Distruggere quel corpo conforme per ritrovarmi più libero di Pippo Delbono

La scoperta della diversità sessuale, l'emancipazione da modelli già prestabiliti, la morte del suo compagno e poi il teatro e la scoperta della disabilità, della sofferenza e della diversità come valore.

Come Adamo presto al mattino,

che cammina uscito dalla capanna di fronde rinfrescato dal sonno,

guardami mentre passo, odi la mia voce, avvicinami,

toccami, accosta la palma della tua mano al mio corpo mentre passo,

non avere paura del mio corpo.

Da piccolo mia mamma mi faceva fare il bagno separato da mia sorella. Non voleva che scoprissimo la diversità dei nostri corpi. Forse è per questo che per vari anni sono stato convinto che il corpo delle donne fosse uguale al nostro. Così, quando nelle elementari mi sono innamorato di Suor Fortunata, la immaginavo con un corpo maschile. E così credo che senza volerlo mia madre abbia contribuito a creare il mio primo approccio a un'idea del transgender… Poi, con gli anni, mi sono dedicato - con scarsi risultati - a tutti gli sport che bisognava fare se volevi essere inserito nel canone fisico del vero maschietto. Ma, per fortuna, crescendo, gli sconvolgimenti mi hanno portato a vivere altre esperienze fisiche, e quindi a distruggere quel modello di corpo socialmente conforme per ritrovarmi in un corpo sconvolto, un corpo che desiderava sessualità non convenzionali, un corpo più libero.

Certo quando ho deciso di fare teatro non sapevo ancora quanto il corpo sarebbe diventato il centro del mio lavoro. All'inizio il teatro che studiavo era un teatro di testi, di parole, di interpretazione di personaggi di carta, senza corpi. Poi, in Danimarca, dopo la perdita del mio amato amico, mi sono buttato nel teatro del corpo. Volevo dimenticare, volevo non morire insieme a lui. Volevo non pensare a quel suo corpo distrutto, a quel suo corpo morto. Volevo non lasciare che anche il mio corpo morisse come il suo.

E così iniziai a passare ore, giorni, mesi, anni a lavorare accanitamente sulla danza. Per ritrovare vita nuova nel mio corpo, vita che mi allontanasse da quella perdita, da quel dolore.
Ora col tempo sono stranamente grato a quella morte, e anche alla malattia che è arrivata dopo. Perché quel corpo attraversato dalla ferita è diventato per il mio teatro la vita, l'essenza.
"Sui miei stracci sporchi, sulla mia nudità scheletrita" dicevo nello spettacolo La rabbia , omaggio a Pasolini, e danzavo, danzavo, danzavo anche se le gambe e le braccia erano tremanti e dolenti, anche se il mio corpo prima virtuoso non mi rispondeva più. Danzavo, come prima, ma ora però danzavo con tutta la mia vita.

E' stato sicuramente quel corpo sofferente e sfregiato quello che mi ha aiutato poi a innamorarmi di altri corpi malati, diversi, e bellissimi. Il corpo del poliomielitico Armando, che, quando nello spettacolo Barboni solleva le sue esili braccie, mi parla della grande libertà che emerge da una coercizione. Il suo è un gesto di libertà nella costrizione della vita. Un gesto che mi parla di una danza che può essere più vera, di un'arte che può essere più necessaria.

E poi il corpo del piccolo Bobò, sordomuto microcefalo analfabeta che ha vissuto quarantasei anni in un manicomio, e che ora da dieci anni è il protagonista di molti miei spettacoli. Quel piccolo uomo che ho portato via da un luogo di tremendo dolore, da una prigione. Quel piccolo uomo che comunica in ogni gesto, anche semplice, la necessità di chi del corpo ha fatto mezzo unico d'espressione, parola, linguaggio, poesia.

Bobò, un essere sperduto in una società che quel corpo l'ha dimenticato. Una società che sempre meno danza, una società di parole assommate ad altre parole, di concetti assommati ad altri concetti per nascondere vuoti profondi. Un'idea di cultura come somma di sapere, di informazione, e non come coscienza della propria natura di esseri umani. Generati da sangue e sperma, fatti di carne cuore e mente. Una paura sempre più grande del corpo, di conoscerlo, di amarlo nel suo profondo. Corpi standardizzati, corpo dell'uomo marito padre, corpo della donna moglie procreatrice madre, corpo rigido di politico prete giudice, corpo del ragazzetto, della ragazzina, della modella, della presentatrice, dell'attore, del cantante lirico, corpi uniformi uguali per categoria. Sempre di più stiamo perdendo quei corpi diversi raccontati dalle danze antiche, quei corpi sciamanici deformemente straordinari, fuori dai canoni della bellezza decretata.


Io sono il poeta del Corpo, io sono il poeta dell'Anima,

i piaceri del cielo son con me e le sofferenze dell'inferno son con me,

i primi gli innesto e li faccio crescere su me stesso,

queste ultime le traduco in una nuova lingua,

sono il poeta della donna come dell'uomo

e dico che è grande essere donna come essere uomo,

e dico che non c'è niente di più grande che la madre degli uomini


Una storia del mondo si potrebbe raccontare attraverso la storia dei corpi. I corpi nudi dei primi uomini poi a poco a poco coperti di tuniche, i corpi dei soldati dentro le corazze di ferro, i corpi degli uomini ancora oggi mutilati, bruciati, polverizzati, i corpi degli uomini nei forni crematori, i corpi degli eserciti impietriti. E i corpi delle masse di milioni e milioni di persone nelle strade, nelle piazze, i corpi uniti nella rivolta. Poi i corpi abbandonati. I corpi dei bambini fragili ancora aperti verso il mondo. I corpi sotto terra. I corpi celesti. Il corpo che ricorda quello che la mente ha dimenticato. I corpi che ci fanno ricordare quello che la storia raccontata con le sole parole vorrebbe dimenticare.


Canto il corpo elettrico

Le schiere di quelli che amo mi abbracciano e io li abbraccio

Non mi lasceranno sinché non andrò con loro, non risponderò loro

E li purificherò, li caricherò in pieno con il carico dell'anima

E' mai stato chiesto se quelli che corrompono i propri corpi corrompono se stessi?

E se quanti contaminano i viventi sono malvagi come quelli che contaminano i morti?

E se il corpo non agisce pienamente, come fa l'anima?

E se il corpo non fosse l'anima, l'anima cosa sarebbe?


Le citazioni sono di Walt Whitman


Liberazione, 04/08/2007