ricordando il "Che". In edicola con Liberazione

«Un viaggio ci aprì gli occhi e ci spinse a lottare contro ogni ingiustizia»

Alberto Granado compagno di viaggio del "Che" racconta l'esperienza e l'uomo che gli segnarono la vita e che lo portarono a Cuba nel 1961, dove ancora vive

di Sara Picardo da www.liberazione.it

Era il 1952. Due curiosi ragazzi di buona famiglia, Alberto ed Ernesto, si apprestano ad intraprendere un viaggio in moto attraverso l'America Latina. Dopo questa esperienza nessuno dei due sarà più lo stesso: il primo si fermerà, lungo il cammino, a curare i malati in un lebbrosaio; l'altro si imbarcherà, alcuni anni dopo, su una nave che lo condurrà verso una guerra di liberazione e, infine, verso la vittoria della Rivoluzione Cubana. Abbiamo incontrato Alberto Granado, il compagno di quel primo viaggio del futuro Comandante Che Guevara, alcune settimane fa in Italia, durante una conferenza organizzata dall'Arci Legnago e dall'Associazione Italia-Cuba di Verona.
Nato nel 1922, dal 1961 Granado si è trasferito a Cuba, dove ha fondato la Scuola di medicina di Santiago, diventando il padre della biotecnologia cubana e sperimentando oltre 100 nuovi medicamenti. «E a pensare - ricorda Alberto - che uno dei motivi di litigio più forti tra me ed Ernesto, durante il viaggio, era che io volevo sempre spostarmi, mentre lui amava fermarsi di più in un posto. Invece, alla fine, io sono restato a curare i malati di lebbra, e lui è ripartito, andando incontro a una serie di imprevisti che lo avrebbero condotto in Messico e poi a imbarcarsi sul Granma. Lo lasciai il 26 luglio del 1952 e lo rividi a Cuba il 24 luglio del 1960. Mi aveva spedito una cartolina dove mi invita a venire dicendo: "Cosa fai? Sei diventato un borghese sedentario? Qui c'è un Paese tutto da costruire. Vieni qui!". Io insegnavo a Caracas come assistente universitario, ero sposato da poco e avevo un figlio piccolo. Mi domandavo spesso, però, cosa ci facevo lì, quando a mille chilometri c'era una rivoluzione. Appena ricevuta la lettera partii subito, e dopo aver ascoltato il discorso di Fidel sulla Sierra, il 26 di luglio, decisi di fermarmi sull'isola».

E di quel primo viaggio, quale sono i momenti che riguardano te e il Che , che ricordi con maggior forza?
Sicuramente uno dei momenti più tristi, quando la nostra moto, La poderosa , morì. Ancora lo ricordo con dolore. E poi quando Ernesto attraversò l'Amazzona nel tardo pomeriggio. Che paura… volevo impedirglielo, ma devo dire che, se anche io ero il più grande, quello che comandava, Il jefe , era lui. E a pensare che prima di allora io mi stavo apprestando a prendere un posto da medico, con la prospettiva di una vita tranquilla, e pensavo che lui sarebbe diventato un dirigente. In realtà Ernesto era un uomo sarcastico e molto intelligente, e già si stavo preparando a studiare e mettere in pratica i principi della filosofia marxista. Altro che dirigente…

Quello che avete visto durante il viaggio si sa: fame, povertà, disuguaglianza sociale. Ma perché a un certo punto vi siete separati?
Il nostro era un viaggio programmato da tempo, ma c'erano alcune cose che non potevano essere programmate. Prima di partire Celia, la mamma di Ernesto, mi disse: "Mi raccomando una cosa Alberto, tu che sei il più grande: che Ernesto torni per diventare dottore, ché un titolo non è mai male". Quindi mi ha creato un obbligo che non era previsto del progetto. Una volta arrivati a Caracas scoprimmo che un amico di uno zio di Ernesto aveva un aereo con cui trasportava cavalli da Buenos Aires a Caracas a Miami e viceversa. Avevamo già esaurito gran parte del nostro progetto, così gli dissi: "Ascolta Fuser (il soprannome del Che, abbreviazione de " El furibondo de la Sierna ", perché quando giocava a Rugby era molto irruento, furibondo appunto) è ora che torni a casa. Ti laurei e poi torni. Io starò qui ad aspettarti.

E poi, cosa fece Fuser?
L'aereo si ruppe una volta atterrato in America e lui rimase due mesi fermo a Miami prima che fosse riparato. Molte cose nella vita di Ernesto sono del tutto casuali. Quella era l'epoca della rielezione di Truman. Subito Ernesto, con la sua naturale intelligenza, si accorse di come erano fraudolente le elezioni del presidente degli Stati Uniti. In una lettera mi scrisse: "Bisogna vedere quello che è la democrazia americana. Sono tutti degli imbroglioni e dei miliardari". Credo che è lì che si rafforzarono le sue convinzioni politiche. Tornò in Argentina e si laureò come medico in un anno. Nell'aprile del 53, viaggiò con destinazione Caracas per raggiungermi al lebbrosario. Invece di un mese però, ci mise furono sette anni e fui io che lo raggiunsi a Cuba.

Quando poi vi siete rivisti, nel 1961, Ernesto era già il comandante Guevara e il ministro dell'Industria Cubana. Cosa avete ricordato di quei momenti del vostro viaggio?
In realtà molto poco, sia del nostro viaggio insieme che della guerriglia nella Sierra Maestra, ma tanto del futuro e del centro medico che dovevamo costruire a Santiago. Cuba stava scontando in quel periodo la fuga di molti medici verso la Florida. Dopo il primo istituto di medicina che fondammo io e il Che ne sorsero altri 14 e collaborai anche alla creazione dell'istituto di genetica e biotecnologia. Ricordo che Ernesto era un vulcano, studiava sempre e guardava avanti. Quando arrivai all'ingresso del Ministero, la guardia mi disse di attendere perché il Che stava finendo i compiti di geometria. La prima volta che misi piede a Cuba di università quasi non ce ne erano. Ora l'isola ha una delle migliori e più capillari istruzioni al mondo. Gratuita e garantita per tutti.

Una curiosità. Il film i diari della motocicletta corrisponde tutto a realtà?

Sì, anche se una cosa non vera c'è: io e Fuser non abbiamo mai litigato per i soldi. Quello è un episodio che hanno messo per rendere il film più interessante. Di solito si litigava sui tempi del viaggio e di permanenza nei luoghi. Questo però non c'è nel film.

Cosa è rimasto del Che, oggi, in Sud America e come pensi il post-Fidel a Cuba?
Dall'8 ottobre del 1967 il suo esempio non è mai venuto meno e ha contribuito al risveglio dell'intera America Latina. Per quanto riguarda la situazione odierna, non sono preoccupato per il futuro, vicino a Fidel ci sono molte persone preparate, come Raul… e poi la Rivoluzione ha resistito al blocco americano e anche a quello europeo per decenni. Sono convinto che continuerà così.

Un ultima domanda: e dell'Italia, che impressione hai avuto?
Tanti anni fa, dopo quel viaggio con Ernesto, venni a Roma per approfondire i miei studi. La prima cosa che feci fu affittare una vespa e ci arrivai fino a Reggio Calabria. Mi piaceva l'Italia e quei piccoli paesini, ma vedevo un popolazione che taceva di fronte all'ingiustizia. Adesso invece ogni volta che ritorno mi emoziono sempre di più, perché vedo svegliarsi sempre di più un popolo che credevo addormentato. È una fortuna che mi sono sbagliato: i giovani che ho visto 12 anni fa, quando ritornai in Italia dopo quella prima visita, ora sono degli uomini adulti che aiutano Cuba e verso cui mi sento in debito. Perché in fondo la mia vita è girata tutta intorno a tre punti: la mia amicizia con il Che, da quando avevo 14 anni a oggi; il nostro viaggio in motocicletta (e con altri mezzi) attraverso l'America Latina, che ci ha aperto gli occhi; e, infine, la mia adesione alla rivoluzione cubana. E chiunque aiuta e sostiene questa, è una persona verso cui mi sento in debito.


26/10/2007