STANNO DISTRUGGENDO LA SANITA' REGIONALE
In questi giorni, certo non nell’attenzione massima dell’opinione pubblica, il Consiglio regionale sta discutendo il nuovo Piano Socio Sanitario.
Il Gruppo PRC-FDS ha presentato circa 240 emendamenti per tentare di contrastarlo al meglio. Il documento ha subito una sorta di
“sterilizzazione”.
E’ stato eliminato ogni possibile motivo di critica avanzata alla versione precedente: tolto lo scorporo ospedale-territorio, i fondi
assicurativi, i rapporti col privato (resta solo la cessione al terzo settore); attenuato, ma ancora ben presente, l'ossessivo richiamo alla
sostenibilità economica. Prima tutto si giocava sull'introduzione di un modello (quello dello scorporo tra ospedale e territorio), ora non
c'è neppure più uno schema di riferimento e il Piano sembra una scatola vuota, un testo di intenti generici e vaghi, che pare ignorare
l'esistente (buona parte delle indicazioni riguardano realtà già realizzate da tempo) e non affronta alcun problema concreto.
Un Piano Socio Sanitario deve presentare una analisi delle cose che non funzionano e proporre soluzioni in grado di risolvere quelle
criticità. Invece quello attuale non contiene un numero, non indica obiettivi, non fissa parametri e standard. Un documento di questo
tipo non
può essere considerato uno strumento di pianificazione adeguato, soprattutto in una stagione di grave difficoltà economica come
quella che stiamo attraversando.
L'unica manovra concreta di razionalizzazione dei costi è la solita riduzione delle consistenze organiche del personale che viene,
peraltro, presentata senza alcuna previsione del risultato economico che si vorrebbe ottenere. Insomma: Cota e Monferino sembra
abbiano fretta di approvare un Piano purchessia, che non dice niente, probabilmente per poter affrontare in altri contesti, nella
gestione quotidiana, la riorganizzazione del sistema senza troppe interferenze politiche e sindacali.
In merito alla sostenibilità del sistema, più volte richiamata anche verbalmente dall’Assessore, sarebbe il caso che il Piano presentasse una proiezione triennale delle entrate e delle proiezioni di spesa e indicasse, puntualmente, gli interventi ipotizzati per ottenere il pareggio.
Sulle cosiddette “federazioni” sarebbe utile sapere quale è la reale intenzione da parte dell’Assessore e della Giunta. Ad oggi, con i documenti che conosciamo, si prevede una generica previsione dimensionale territoriale sovrazonale per l’esercizio delle funzioni di programmazione. Non viene indicata nessuna modifica nell’architettura istituzionale delle ASR e nessuna forma giuridica per creare eventuali nuovi enti.
Il riordino della rete ospedaliera non può essere affrontato semplicemente con il richiamo all’integrazione. Per fare un esempio: che fine stanno facendo il quasi 1500 posti letto indicati come eccedenti nella post acuzie? Come si intende riutilizzarli? Per eliminare o “sgonfiare”, per usare termini cari all’Assessore, i piccoli ospedali e ridurre l’uso dei restanti occorre preventivare l’incremento di soluzioni residenziali e domiciliari. Come si intende fare e con quali risorse non risulta essere per niente chiaro.
La classificazione gerarchica degli ospedali e della distribuzione delle discipline risulta essere eccessivamente rigida. La tabella esplicativa presentata e poi ritirata in IV commissione dice che gli ospedali di riferimento sono nei fatti le attuali ASO, quindi non pare, tra l’altro, esserci molto spazio per risparmi e razionalizzazioni all’interno della rete degli ospedali.
Per quanto riguarda la sanità penitenziaria l’intento di creare strutture autonome in staff alla direzione sanitaria contrasta con la necessità di integrare questo tipo di sanità con il resto dei servizi.
La creazione di dipartimenti strutturali (per esempio in campo oncologico) tra presidi e aziende diverse si presenta come sicuramente molto complessa e inadeguata a risolvere i problemi esistenti. Se si tratta di risolvere il problema della cattiva distribuzione dei servizi e delle funzioni occorre adire semmai agli strumenti della programmazione senza demandare tutto a puri strumenti gestionali.
Vera inquietudine distribuisce la parte sulla salute mentale. Il capitolo si diffonde su molte cose, pochissimo su quest’ultima. In gran parte è dedicato all’abuso di sostanze e fa trasparire una precisa intenzione di integrare il DSM con i SERT e con i livelli di psicologia, anche se ciò non è mai messo in esplicito. Molto preoccupante è la parte in cui si parla della modernizzazione dei servizi e si parla di una loro liberalizzazione con forte impegno del privato. Sulle dipendenze siamo a una svolta epocale ed ideologica inaccettabile con la condanna di tutte le droghe, dei comportamenti illeciti e con la cura vista come un percorso di riabilitazione-espiazione.
Nel capitolo sull’emergenza non è condivisibile la creazione di una azienda speciale per il 118. Intanto corrisponderebbe alla rinuncia esplicita, anche sul piano simbolico, a ogni tentativo di integrazione e coordinamento con il sistema dei DEA. Il sistema 118 si sottrarrebbe, in questo modo, alla competizione per l’utilizzo delle risorse che è oggi presente nelle ASR a causa del piano di rientro e dei conseguenti vincoli e limitazioni.
L’apparente semplificazione delle linee di comando non pare adeguata, per se, a risolvere le turbolenze presenti:
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perché le ragioni dei conflitti restano tutte ancora presenti e ancora da affrontare;
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perché il potere di pressione e di ricatto verso la Regione aumenterà con l’azienda unica;
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perché diminuiranno il controllo e l’influenza locali sulle scelte organizzative del sistema e questo genererà ulteriori conflitti;
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perché non basta allontanare gli interlocutori per allontanare i problemi
Infine, l’esasperata ricerca di autonomia da parte del sistema 118 finirà per limitare il suo stesso sviluppo.
Infatti non è pensabile realizzare una carriera professionale efficace e soddisfacente solo internamente al sistema 118.
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