Quando, a partire dagli anni Sessanta, si diffuse in
tutta Europa e poi anche in Giappone come negli Stati Uniti il ciclone
Michel Foucault, nessuno avrebbe potuto prevedere la lungimiranza delle
sue analisi sul funzionamento del potere, sulla sessualità, sulla
follia e sul sistema penale. Disdegnato dal Partito comunista francese
e dal Partito socialista dell'epoca per aver detto più volte che il
disegno del potere e la negazione delle libertà era pressocchè
identico, sia all'interno delle società capitalistiche che all'interno
delle società socialiste (all'epoca il suo unico riferimento era
ovviamente l'Urss) - pur prestando sempre attenzione ai rapporti di
produzione e alla loro innegabile funzione nella definizione del potere
e nei processi di sfruttamento -, questa "strana" ed inquieta figura
non cessa mai di essere attuale.
Come fare, infatti, per leggere i
dispositivi di sicurezza del presente, la persecuzione degli
omosessuali e delle lesbiche, l'infamia della sostituzione del lessico
dei diritti con quello della pena e dei processi di criminalizzazione
di tutte le figure sociali che dissentono dalla norma, il ritorno del
sette in condotta, la crisi delle Università e dei saperi liberi senza
i suoi testi più importanti (da La Storia della follia a Sorvegliare e
Punire , da Le parole e le cose all' Archeologia del sapere sino alla
Volontà di sapere etc.)? Foucault amava dire che il ruolo
dell'intellettuale non è quello di dare indicazioni di voto, ma di
svelare il funzionamento del potere, le forme di limitazione delle
libertà individuali e collettive per apportare un suo contributo
specifico alla politica, un contributo teorico-pratico.
L'intellettuale, diceva Foucault, se davvero vuole porsi l'obiettivo di
orientare alcune scelte politiche deve farlo sempre e solo a partire
dalla volontà dei soggetti e non a partire dalle strategie messe in
atto dai partiti per creare egemonia sui soggetti. Deve analizzare e
pensare la società, deve porsi e porre delle domande, deve partire dai
soggetti o dalle «soggettività non assoggettate» - come amava definirle
lui -, deve indagare a partire dai margini e, contemporaneamente, a
partire dalle istituzioni per svelarne le nefandezze. Inoltre questo
lavoro avrebbe dovuto anche inventare delle pratiche quotidiane in
grado di produrre movimenti, lotte, conflitti contro ogni forma di
dominio.
E infatti Foucault non è stato affatto "solo" un grande
accademico, anzi. Le sue ricerche storiche, genealogiche erano sempre
intervallate da innumerevoli micro interventi sparsi su riviste e
giornali (prevalentemente Le Nouvel Observateur e Il Corriere della
sera ), da innumerevoli interviste, da due esperienze politiche
militanti interessantissime, una più nota con il Gip (Gruppo di
informazione sulle prigioni) e una meno nota con il Gis (Gruppo di
informazione sulla sanità). Quest'ultimo gruppo nacque in Francia nel
1972 ad opera di alcuni medici impegnati nella lotta per la
depenalizzazione dell'aborto accanto al Movimento di liberazione delle
donne. L'11 ottobre dello stesso anno, infatti, Marie Claire, una
ragazza di 17 anni compariva dinanzi al tribunale dei minori di Bobigny
per aver abortito, un delitto allora punito dall'articolo 317 del
Codice penale francese. Il processo, che si doveva svolgere a porte
chiuse a causa della minore età dell'imputata divenne, invece, un
momento pubblico accompagnato da un manifesto del Movimento delle donne
attraverso cui in 400 dichiaravano di aver abortito e da un manuale
pratico pubblicato dal Gis sulla demedicalizzazione dell'aborto e sulla
necessità di diffondere il metodo dell'aspirazione (meglio noto come
"metodo Karman"). Parallelamente, invece, Simone de Beauvoir e
l'associazione Choisir redigevano un progetto di Legge che legalizzava
l'aborto riconoscendo solo ed esclusivamente alla donna il diritto di
scegliere. Foucault fu convocato dinanzi alla polizia giudiziaria e per
denunciare l'evento scrisse un intervento ("Convocati alla polizia
giudiziaria") assieme ad altri due membri del Gis su Le Nouvel
Observateur . Questo testo, insieme a moltissimi altri interventi sulla
sessualità, sui movimenti omosessuali, sulla follia, sul diritto
penale, sul potere e il ruolo degli intellettuali, sull'Urss e sulle
prigioni, costituiscono la micro rete di un lavoro "disperso e
mutevole" che prende corpo nei famosi Dits et écrits pubblicati per
intero in Francia e in modo frammentato in Italia, un po' da
Feltrinelli negli Archivi Foucault e ora anche da Marietti in un bel
volume curato da Mauro Bertani e Valeria Zini (Michel Foucault,
Discipline, Poteri, Verità. Detti e scritti 1970-1984 , pp. 263, euro
25).
In quest'ultimo volume appena edito, infatti, che contiene
anche il breve scritto "Convocati alla polizia giudiziaria" è possibile
rintracciare almeno tre tra le molteplici linee tracciate da Foucault
lungo l'arco di una vita appassionata ed intensa di cui vale la pena
discutere sulle pagine di Liberazione : la sessualità, il diritto
penale, il potere. Per quest'ultimo Foucault non ha mai inteso la
classica teoria del potere che fa riferimento solo alla forma Stato
bensì l'insieme delle relazioni che permettono agli uomini di
governarsi all'interno della famiglia, della scuola etc. A suo modo per
Foucault anche le relazioni d'amore sono delle relazioni di potere: «I
genitori governano i figli, l'amata governa il suo amante, il
professore governa gli alunni etc.». Tali micro società consentono al
potere di attraversare qualsiasi relazione e qualsiasi individuo, il
potere stesso è una relazione. La teoria classica del potere, invece,
pensa di poter trasferire sulla famiglia, sulla sessualità, sulle
condotte scolastiche etc. il proprio potere anche se la storia, dalla
Grecia antica in poi, ci dice tutt'altro. Ci dice, infatti, che la
nascita dello Stato ha utilizzato queste forme di potere già esistenti
tra gli individui per poi istituzionalizzarle. Di conseguenza lo Stato
non può che avere una matrice primigenia patriarcale, non può che
stabilire ciò che è bene e ciò che è male, non può che intervenire
sistematicamente, per il tramite delle sue istituzioni, sulle condotte
degli individui. Accade nelle democrazie contemporanee così come è
avvenuto durante il fascismo. Dice Foucault ne "L'intellettuale e i
poteri" -intervista fattagli dalla Revue nouvelle nel 1984 - «I padri
di famiglia tedeschi non erano fascisti nel 1930, ma, perché il
fascismo potesse attecchire, bisognava anche prestare attenzione, tra
molte altre condizioni -non dico che fossero le sole - alle relazioni
tra gli individui, al modo in cui le famiglie erano costituite, alla
forma in cui veniva impartito l'insegnamento, a un certo numero di
presupposti di questo genere». Uno schema che potrebbe tranquillamente
essere applicato oggi per riuscire a dirci, in tutta franchezza, che la
forza di Berlusconi non consiste nella sua forma Stato ma
nell'antropologia berlusconiana e cioè in un sistema di vacuo pensiero
che attraverso le tv ha permeato la società mutandone desideri e
bisogni nel profondo.
L'altro nodo centrale contenuto in questo
volume appena edito da Marietti attraversa la critica del diritto
penale e del sistema delle prigioni. Un sistema contenitivo che oggi
più di ieri permea l'intera società a causa dei dispositivi di
sicurezza e a causa di nuovi universi concentrazionari come i Cpt. La
nascita dell'uso della pena, della prigione e di tutti gli universi
concentrazionari lungi dall'essere la risposta più avanzata della
razionalità politica costituiscono, per Foucault, l'evoluzione
dell'idea di vendetta, una sorta di faida "buona", senza omicidio.
Perché ciò che sottende tutte le geografie dei codici penali non è
tanto il diritto quanto un'idea tattica e strategica di un uso
funzionale della pena? Un uso in grado di riuscire a riprodurre un'idea
di società che mette al bando ciò che essa stessa produce, come, per
esempio, la propensione a delinquere? Il filosofo francese, infatti, a
più riprese dichiara in molti scritti contenuti nel volume di avere
cominciato a studiare il diritto penale, sia durante la sua esperienza
nel Gip, sia durante la stesura di Sorvegliare e Punire , salvo essersi
immediatamente accorto della necessità di interpretarlo solo ed
esclusivamente come una tattica, come una strategia messa a punto per
esercitare delle relazioni di potere per il tramite delle prigioni. E
allora perché, si chiedeva, non riflettere su altre esperienze di
erogazione delle pene, come, per esempio, il sistema delle ammende
adottato in Svezia? Perché continuare a pensare la razionalità politica
solo attraverso il tramite delle strutture disciplinari e contenitive?
Oggi la disciplina ha lasciato ampio spazio ad un'ideologia del
controllo più diffusa e capillare, alla sicurezza, come abbiamo più
volte scritto anche su queste colonne che, però, si pone in linea di
continuità con la nascita delle prigioni. Tanto è vero che l'esito più
grossolano di queste politiche diviene visibile attraverso i dati
raccapriccianti concernenti il sovraffollamento delle carceri.
E
infine la sessualità, o meglio il rapporto che intercorre tra sesso,
sessualità ed identità. In alcune interviste rilasciate ad alcune
riviste gay Foucault sottolinea come il grande tema non sia quello del
rivendicare un'identità omosessuale da opporre alle altre bensì
l'indispensabilità di costruire, di creare, di inventare un «divenire
gay» intendendo con ciò la realizzazione di una forma di vita e di un
sistema di pensiero in grado di produrre e di salvaguardare un'idea di
libertà all'interno della società. Una libertà non discriminata e
perseguitata. In poche parole chiedeva ai movimenti degli omosessuali,
delle lesbiche e anche delle donne di non fermarsi al dire "chi sono",
ma di provare a cambiare la società con tutti i suoi apparati di norme
istituzionalizzate e non, di farsi cultura non-identitaria. Una cultura
scevra da qualsivoglia forma di cristallizzazione identitaria perché è
il mondo stesso a mutare continuamente sotto i nostri occhi. E' ovvio
allora che la grande eredità foucaultiana vada rintracciata soprattutto
nell'aver spostato l'asse dell'analisi classica dei marxisti dal
capitale al potere, così come è ovvio che la sua tensione principale
sia stata quella di ricercare le vie della libertà. Una libertà intesa
come ricerca continua del piacere, anche di fare politica, una libertà
intesa come pratica di resistenza perché, come scriveva lui, «si è
liberi almeno finché si ha la possibilità di trasformare le cose». E
quindi se vogliamo far nostro il pensiero di Foucault non possiamo più
vedere la società "solo" come un rapporto di produzione dettato dal
capitale. Dobbiamo altresì essere in grado di vedere tutti i luoghi e
le relazioni di potere, tra cui la famiglia, la sessualità, le
condotte, gli ordini gerarchici e via discorrendo. In fondo è ciò che
ci chiede il presente. Il presente e non il ‘900.
Anna Simone, da Liberazione del 27/08/08
Commenti
Polifemo (non verificato)
Dom, 31/08/2008 - 10:23
Collegamento permanente
Complimenti!