ad Assisi Marcia della pace o per i diritti?
Dichiarazione del MIR di Padova in merito alla Marcia Perugia - Assisi 2007
Veniamo ad apprendere che gli organizzatori della Marcia per la Pace
Perugia - Assisi hanno deciso di trasformarla da quest'anno in marcia per i
Diritti.
Possiamo permetterci di considerare questo l'atto finale dello svuotamento
del senso di questa iniziativa, divenuta ormai tradizionale. Nata a suo
tempo come iniziativa rigorosamente nonviolenta, ma nello stesso tempo
rigorosamente sovversiva ed estranea ad ogni gruppo di potere, anche di
opposizione, la Marcia ha negli ultimi tempi, per iniziativa di coloro che
la gestiscono, sempre più stemperato i propri contenuti in un generico
buonismo in cui il contenuto della parola "pace", già di per sé come tutte
le parole generali facilmente falsificabile, si annacqua fino a perdere ogni
confine preciso. Quando poi al governo sono gli amici, quelli stessi che
aprono i cordoni della borsa per finanziare le iniziative, la pace si
allarga fino a comprendere gli interventi militari.
Ma evidentemente nella parola "pace" c'è un qualcosa di intimamente
sovversivo, che dà fastidio. Ogni parola che possa contenere un qualche
accenno critico all'esistente deve essere abolita dal linguaggio politico
perbene. La marcia è diventata quindi una marcia per i diritti ed i diritti,
in questa accezione, sono sempre quelli degli altri. Manifestare per i
diritti degli altri non costa assolutamente nulla, nessuna revisione critica
di quello che facciamo né di quello che fanno i nostri politici. Non ci
costa nulla chiedere che questo o quel diritto sia rispettato in Cina, in
India o in Uganda. Qualsiasi politico sarà sempre disponibile a sostenerci.
Non lo sarà più invece nel momento in cui chiediamo qualche minuscolo
cambiamento della nostra realtà. Allora cominciano le difficoltà, sorgono le
divisioni, in altre parole comincia la politica. Che fatica fa un politico a
chiedere che la Cina rispetti i diritti umani? Ma proviamo a chiedergli una
concessione minuscola, che però dipenda da lui, anche solo che un'aiuoletta
di cento metri quadri venga lasciata a verde invece che cementata.
Naturalmente non è che siamo contrari ai diritti umani, ci mancherebbe
altro. Solamente crediamo che il problema dei diritti umani sia una piccola
parte del problema della pace, che ne comprende tanti altri: militari,
economici, sociali, culturali, ambientali, criminali. Non viceversa, cioè
che la pace sia solamente uno dei diritti umani e che attuando (o facendo
attuare agli altri) i diritti umani, prima o poi si arriverà anche alla
pace. E' una polemica lunga, più che secolare (pensiamo a Tolstoi): certo
alla pace si arriverà anche attraverso il diritto, ma non principalmente
attraverso il diritto. Così come del resto alle conquiste civili e sociali
delle nazioni si è arrivati anche attraverso il diritto, ma prima attraverso
la politica, cioè l'azione concreta delle persone concrete.
Abbiamo già sperimentato questo spostamento dalla pace ai diritti attraverso
un'iniziativa piccola, ma significativa, della Regione Veneto. La Regione
Veneto aveva a suo tempo, e tuttora teoricamente ha, una legge per
finanziare la cultura di pace. Attraverso alterne vicende, questa legge
aveva finanziato nel tempo iniziative più o meno valide da parte di diversi
soggetti. Ma col passare degli anni lo spettro delle iniziative si è
ristretto, fino a diventare praticamente limitato ai soli diritti umani. La
pace è completamente scomparsa, di nome e di fatto. Le iniziative,
lautamente finanziate dalla giunta di centrodestra, hanno un unico
beneficiario (scelto senza alcuna spiegazione, attraverso un meccanismo
rigorosamente clientelare): il Centro Diritti Umani dell'Università di
Padova, lo stesso che opera come cervello culturale della Marcia
Perugia-Assisi, e i risultati sono analoghi. Le iniziative sono molteplici,
lussuose, garantiscono alla giunta un sicuro ritorno pubblicitario e
soprattutto non danno fastidio a nessuno. Passano le guerre, gli interventi
militari, crescono le fabbriche di armi e le basi straniere, ma non c'è il
rischio che in regione, tra un buffert e un documento propagandistico in
carta patinata, qualcuno se ne accorga.
In conclusione, che cosa potremmo chiedere, senza speranza di essere
ascoltati, agli organizzatori della marcia Perugia - Assisi? Di lasciare la
pace e la nonviolenza, queste due semplici ma chiare parole,
nell'intestazione della marcia e magari, ma questo è veramente un'utopia, di
dare alla manifestazione un obiettivo chiaro, concreto, comprensibile e non
estremistico.
Proviamo con uno? Ad esempio: no al raddoppio della base di Vicenza. Una
piccola azione che riguarda noi e casa nostra. Non c'è motivo di concedere
all'esercito (e non al popolo!) di uno stato straniero il raddoppio di una
base che è stata sufficiente perfino negli anni della guerra fredda e non si
capisce perché non sia sufficiente oggi che tale guerra non c'è più. Un
pezzo del nostro territorio sul quale, per gli accordi da noi sottoscritti,
non avremo più nessun controllo: non avremo alcun diritto di sapere che cosa
quell'esercito ne farà. Un solo obiettivo invece di mille.
Gli organizzatori potrebbero obiettare che qualcuno è contrario, magari
anche qualche esponente dei partiti loro amici che li finanziano, che magari
qualche rappresentante di questi partiti potrebbe sentirsi imbarazzato a
partecipare alla manifestazione e a dichiarare qualcosa al telegiornale
della sera. Bene, questo dimostrerebbe che si tratterebbe di un'iniziativa
seria, politica. Rigorosamente nonviolenta, rigorosamente limitata e
moderata, ma chiara, precisa, un'iniziativa che divida quelli che secondo
noi vogliono la pace da quelli che secondo noi vogliono la guerra. Come
quella che nel 1961, senza sponsor politici, lanciò Aldo Capitini. E che
infatti è passata alla storia.
MIR ( Movimento Internazionale della Riconciliazione ) sez. di Padova,
Alberto Zangheri
Alleghiamo la posizione di Nigrizia
Nigrizia on-line:
Confronto sul senso della parola 12/06/2007
Un movimento senza pace
Sara Milanese
La Tavola della Pace ha deciso di abolire il termine "pace" dalla sigla
della prossima edizione della marcia Perugia-Assisi. Per far riflettere
sui significati concreti di quel termine, la spiegazione. "In realtà è
una svolta sinistra", per Euli. «Un modo per togliere dall'imbarazzo
tanti politici», per Zanotelli.
La Tavola della Pace ha deciso di rompere con le tradizioni. Aldo
Capitini è ormai superato: i tempi sono cambiati, e sono abbastanza
maturi per affrontare il primo "sciopero della parola pace", come l'ha
definito Flavio Lotti, coordinatore della Tavola.
Uno sciopero necessario, perché pace è una parola troppo abusata,
bistrattata, politicizzata. Uno sciopero che vuole "ricercare il
significato vero e profondo" della pace. Cioè gli aspetti pratici e
concreti: i diritti umani. La prossima marcia Perugia -Assisi, non più
per la pace, vuole sottolineare proprio questo aspetto, lo slogan
infatti è "tutti i diritti umani per tutti".
Uno sciopero, però, che non cancella definitivamente la parola pace
dalle attività della Tavola: la marcia sarà preceduta dalla "Settimana
della pace": 7 giorni di iniziative, incontri, assemblee, giornate a
tema. Inoltre, in parallelo alle attività italiane, si svolgerà a
Nairobi l'ottava edizione della Marcia della Pace (il 15 settembre), e,
sempre a Nairobi, una conferenza internazionale sui conflitti africani
aperta a giornalisti e ad esponenti politici chiave (dal 29 novembre al
1 dicembre).
Era proprio necessario dunque "mutilare" la storica marcia? O forse la
meditata riflessione è nata in seguito alle polemiche dell'edizione
2006, quando la Tavola della Pace decise di appoggiare l'invio di caschi
blu in Libano approvato dal governo Prodi?
«Una svolta sinistra» l'ha definita Enrico Euli, docente di peacekeeping
e gestione dei conflitti a Cagliari, ed esponente dei movimenti
nonviolenti. Una decisione, quella di abolire la "pace", «coerente con
il percorso che la Tavola sta portando avanti da anni». Secondo Euli c'è
ormai una differenza abissale tra il pacifismo della prima marcia nel
'61, antimilitarista e non violento, e quello generico di oggi; «una
degradazione che è in corso da più di un decennio».
Pace come parola è ormai inutilizzabile, «si dovrebbe andare verso
visioni più radicali e più definite» per capire di cosa si intende. Ma
la scelta di sostituirla con la cultura del diritto «ancora più morta,
fallita e ambigua della parola pace, non solo non è una soluzione, ma è
proprio la matrice stessa del problema». La crisi del pacifismo sarebbe
determinata quindi dalla sua riduzione al solo aspetto giuridico. «Il
pacifismo è morto proprio perché lo si è fatto diventare solo pacifismo
giuridico, e non ha invece sviluppato tutti i percorsi tipici della
nonviolenza».
«Per pace intendiamo la costruzione di un sistema di giustizia
internazionale, vogliamo porre l'accento sul cosa permette di costruire
la pace», questo, secondo Lisa Clark di Beati i costruttori di pace, il
vero motivo che sta dietro la decisione della Tavola. Costruire la pace
presuppone il garantire diritti, il soddisfare bisogni. «In questo modo
non si appiattisce il significato della pace, ma lo si esalta. Si esalta
tutto il lavoro che c'è dietro la sua costruzione».
«Tanti politici alla marcia per la pace non si potevano accettare. In
questo modo li si toglie dall'imbarazzo», il primo commento di padre
Alex Zanotelli. Che prosegue: «Il valore della pace è sempre stato molto
a cuore a tanti, togliere il nome pace dalla marcia vuol dire toglierle
il cuore. Proprio quest'anno, per la prima volta noi ci presentiamo con
un governo amico che ha una pagella sulla pace estremamente pesante». In
finanziaria sono aumentate le spese militari, le esportazioni di armi
del 2006 hanno battuto il record di vendite degli ultimi 20 anni. «Ora
come non mai c'è bisogno di porre l'attenzione sulla parola pace, invece
che abolirla».
D'altra parte, l'Italia è ancora presente coi suoi militari in
Afghanistan; il nostro sottosegretario alla Difesa ha firmato accordi
con Washington per la costruzione di oltre 4000 F35; il nostro ministro
Parisi ha già firmato, assieme alla Polonia, l'accordo con gli Stati
Uniti sullo scudo spaziale. In coerenza, quindi, «nessuno di questi
ministri, sottosegretari, esponenti di partiti di governo, potrebbe
partecipare ad una marcia della pace». Ma alla marcia per i diritti
umani non potranno mancare.
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