l'unità DI SINISTRA. Le esperienze di Biella e Vercelli

da "il manifesto" del 19 giugno 2009 di Mauro Ravarino

In quaranta chilometri si passa dalla piana del riso alle montagne. E così, il giallo delle spighe si trasforma nel verde dei pini. Un tempo il confine provinciale tra Vercelli e Biella non c’era, stavano assieme e la prima faceva da capoluogo. L’altra, era il centro del ricco distretto del tessile. Questo, il passato. Ora, cinquantamila abitanti a testa, sono due realtà in crisi. Vercelli lo è da un pezzo - le industrie sono sparite e le mostre Guggenheim, sbandierate con clamore dall’amministrazione di centrodestra, non sono la panacea dei mali - la seconda le crisi le vive ad ondate, spesso più acute, sul finire degli anni Novanta come in questi giorni. E se nella città del riso, negli anni Settanta roccaforte rossa, il monocolore berlusconiano è cosa ormai assodata (è il feudo di Roberto Rosso), a Biella il ribaltone è successo solo lunedì, senza ricorrere al ballottaggio. Spodestato il Pd, il comune va a Dino Gentile, primo sindaco di centrodestra, e la provincia al leghista Roberto Simonetti. Ma proprio qui, su questa fragile traiettoria dove Berlusconi continua a mieter successi, si è verificata un’anomalia nell’ultima corsa elettorale. La sinistra è rimasta unita, o meglio alleata: Sinistra e libertà (a Biella, per la precisione, Sinistra per) con Rifondazione e il Pdci, sostenendo propri candidati. Nessun exploit, ma tre consiglieri – uno per competizione – eletti. E nell’ultima tornata è già buona cosa, soprattutto considerando il crollo di consensi nel nord-ovest e la penuria di amministratori locali confermati. I risultati ottenuti - tra il il 3,2% e il 4,9% - significano certo non un’avanzata ma una complessiva tenuta. Adesso, visto il clima da «fratelli coltelli» rispuntato sul fronte nazionale, Roberto Pietrobon, 31 anni, candidato a sindaco per la sinistra a Biella, che nel suo slogan elettorale scriveva «Amo sogno e non ho paura», non ha timore a dire: «Guardate cosa si riesce a fare quando si antepone al personale il politico e il bene comune». Potrà, allora, ripartire dal Piemonte un cantiere della sinistra? Loro qualche idea ce l’hanno. Prima, però, riscopriamo come sono nate entrambe le esperienze.
Giorgio Comella ha quella barba bianca che significa saggezza e tante stagioni alle spalle: 28 anni di sindacato e 15 da segretario della camera del lavoro di Vercelli. Anche se lui, a dirla tutta, arriva da Biella. Ma la gavetta se l’è fatta in pianura. Sul suo nome da candidare a sindaco si sono trovate d’accordo Sl e la lista comunista. Nulla nasce per caso: «Parte da un lavoro pregresso, dal laboratorio della sinistra, un’associazione con cui abbiamo condiviso diverse battaglie, come quella per chiedere la chiusura dell’attuale inceneritore, vecchio e inquinante. Si mangia 75 mila tonnellate di rifiuti all’anno e inibisce l’avvio di una raccolta differenziata, che a Vercelli, fanalino di coda del Piemonte, si fa solo per il 25%». E, ora, il rischio è che ne arrivi un altro di inceneritore, o termovalorizzatore che dir si voglia, prima previsto a Biella e poi dirottato verso Vercelli: comunque, sempre sulla nostra fragile traiettoria dove ancora la destra vince ma la sinistra si rialza. Il successo e la riconferma di Andrea Corsaro (Pdl) erano previsti, pure così larghi, 60%. «Noi con il nostro 4,1 di consensi non possiamo stappare lo champagne, perché la sinistra, nata per rappresentare le masse, può brindare solo con risultati a due cifre, ma questa è la base da cui ripartire» sottolinea Comella, che all’incarico da consigliere regionale per Sinistra democratica alternerà quello di consigliere comunale a Vercelli, per la sinistra tutta. Il Pd qui come a Biella ha praticato l’autosufficienza veltroniana. Ma la separazione è stata concorde, nessuno strazio e nemmeno screzio. «Così abbiamo unito la nostra sinistra e scritto 33 pagine di programma, perché i problemi a Vercelli sono gravi e la giunta Corsaro è stata impercettibile. Non bastano le mostre Guggenheim, più comunicazione che cultura, a risolverli». Dell’ambiente, ricordando inoltre che a due passi ci sono i depositi nucleari di Trino e Saluggia, abbiamo già detto. Poi, il lavoro: «C’era un’industria tessile e chimica forte. Attorno alla Montedison, chiusa a fine anni Ottanta, ruotavano 7 mila persone. Non è rimasto niente, solo il pendolarismo». Sono 15 mila i vercellesi che ogni mattina si alzano e lasciano la città di Silvio Piola e del Sant’Andrea. Ci ritornano alla sera, per dormirci. «Durante la campagna elettorale abbiamo puntato sulla multiculturalità, gli immigrati sono stati confinati in un quartiere già disagiato, Isola. Noi non vogliamo che diventi un ghetto, solo pratiche inclusive possono salvarci. Ecco perché abbiamo chiamato a suonare la Banda di piazza Caricamento di Genova, simbolo di integrazione non solo artistica».
Da Vercelli a Biella la musica non cambia. La chiamavano la Manchester d’Italia per quel distretto industriale del tessile che era un fiore all’occhiello. «Quell’appellativo è solo un ricordo, non ha più senso» dice Silvio Belletti, candidato alla provincia: «Se nel 1995, anno di fondazione della provincia, il tasso di disoccupazione era del 2,5% ora supera il 9% e continua a crescere. La monocultura tessile non occupa più del 20% dei lavoratori biellesi e solo per produzioni d’alta qualità. La Zegna Baruffa di Valle Mosso, azienda simbolo, ha gli operai in cassa integrazione. E come loro, lo sono in tutta la provincia 2700 persone». A un centrosinistra che non è riuscito a dare risposte concrete alla crisi, ha risposto un centrodestra che ha detto tutto e il contrario di tutto. Secondo l’attuale presidente Simonetti i problemi si combattono solo guardando oltre Ticino, a Milano, non tanto a Torino. Soluzioni: una bella autostrada che ci porti in fretta in Lombardia e una ferrovia efficiente verso la «Madunina». Per Roberto Pietrobon, che ha corso per la poltrona da sindaco ed è stato eletto consigliere (3,2%), «zero risposte alla crisi». La sinistra proponeva un pacchetto a costo zero: «Un protocollo d’intesa tra parti sociali, ente locale e istituti previdenziali per l’anticipo nei primi mesi della cassa straordinaria, un paniere calmierato, un accordo tra il Comune e gli istituti di credito per la sospensione delle rate sui mutui sulla casa a tutti quei lavoratori in cassa o espulsi dal ciclo produttivo». In provincia, la coalizione formata da Rifondazione e Sinistra per (non proprio Sinistra e libertà, mancavano i socialisti) ha ottenuto il 4,9%, terza lista dopo Pdl - Lega e Wilmer Ronzani del Pd e di poco sopra all’Italia dei valori (4,7%). Risultato che, se paragonato al precedente del 2004 (8,6 complessivo) non sembra soddisfacente, ma se lo si contestualizza rispetto al crollo alle politiche del 2006 della Sinistra arcobaleno (2,6%) può essere letto con auspici positivi: «Il dissenso non è morto». Durante la campagna elettorale sono venuti Ferrero, Vendola, Migliore, Agnoletto. Diliberto, invece, no: «Forse un’alleanza così larga non gli piace» risponde con una stoccata Belletti, ancora iscritto al Pdci. O forse perché qui al congresso ha vinto la minoranza interna, quella di Unire la sinistra di Katia Belillo.
Adesso viene il bello: come far fruttare quest’unità, una delle poche sopravvissute in Italia. Biella e Vercelli si trovano quasi inconsapevolmente ad essere un possibile laboratorio della nuova sinistra. «Sarebbe interessante se la nostra esperienza fosse esportata» dice Pietrobon, che sta pensando a un seminario a luglio dove raccontarla e progettare il futuro. Tutti e tre – Comella, Pietrobon e Belletti - arrivano da esperienze diverse, da tre anime dell’ormai piccola e frammentata sinistra, ma hanno voluto stare insieme. Il primo è di Sd, il secondo è un vendoliano rimasto nel Prc e Belletti ha appoggiato la Bellilo ma senza abbandonare la casa madre. «Sono finite le elezioni, fermiamoci, riprendiamo il dialogo e i fili del discorso, perché la costruzione di un nuovo soggetto non può più essere rinviata» spiega Comella, che sottolinea che dall’esperienza di Sinistra e libertà «non si può prescindere, da qui bisogna ripartire con l’obiettivo però di unire tutta la sinistra». La sua idea, e non ha remore a dirlo, è quella di un partito unico, ridiscutendone magari anche la forma, ma «basta cartelli elettorali». Secondo Pietrobon: «Chi ha sbagliato salti un giro». E si riferisce a tutti i gruppi dirigenti sia della lista comunista sia di Sl. «Non si può fare una scissione a pochi mesi da una scadenza elettorale con l’ostacolo quorum e non si può fare una lista identitaria. Valorizziamo, invece, le differenze dentro a una tensione unitaria». Come? «Ripartendo dal territorio, senza arenarci nei futili discorsi sulle forme organizzative». Belletti spinge più che per un partito per un percorso unitario in cui convergere: «L’unità dei comunisti è un punto di partenza non di arrivo». Ognuno ha il suo punto di vista, ma a tutti viene il mal di pancia a sentire gli echi delle nuove polemiche a sinistra. Concordano che un cantiere, largo e plurale, debba partire al più presto, senza che Vendola o Ferrero se ne prendano la paternità. E le alleanze col Pd? «Prima ricostruiamo la sinistra poi ne parliamo».

Mauro Ravarino