Dalle "Donne in nero" il racconto della sepoltura di Mahmud Darwish.
Le due sepoluture di Mahmud Darwish
Da Ramallah…
Ieri mattina, 13 agosto, a Gerusalemme, mentre le cerimonie ufficiali erano già cominciate a Ramallah dove da 10 ore si aspettava alla Mukata’a l’arrivo del feretro da Amman, noi abbiamo deciso con un’amica israeliana ed una francese di recarci alla sepoltura di Mahmud Darwish. Dopo i discorsi e gli onori resi, con gli ospiti ufficiali e le delegazioni diplomatiche, il feretro sarà condotto verso le 13 su un veicolo militare al ministero della cultura di Ramallah dove la folla attenderà con tutte le delegazioni professionali sindacali associative, gli studenti, gli scout. E’ il programma diffuso dall’Autorità Palestinese. Ma stamattina, a colazione a Gerusalemme le mie altre due compagne palestinesi hanno deciso di recarsi a Birwe in Galilea dove è prevista una cerimonia alternativa. Siamo partiti in una ventina dall’AIC (Alternative Information Center) di Gerusalemme verso le 13 con un minibus. Gli altri si stringono su delle auto. Haim Hanegbi (veterano Matspen), Michel Warschawski dell'AIC, una rappresentante di Bat shalom, Rachel e Uri Avneri, Adam Keller di Gush Shalom, Reuven Habergel (ex membro delle Pantere Nere) qualche anarchico contro il muro... Il viaggio fino a Ramallah si fa girando attorno all check point di Calandra; l’enorme edificio è gestito attualmente da milizie private che non devono più rendere conto a nessuno, dicono i miei amici Palestinesi di Gerusalemme. Barriera elettronica e modernità: alta tecnologia posta a servizio di una «gestione di popolazione» che si vede all’opera senza alcuno scrupolo etico. La strada di Ramallah mi dà l’occasione di constatare i cambiamenti (da due anni), l’ampiezza della devastazione, la distruzione del paesaggio, colline sfondate dai lavori, e l’onnipresenza del muro, che all’inizio costeggia una strada stretta, e poi lo si vede srotolarsi fino all’orizzonte, lo si ritrova che circonda parcelle di terreno ed edifici, con le sue torri di controllo e osservazione. Blocchi di cemento, rotoli di filo spinato, mucchi di immondizie, macerie di edifici, le colonie diventate vere e proprie città. E’ quel che qui si chiama «il fatto compiuto» e tutte le teorie filosofiche e politiche inciampano davanti a questa mostruosa realtà. Arriviamo verso le 14h30 e raggiungiamo qualche centinaio (2000 forse) di persone che ancora si affollano attorno alla tomba. Dagli altoparlanti risuonano poesie di Darwish dette da lui stesso. Tristezza, silenzio, raccoglimento. Famiglie intere radunate sotto l’ombra di tende azzurre attorno all’edificio del ministero, ascoltano, delle ragazze piangono. Le bottiglie d’acqua girano, fa caldo. Ritroviamo qualche anarchico attorno a Ibrahim di Bil’in, su una sedia a rotelle, la gamba ingessata. La settimana scorsa un poliziotto gli ha sparato a freddo su una gamba. Mentre era a terra arrestato. La solita rapida inchiesta ha risolto presto la questione con le solite risposte. Ma l’uomo è là… con la sua gamba rotta e tutta la sua calma collera. Ovunque sugli alberi ritratti del poeta. I giovani innalzano bandiere palestinesi e bandiere rosse, e posano fieri davanti ai ritratti. Un bus è venuto da Haifa con dei militanti del PC e di Hadash (il fronte democratico uscito dal PC). Incrociamo Jamal Zahalka deputato di Tadjamo (il Raggruppamento Nazionale Democratico in Israele il cui leader Azmi Bishara è in esilio forzato). Anche numerosi internazionali sono presenti, ed io ritrovo anche con gioia due compagne delle Donne in Nero di Caen.Quando possiamo finalmente avvicinarci alla tomba, solo i giovani sono ancora là e si affollano numerosi sopra la fossa coperta di fiori e corone, su cui è posato il ritratto di Darwish. Tutti fotografano, anch’io sopra le loro spalle. Decidiamo di rientrare direttamente da Ramallah ad Haifa con il bus del PC. Sulla strada del ritorno, durante una sosta in una stazione di servizio, una scena sconcertante, e deprimente, un colono religioso vicino ad un autobus soffia in uno shofar per richiamare i passeggeri dispersi (corno di ariete in cui si soffia tradizionalmente per la fine del kippur alla sinagoga).
… A Birwe
Ad Haifa ritroviamo molti amici palestinesi di Galilea che hanno scelto di recarsi alla cerimonia alternativa organizzata a Birwe, villaggio natale del poeta, raso al suolo nel ‘48 e divenuto Akhei Ehud. I trattori spianano il terreno del cimitero di Birwe per costruire delle stalle. Una parte è già realizzata. Ma la cerimonia si è svolta là. Hanno portato da Birwe su fogli di giornale fichi d’India (il cactus che da questi frutti serviva a delimitare le parcelle dei villaggi palestinesi e la sua presenza nel paesaggio indica sempre un vecchio villaggio distrutto) e giuggiole. L’emozione è forte e anche le parole: "La vera sepoltura di Darwish, è quella a cui abbiamo assistito noi!". E’ la sepoltura come l’aveva descritta nel suo poema «murale» e che è stata rispettata alla lettera: al suono di un flauto, senza fiori, solo spighe di grano verdi, niente discorsi, solo le sue poesie. Erano 400 venuti da Nazareth, Haifa, Umm el Fahem, Shfa’amr e i villaggi vicini. All’emozione si aggiungeva la consapevolezza di un atto politico: lontano dalla cerimonia ufficiale, dalle telecamere e dai diplomatici, i Palestinesi del ‘48 hanno segnatocosì a modo loro, il loro posto nella resistenza rifiutando la sepoltura «ufficiale» di Darwish a Ramallah sotto la guida di Fatah e di Abu Mazen, hanno voluto restituire il suo figlio alla Galilea, e far valere davanti a tutti il diritto al ritorno del poeta alla sua terra.Michele Sibony, Copresidente UJFP - 14 agosto 2008 - Haifa
"... E cammina con me sulle orme dei miei antenati
silenziosamente al ritmo di un flauto
verso la mia eternità E non mettere una viola sulla mia tombaè il fiore di chi è depresso
e ricorda ai morti come l’amore sia morto troppo giovane.
Metti sette spighe di grano verde sulla mia bara e un po’ di anemoni rossi devi trovarli".
Estratto da "Murale" di Mahmud Darwish
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