Lettera aperta sull'unita' a sinistra

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La piazza ha spinto, la piazza ha fatto pressing, la piazza vuole scrivere una nuova agenda delle conquiste sociali, la piazza vuole.
La strepitosa partecipazione alla manifestazione del 20 ottobre è dovuta principalmente dalla delusione del “popolo della Sinistra” sull’azione di governo, la gente che vive il paese reale vuole dei veri cambiamenti sulle politiche sociali ed economiche.
La manifestazione del 20 ottobre non è stata solamente la chiamata alle armi delle/dei militanti di Rifondazione e Pdci, anche se a prima lettura così poteva sembrare, ma è stata una manifestazione che accelerava le tappe sul cambiamento del Paese, una piazza stufa delle promesse fatte in campagna elettorale e non mantenute, che scuoteva e premeva non solo sull’azione di governo ma sulle stesse organizzazioni della Sinistra e sulle proprie segreterie.
Una adesione rimbombante, un milione di donne e uomini sces* in strada perchè vogliono vedere certezze nel futuro e non illusioni provocate dall’instabilità della precarietà.
Eravamo tantissim*, e pensare che ne mancavano molt* altr*, come le donne e gli uomini della Repubblica Liberata di Venaus o le donne e gli uomini del presidio contro il dal molin, oppure le ragazze e i ragazzi che ogni giorno producono opposizione sociale e insubordinazione, cioè quell* che hanno dato vita lungo tutta la penisola a spazi pubblici e nuove prospettive per le municipalità, cioè i centri sociali.
La spinta sociale prodotta da quella piazza militante si deve collegare agli sforzi generati nei territori da tutti quei pezzi di movimento che non erano presenti con noi, ma che ogni giorno scrivono nuove pratiche politiche e linguaggi di alternativa.
La manifestazione del 20 ottobre deve essere un inizio di un percorso che mira al dipanamento della crisi della politica, l’ondata di partecipazione alla manifestazione non può essere la spettacolarizzazione della crisi stessa.
La separazione della politica dalla società non può risolversi con scadenze ad adesione di massa, quella piazza critica la forma di gestione della cosa pubblica e delinea un nuovo modello, da realizzarsi, di amministrazione del bene comune.
Superare il modello organizzativo di fare politica tradizionale e novecentesco è stata la sfida che abbiamo cercato di carpire in questi anni, criticando aspramente modelli organizzativi che mettono al centro le nomenklature e non le istanze che provengono dal basso.
Molti dirigenti politici della sinistra, giornalisti e intellettuali hanno trovato nello stimolo di piazza del 20 ottobre un trampolino di lancio per progredire sulla costruzione di un nuovo soggetto politico a sinistra del PD, hanno letto quella manifestazione come un punto di partenza per generare un contenitore nuovo dove al centro di esso non c’è la sperimentazione di un modello di organizzarsi nuovo, ma la sommatoria dei partiti stessi che stanno a sinistra del PD. Questa lettura va benissimo se si vuole operare all’interno di un quadro politico che sceglie come direzione la rappresentanza di sé stessi, ma sappiamo benissimo che la rappresentanza della rappresentanza senza rappresentati è uno schema che serve ad autoconservare le proprie identità e le proprie geometrie di contrattazione e mediazione politica che hanno fallito lungo questo secolo e anche durante questa stagione di governo.
Come riuscire a superare l’ormai obsoleta formula organizzativa chiamata Partito? Questo interrogativo è ormai costante per chi vuole generare una diffusa partecipazione alla gestione del “noi collettivo”, se proviamo a fare questa domanda nei luoghi dei conflitti di comunità dalle scuole superiori fino ai territori che vogliono difendere la propria terra la risposta sarà la medesima cioè: “autogestire ciò che è di tutt* senza delega ad alcuno”…
Ovvio, in primo luogo perché, come detto prima, la crisi della politica è il paradigma costante e in secondo luogo perché è la risposta più esatta!
Si percepisce facilmente che l’antidoto alla crisi della politica non risiede in formule “geniali” e artefatte forgiate da vari cronisti/intellettuali o da dirigenti di partito, ma altresì vive nel rapporto reale di chi produce democrazia diretta e assoluta nei conflitti e nelle esperienze di mobilitazione. Per dirla con Holloway, <<…se la rivoluzione è democratica non solo nel senso che ha come meta la democrazia, ma anche che è democratica nella sua forma di lotta, allora è impossibile predefinire il suo cammino, o anche concepire un punto d’arrivo…>>.
La chiave di volta del discorso che si vuole porre in questa riflessione permea nel fatto che è vero che la sinistra (inteso come aggettivo esteso di chi vuole cambiare la società) ha bisogno di un soggetto nuovo, ma che le modalità della realizzazione di questo non possono essere scritte, decise, volute e pensate da nessuno in particolare se non dalle capacità delle soggettività che abitano i movimenti. Le zapatiste e gli zapatisti dicono “la rivoluzione deve essere autocreativa”, ecco, noi dobbiamo far nascere questo progetto dalla potenzialità creativa di chi vive la subalternità, cioè dalle moltitudini che desiderano e pretendono.
La critica al potere, non può essere solamente vista come strumento di ricerca teorica che ci aiuta a cogliere il presente, al contrario deve emergere in ogni nostro sviluppo politico collettivo.
Se nell’epoca della frammentazione sociale e produttiva della terza rivoluzione capitalistica vogliamo legare un filo conduttore con il movimento operaio passato, dando vigore e speranza alle classi subalterne di oggi, dobbiamo farlo partendo da zero, sperimentando una metodologia partecipata che permetta di cogliere le contraddizioni reali che vivono dentro la società.
Per dare fiato a questo corso dobbiamo incalzare i geometri della sinistra e sostituirli con chi non è apparato, se dobbiamo costruire una comunità nuova dobbiamo partire da chi non è comunità, dalle soggettività individuali cha hanno deciso di segnare un discrimine fra chi fa e chi deve solo stare a guardare.
Trovare una capacità di legare tutte le esperienze di resistenza, di ribellione, che provengono dalla società di sotto, senza utilizzare un quadro interpretativo classico, cioè l’accumulazione delle forze sociali, è il nodo cruciale della riflessione, solo mettendo in rete e in cooperazione i soggetti sociali possiamo creare una ramificazione di domande fra gli stessi.
<<cercare unità nelle lotte senza ricadere nell’organizzazione dispotica burocratica del partito o dell’apparato di stato>> scriveva Deleuze, un concetto che ancora oggi parla del nostro presente e del nostro domani.
La questione di trovare una capacità di unità fra i soggetti che intendono riscrivere il presente è stata una domanda incalzante nella storia delle sinistre, non possiamo adesso ricommettere lo stesso errore che è stato fatto nella storia remota e recente, adesso dobbiamo dipingere un quadro tutto nuovo, tutt* devono poterlo dipingere, tutt* devono avere i pennelli per creare una nuova umanità!

Wojk ta wojk!
(lingua tzetal/ lanciamo e raccogliamo la parola!)

Salvatore Midolo
Coordinatore regionale GC piemunt
Andrea Polacchi
coordinatore provinciale GC Torino/coordinamento nazionale GC
Roberta Cauli
coordinatrice provinciale GC Alessandria/coordinamento nazionale GC
Giuseppe "Beppe" Venturu
consigliere comunale Vigliano Biellese
Alice Pettenò
coordinatrice provinciale uscente GC Venezia
Matteo Sacco
coordinatore provinciale GC Biella
Enrico Omodeo Salè
coordinatore provinciale GC Novara
Jonathan Cappuccio
coordinatore provinciale GC Vercelli
Luca Giacone
coordinamento regionale GC Piemonte/GC Biella
Andrea Aimar
coordinamento regionale GC Piemonte/GC Cuneo

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Ritratto di Anonimo

Condivido con entusismo, non più giovanile, l'idea di dare vita ad un'occasione che invece di appropriarsi delle identità che già esistono ne crei altre nuove, senza negare o cancellare alcunché, ma nella volontà di crearne altre plurali e includenti... lontane dagli apparati... Forse ci vuole il coraggio di affermare che "la politica" possa essere solo uno strumento per il processo di emancipazione verso la liberazione dei/dai bisogni! marco