Finanza e precari: fragili specchi del capitalismo

Specula e rispecula, la banca centrale ti salverà e porterà via la casa ad altri

Finanza e precari: fragili specchi del capitalismo

Alfonso Gianni


Formidabile davvero la "finestra sul cortile", cioè la vignetta quotidiana di Massimo Bucchi su la Repubblica di ieri: sullo sfondo della facciata della Borsa di New York, deformata come fosse di gomma, campeggia la frase "Eravamo al '29. Poi hanno immesso liquidità e siamo tornati al dicembre del ‘28". Ovvero il pericolo più che passato è stato solo momentaneamente allontanato. Il grande crack continua ad essere dietro l'angolo.
Infatti non è bastata l'ingente immissione di liquidità effettuata dalle banche centrali di tutto il mondo. Per ridare fiato ai mercati si è resa necessaria una misura certamente fuori dal consueto. Per la prima volta dopo il tragico 11 settembre 2001, la Federal Reserve Usa ha deciso con procedura straordinaria di abbassare di mezzo punto il discount rate , cioè il tasso applicato dall'istituto centrale sui prestiti alle banche. Per l'altro indicatore del costo del denaro, cioè il tasso sui prestiti interbancari a breve, bisognerà aspettare la riunione della Fed di metà settembre. Ma è probabile che calerà anch'esso.

Naturalmente la Banca centrale europea ha reagito alla decisione americana con un "no comment" imbarazzato. Se ne capisce il perché dal momento che la Bce ha perseguito in questi anni una politica divergente dalla Fed. Mentre quest'ultima aveva mantenuto il tasso di sconto stabile, nello stesso periodo la Bce lo ha quasi raddoppiato. Ora forse procrastinerà o sospenderà la già annunciata decisione di alzarlo di un mezzo punto in due tranche. E sarebbe bene che così fosse, visto che solo un quarto di punto in più ha effetti devastanti sulle famiglie per gli aumenti delle rate dei mutui a tasso variabile e per lo Stato a causa dell'incremento del servizio al debito. Ma agli uomini del board della Bce questo poco importa. Per loro tutto dipende dall'andamento delle borse, le quali hanno reagito euforicamente alla decisione americana, ma solo per qualche ora.

Più che inseguire le previsioni sugli andamenti di mercato e la loro influenza sulle decisioni dei padroni della moneta, conviene forse soffermarsi sulle cause di questa nuova crisi finanziaria. Due mi sembrano gli elementi che balzano subito agli occhi e che distinguono l'attuale dalle crisi che sempre più frequentemente si sono succedute negli ultimi anni.

Il primo dato è che l'epicentro questa volta è collocato nel vecchio cuore del sistema capitalistico mondiale, ossia gli Usa. Era evidente che le dichiarazioni rassicuranti di Bush sulla solidità dell'economia americana, lasciavano il tempo che trovavano, cioè quella di una sfiatata propaganda. Il Presidente della Fed, Bernanke, lo ha chiaramente smentito, sottolineando la drammaticità della situazione, con una decisione di inconsueto tempismo che, secondo alcuni, sarebbe persino contraria alla sua indole. Il vecchio assioma di Marc Bloch, secondo il quale il capitalismo è quel sistema nel quale i debiti non vengono mai riscossi, è dunque sottoposto a dura prova e il "punto di non ritorno", di cui parlava Sylos Labini, oltre il quale il castello finanziario rischia di crollare davvero, si è fatto più vicino.

Tuttavia non ci siamo ancora, perché il sistema di salvataggio operato dalle rete delle banche centrali si sta dimostrando efficace. Da un lato questo può parzialmente rassicurare anche i risparmiatori e gli investitori di casa nostra, perché evita loro tragici fallimenti. D'altro lato, il ruolo di crocerossine delle banche centrali deresponsabilizza gli speculatori finanziari, i quali possono continuare a condurre operazioni temerarie nella fondata certezza che in ultima analisi una banca centrale li salverà. Mi pare evidente che questo circolo perverso può essere spezzato solo in un duplice modo. Da un lato si impone una radicale revisione del ruolo delle banche centrali verso una intermediazione finanziaria orientata ad aiutare lo sviluppo produttivo e non la semplice lotta all'inflazione o addirittura la speculazione. Dall'altro lato , e contemporaneamente, quest'ultima può essere efficacemente combattuta o quantomeno contenuta, introducendo forme di tassazione delle transazioni internazionali sul modello della Tobin Tax.

Il secondo dato, forse quello più significativo, lo troviamo nelle modalità con cui questa crisi si è manifestata. Essa deriva dai mutui subprime (poi impacchettati in bond ), ossia quelli concessi disinvoltamente a compratori dal profilo creditizio incerto, assai diffusi negli Usa, visto l'altissimo tasso di indebitamento delle famiglie. Tra queste figure spiccano i lavoratori precari. Sono loro i più a rischio, per sé stessi e per il sistema, perché dotati di un reddito incerto oltre che basso. Appare quindi in tutta evidenza una connessione perversa che prima d'ora non erano in molti ad avere colto: quella tra precarietà del lavoro e fragilità del sistema finanziario. Non a caso entrambi i fenomeni si verificano a livello mondiale. Essi caratterizzano precipuamente l'attuale globalizzazione capitalistica e nello stesso tempo sono l'indice della sua crisi. Per questo i due argomenti andrebbero affrontati nello stesso tempo, agendo contro la precarietà del lavoro e la discontinuità del reddito (nel nostro caso superando la legge 30) e contro la volatilità dei mercati finanziari nel duplice modo che ho prima sommariamente indicato.

Mi pare un buon terreno per ridisegnare l'identità della sinistra nel XXI secolo nel cuore del capitalismo maturo, senza farsi travolgere da un paralizzante pessimismo politico, come quello con il quale Joseph Halevi guasta una ottima intervista rilasciata ieri al nostro giornale.
Liberazione, 19/08/2007