PERCORSI DI ANALISI DEI PROCESSI DI GLOBALIZZAZIONE/4. Le menzogne del "multiculutralismo" di Anna Simone
Percorso 4
Tutte le menzogne del multiculturalismo
Il punto sulle retoriche multiculturali e sulle nuove versioni del razzismo contemporaneo nelle politiche europee. di Anna SimoneUno dei tratti salienti delle nostre società consiste nel produrre innumerevoli discorsi, costruiti sulla base di ottimi propositi, che puntualmente vengono smentiti dalla realtà. Tutti aspirano alla democrazia, ma nessuno degli aspiranti osa dire che il problema reale è la crisi stessa della democrazia rappresentativa; tutti gli esponenti della politica aspirano ad una società "buona", integrazionista, dominata dall'amore per l'altro e per l'Africa, però al contempo generano innumerevoli dispositivi escludenti se non esplicitamente razzisti - si pensi alle ruspe nei campi rom e l'ansia da espulsione all'indomani dell'omicidio di Giovanna Reggiani; tutti concordano nel principio della laicità dello Stato, però se esprimi un parere davvero laico su una questione diventi immediatamente laicista.Questa schizofrenia sempre più visibile tra desiderio e realtà, tra gli ordini discorsivi prodotti dalle nostre società e le dinamiche sociali reali diventa ancora più marcata e visibile se trasposta sulle società e sulle culture cosiddette "altre". Se diventa, cioè, un desiderio ed una buona intenzione da costruire anche sulla pelle degli altri, dei cosiddetti non-occidentali. E' il caso, per esempio, della retorica del "multiculturalismo" auspicato, evocato, inserito nelle linee guida dei finanziamenti sui singoli progetti dell'Unione europea, dei ministeri per le Pari opportunità etc. In nome del "multiculturalismo" si finanziano e si frequentano master, si istituiscono corsi di laurea, si strutturano poderosi discorsi accademici e politici, talvolta si legifera, ma sempre a partire da una "sbrigatività" delle buone intenzioni che anziché guardare la realtà stessa delle singole culture produce solo forme "simboliche" dell'agire comune puntualmente smentite dai fatti. E i fatti, purtroppo, si ripetono con una cadenza impressionante soprattutto in Italia dove la parola "multiculturalismo" arriva addirittura a diventare sinonimo di "multi-religionismo" (perdonate il neologismo) come se, appunto, non esistano culture al di là dei tre monoteismi. Come se non esistesse forma di vita alcuna al di là delle codificazioni culturali stabilite dalle religioni monoteiste. Ad arricchire il già folto dibattito sulle retoriche multiculturaliste ci sono ora anche un bel volume collettaneo, appena edito da Meltemi e curato da Francesco Pompeo, antropologo dell'Università di Roma Tre (
L'evocazione e, contemporaneamente, la vocazione multiculturale viene messa in questione da Francesco Pompeo attraverso una prosa assai convincente proprio perché sempre attenta a scavare tra i paradossi, i luoghi comuni, le pieghe che ha attraversato e assunto il concetto. Il multiculturalismo, come molti sanno, non è una fantastica invenzione europea, bensì l'europeizzazione di una pratica adoperata per organizzare la società canadese con un'unica differenza: mentre in Canada è appunto nata come pratica e come organizzazione politica, in Europa l'importazione della pratica è diventata solo la produzione di un discorso, la costruzione cioè di un modello di riferimento indipendentemente dalla sua applicabilità o meno. Ogni territorio, infatti, non è mai né vergine, né neutro, ma sempre il frutto di un processo di stratificazioni socio-politiche e socio-culturali impossibili da ridurre a "contenitore" sul quale sperimentare modelli pensati e praticati altrove. Ma il problema di fondo non è solo questo. La bandiera sventolata ai quattro venti del multiculturalismo o della multiculturalità nasconde in sé insidie ben più profonde come, per esempio, cosa intendiamo per differenza, per cultura, per pluralismo e per riconoscimento dell'altro. Rimessa in discussione dei concetti di etnocentrismo e/o relativismo culturale alla luce dei fatti sociali e dei processi di trasformazione delle società globalizzate e contemporanee o solo una forma di "gestione" delle diversità stabilite dall'alto dei programmi quadro e di chi ci governa per il tramite di una schiera ormai affollata di mediatori e di funzionari dei costumi altrui? Promozione delle culture cosiddette "altre" solo attraverso il ritorno degli stereotipi culturali o promozione di una forma di cittadinanza per tutti e per ciascuno finalmente in grado di consentire una libertà ed un'autonomia di scelta ai diretti interessati? La tesi di Pompeo a tal proposito è chiara ed inequivocabile: senza l'accesso ad una piena cittadinanza per tutti i migranti presenti sul territorio europeo qualsiasi applicazione di un modello multiculturale di società appare del tutto simile o ad un processo di "identitarizzazione" (perdonate il secondo neologismo) forzata o ad una tecnica di marketing dell'altro in cui l'altro stesso non può che rimanere tale e per di più legato allo stereotipo attraverso il quale lo riconosciamo. Per amore del multiculturalismo, infatti, è anche possibile che maestre di una scuola elementare costringano i bambini stranieri presenti nella classe a "fare" gli stranieri per "mostrare" la propria differenza culturale agli altri, intendendo ciò non come una violenza identitaria, ma come un segno politically correct di apertura verso altre culture. Peccato che a decidere per gli altri sia sempre una maestra bianca e magari anche cattolica o bene educata ai valori universali dei diritti umani.
Tra i numerosi saggi che compongono il volume curato da Pompeo ce ne sono anche due che vale qui la pena menzionare. Uno è a cura del grande antropologo francese Jean-Loup Amselle noto in Italia per aver dato vita al dibattito sul métissage , l'altro è invece a cura di Michela Fusaschi, nota nel panorama degli studi antropologici per aver sostenuto delle posizioni coraggiose e contro-corrente - quantomeno rispetto alla vocazione eurocentrica di certo femminismo - sul delicatissimo tema della modificazione dei genitali femminili. Ma se Amselle sposta l'asse del ragionamento dalla retorica multiculturalista alla realtà di un métissage e di una "connessione" permanente tra tutte le culture, Michela Fusaschi ci mostra come, dinanzi ad un caso concreto come quello della proposta Catania-Abdulcadir di effettuare una sorta di infibulazione simbolica presso l'ospedale di Careggi, il paradigma multiculturale crolli miseramente dietro la logica della rappresentanza dell'altro/a. Nella "gestione" di quel caso, infatti,Liberazione, 06/02/2008
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