gli varrà. L’”asfaltatura” della sua candidata-simbolo Moretti in Veneto, con un risultato umiliante, conta più di una “regione persa”. L’emorragia di voti del PD (in particolare nelle vecchie roccaforti dell’Italia centrale), ritornato al “recinto bersaniano” del 2013, come dicono in molti, e anzi al di sotto di quel livello in valori assoluti, rompe il mito fondatore del “Vittorioso”. E mostra come l’ascesa di Renzi abbia coinciso con la tendenziale dissoluzione del partito di cui è diventato Segretario.

Il suo populismo dall’alto riceve un vulnus da cui gli sarà difficile rimontare. E la cosa non può che rallegrarci. Così come non può non turbarci, invece, e non poco, l’emergere di una destra a traino leghista, in cui l’egemonia delle retoriche alla Salvini ci dice quale disastro non solo politico, ma culturale e antropologico si prepari quando l’assenza di una sinistra autentica, forte e credibile, apre la strada alla penetrazione sociale di un populismo rozzo e feroce come quello serpeggiante oggi in molti paesi europei sul versante dell’estrema destra.

Quanto a noi, ci sarà molto da riflettere, sia sulle (poche) luci che sulle (maggiori) ombre. Come era prevedibile siamo andati in modo decoroso là dove si è costruito bene uno schieramento unitario. In Toscana, con il nostro Fattori al 6 e mezzo. E, con quasi il 10 per cento di Pastorino, in Liguria, dove personalmente non finirò mai di ringraziare il cielo per essere stati “della partita”: ci ha permesso di mettere anche la nostra faccia in quella che si è rivelata la madre di tutte le sfide in questa tornata e di evitare il rischio maggiore in un’elezione: l’irrilevanza. Siamo andati male, invece (noi, ma non solo noi: tutte le “sinistre”), là dove ci si è presentati divisi (in Umbria, in Veneto, in Puglia…). Nelle Marche abbiamo sfiorato d’un soffio (per 4 centesimi di punto percentuale) il risultato utile, ed è un peccato perché lì si andava uniti, anche se forse in modo non ancora abbastanza innovativo da vincere la diffidenza verso vecchie esperienze. La Campania è un caso a parte, su cui dovremo discutere molto.

In generale, comunque, bisogna dire chiaramente che siamo ancora molto, ma molto distanti dalle necessità (e dalle emergenze) del momento. Gli stessi risultati “decorosi” sono una condizione necessaria per dirci che si può andare avanti, ma non certo sufficiente per dirci veramente “in campo”. La stessa unità (acerba, parziale, difficile) non può essere un punto di arrivo, ma solo una stazione di partenza. Se non ci sarà uno scatto per sfondare il muro della sfiducia e del disprezzo resteremo, nonostante tutto, insignificanti. O comunque inadeguati a fronteggiare ciò che viene avanti, dal renzismo di vendetta di un PD comunque irrecuperabile, al populismo feroce di una destra con il baricentro ormai nettamente spostato su Salvini, forse l’unico vincitore  di questa tornata insieme al Movimento 5 Stelle che pur dichiarandosi “non partito” resta il primo partito forte in modo omogeneo in tutto il Paese.

Deve farci pensare il fatto che anche dove si è andati discretamente, il volume di consensi in valori assoluti è comunque inferiore a quello di un anno fa con la lista “Tsipras”: Tommaso Fattori, per esempio, ha fatto il suo 6 e mezzo per cento con 85.826 voti mentre la lista Tsipras un anno fa aveva fatto il 5,1% con 97.260 voti (11mila in più). Pastorino ha preso in Liguria quasi 62.000 voti (61.924 per la precisione), ma la lista principale che lo sosteneva, Rete a sinistra (quella più vicina per composizione, valori e contenuti all’Altra Europa con Tsipras di un anno fa) ha raccolto 22.083 voti (pari al 4,09%), circa 13.000 in meno di quelli ottenuti da noi nel ’14 (35.102).

Certo, il PD ha perduto molto di più, in entrambe le regioni, sia in valori assoluti che in percentuale. In Toscana, Rossi vince ma con oltre 400mila voti in meno per il suo partito rispetto alle europee di un anno fa (614.406 voti oggi, pari al 46%, rispetto a 1.069.179 di allora, pari al 56%: esattamente 10 punti percentuali in meno!!!). In Liguria Paita perde con un PD più che dimezzato in valori assoluti (138.190 voti oggi contro i 323.728 allora, 25,6% contro 41,7!!!!). Segno, appunto, del drammatico calo dei partecipanti al voto, crollati di 10 punti percentuali in Liguria (dal 60,7% al 50,7%) e di quali 18 punti in Toscana (dal 66,7% del 2014 al 48,3% di ieri). E misura di quanto sia grande, e impetuoso, il fiume di voti in uscita dal “contenitore PD”, e più in generale dai diversi “contenitori politici” tradizionali, che tuttavia noi non siamo in grado se non in misura minima e solo in casi particolari di intercettare.

Se non impareremo presto a farlo, dentro un processo non solitario (abbiamo visto a quali percentuali irrisorie porti la solitudine) ma nemmeno rassegnato all’esistente (alle sue forme e ai suoi linguaggi obsoleti) avremo davvero fallito. Il voto Ligure una cosa, importante, l’ha detta: che il vecchio trucco del voto utile non attacca più. Che c’è una parte non piccola di elettorato (anche tradizionale) di sinistra che, di fronte a ciò che è diventato il Partito Democratico, non si fa più incantare né minacciare (e il bombardamento mediatico in queste settimane in questa direzione è stato ossessivo). Sta fuori e non intende ritornare indietro (credo che non uno dei voti dati a Pastorino, anche da ex elettori PD, sarebbe andato alla Paita se Pastorino non si fosse candidato: sarebbero andati o nell’astensione o ai 5 Stelle). E’, per certi aspetti, un fatto storico: una circostanza inedita che ci dovrebbe far riflettere su quanto ampio sia oggi il campo delle possibilità, se solo sapremo insieme unire e innovare

 

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