Cari magistrati, non sarebbe stato meglio Pisapia di Mastella? Quando l'ANM pose il veto...

E' molto interessante rievocare, oggi, la polemica di alcuni esponenti di Magistratura Democratica, sviluppata nell'estate del 2005 nei confronti dell'allora responsabile giustizia del Prc

Antonio Bevere*

E' molto interessante rievocare, oggi, la polemica di alcuni esponenti di Magistratura Democratica, sviluppata nell'estate del 2005 nei confronti dell'allora responsabile giustizia del Prc. Fu detto che le sue critiche al giustizialismo - oltre che essere infondate, stereotipe, generiche tanto da avvicinarlo al presidente Cossiga - erano un pericoloso diversivo in un momento di invasioni antidemocratiche, rispetto alle quali ci si doveva preparare a difendere il Parlamento «senza lasciare aperto alcuno spiraglio concessivo» (Il Manifesto del 17 luglio 2005).
L'accusa di oggettiva quinta colonna del nemico si tingeva ancora di più fosche tinte nella garbata prosa di altro democratico (Liberazione del successivo 21 luglio): non ottemperando al dogma dell'immediata cancellazione della legge Castelli sull'ordinamento giudiziario, l'avvocato milanese aveva aperto un spiraglio concessivo su una controriforma che voleva portare la magistratura nell'orbita del potere degli anni '50 e la critica all'esuberanza degli interventi del Csm conduceva il Pisapia a condividere posizioni non solo del Cossiga ma anche «dell'attuale maggioranza». Queste erronee posizioni - dicevano i suddetti democratici - erano ancor più gravi in quanto provenienti da un papabile alla carica di ministro della giustizia del futuro governo della sinistra. Il contenuto arrogantemente censorio sul futuro ministeriale del responsabile giustizia di Rifondazione Comunista sicuramente non conteneva un'implicita minaccia di incidervi negativamente in caso di diabolico perseverare nell'errore.
E'indubbio però che l'attacco alla persona, caratterizzato da un antico stile, non è passato inosservato e il Corriere della sera del 26 aprile 2006, in piena bagarre per la formazione del governo, rilanciava l'opposizione di una parte di Magistratura Democratica alla nomina di Pisapia. Successivamente, lo stesso quotidiano (il 29 maggio), attribuiva alle regole del manuale Cencelli l'esclusione dell'avvocato milanese dalla direzione del dicastero di via Arenula, senza però dimenticare di mettere in risalto come il programma, da questi annunciato non fosse gradito alla Associazione dei magistrati e fosse «all'origine del veto sulla candidatura Pisapia». E' arrivato così Clemente Mastella che ha tenuto subito a precisare che aveva manifestato ad Andreotti le sue perplessità nell'accettare l'incarico «Ma non mi sono mai interessato di giustizia, feci io, e Giulio concluse»: «Che c'entra. Pensa che ti davano l'industria. Mica t'intendevi di bulloni» (Il Manifesto ,25.8.06). Non sappiamo fino a che punto questa affermazione di sconoscenza sia stata frutto di scherzosa modestia o di altro.
In ogni caso è evidente la superiorità dell'avvocato Pisapia, sul piano tecnico e specialmente sul piano dell'estraneità rispetto a un mondo delle trattative e degli scambi non pubblicamente codificabili. E' storicamente accertato che nel moderno contesto etico-politico siano molti i carichi pendenti (procedimenti in corso) che rendono alcuni personaggi esposti al pericolo di mannaie mediatico-giudiziarie. In questa partita acquista sempre maggior rilievo il mondo dell'informazione che forma ed esprime una pubblica opinione sempre più ostìle e sprezzante. Dopo i messaggi di solidarietà durante l'assedio berlusconiano alla magistratura e dinanzi a questa pubblica opinione non era certo ipotizzabile che il nuovo governo assumesse un atteggiamento bellicoso nei confronti dei magistrati e delle loro organizzazioni. Il nuovo ministro, ex democristiano, si è dimostrato conoscitore della regola del 4, vigente nel mondo giudiziario, secondo cui il numero di incarichi (dividendo) va di regola ripartito per 4 (divisore) come 4 è il numero delle correnti. La professionalità amministrativa è stata così riconosciuta a chi - oltre ad avere indubbie doti tecniche - poteva vantare altrettanto indubbie doti di rappresentatività correntizia. Abbiamo così la presenza di leaders dei gruppi associativi nell'ufficio di gabinetto, nell'ufficio legislativo, nel dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, nel dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Il peso delle correnti dell'associazione dei magistrati si è fatto sentire nel corso dell'esame del nuovo ordinamento giudiziario, tanto da giungere sulle soglie della crisi della maggioranza governativa. E' impossibile individuare in questo programma di pacificazione tra governo, potere politico e magistratura un formale protocollo di garantismo di scambio(moderazione su tempi e modi dell'esercizio dell'azione penale come corrispettivo di una gradita riforma dell'ordinamento giudiziario). Schegge di autonomia e comunque di indifferenza rispetto a questa pace fanno però scricchiolare il sinallagma perché nascono nuovi sconfinamenti nel mondo della politica, con un brusco richiamo al rispetto della legalità. Una rete televisiva ha mostrato un anomalo uso di un aereo militare da parte del ministro della giustizia e di uno dei suoi figli. Conosciamo le dichiarazioni giustificative degli interessati, non altro. Vanno avanti le inchieste che mettono in luce la spregiudicata modernizzazione della classe politica e la sua aspirazione di entrare nel salotto buono della finanza. I parlamentari intercettati gridano all'attentato alla privacy (al diritto to be alone ), mentre brigano con gli avventurieri del sottobosco dell'economia. Vanno avanti indagini che mettono in luce anomali concordati tra mondo politico e mondo giudiziario nel Meridione.
La momentanea e fragile pace tra magistratura, governo e potere legislativo, vive anomali strepiti e anomali silenzi. Il ministro entra in pubblica polemica con singoli magistrati, minaccia in sede mediatica e realizza in sede amministrativa e meta-amministrativa, interventi innovatori: sceglie di velocizzare il ruolo di garante della procedura penale in processi che investono esponenti del mondo politico; si autoinveste di funzioni di organo di censura di singoli atti giudiziari, anticipando critiche rispetto a cadenze e strumenti di indagine assegnatigli dalla legge. La magistratura ufficialmente ha taciuto fino a pochi giorni fa, con l'unica eccezione della segretaria di Magistratura Democratica, che ha rilevato questo «attacco all'indipendente esercizio della giurisdizione» e ha stigmatizzato l'iniziativa «spettacolare e pressoché inedita» del ministro sull'urgente trasferimento del capo e di un sostituto della procura di Catanzaro. Solo dopo la protesta della base (appello di 160 magistrati, in breve salito a 254, contro l'inusitata durezza dell'intervento ministeriale) l'Anm si è espresso contro l'esercizio, da parte del Mastella, di un potere il cui uso ha determinato «polemiche e allarme sociale». E' auspicabile che il Consiglio Superiore, investito della questione dal ministro, possa chiudere questa triste vicenda, in maniera indolore e con razionale rispetto delle regole. Qualora - tenuto anche conto degli ultimi sviluppi emersi a Catanzaro (di ieri il presunto avviso di garanzia a Mastella ndr ) - dovesse risultare la non legittimità della richiesta del ministro nei confronti del pubblico ministero che sta indagando in un'area di estrema sensibilità per il ministro stesso, si profilerebbe l'ipotesi di indagini a norma dell' articolo 96 della Costituzione e delle leggi costituzionali del 1989, affidate allo speciale collegio del tribunale, territorialmente competente per i reati ministeriali. Si tratta di indagini che dovranno svolgersi compiutamente con l'autorizzazione del Parlamento, senza limitarsi a prendere atto delle interviste degli interessati. La presunzione di non colpevolezza entra in gioco al momento della decisione del giudice, non all'esito di interviste: vanno rifiutate le condanne e anche le assoluzioni mediatiche.
*Direttore di Critica del diritto

da www.liberazione.it

20/10/2007

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Ritratto di Anonimo

Il magistrato De Magistris, suo malgrado, è diventato oggetto di una serie di attacchi che vanno al di là del singolo caso e ne fanno una questione nazionale. In ordine di successione, questo giovane magistrato si è visto prima sfilare l'inchiesta Poseidon, poi assistere esterrefatto alla richiesta di trasferimento dalla sede di Catanzaro da parte del ministro Mastella, infine la decisione di questi giorni dello scippo della inchiesta Why not da parte del procuratore generale regente di Catanzaro, due giorni dopo che sul registro degli indagati compariva il ministro della Giustizia (quale?) Mastella. Questa successione di attacchi frontali al lavoro di un giudice non si era mai vista , neanche nell'era Berlusconi, che aveva fatto pressioni per spostare la sede dei suoi processi, ma non si era mai servito del suo grande potere per defenestrare direttamente un magistrato. Ma, il caso De Magistris è ancora più grave perché dimostra che appena si toccano i poteri occulti di questo paese un magistrato, quando non viene ammazzato, viene messo in condizione di non poter lavorare. Il fatto è ancora più grave perché nell'inchiesta Why not il lavoro investigativo ha portato alla luce l'intreccio di poteri politici ed economici , massonici e mafiosi, che costituiscono la cupola che soffoca molte aree del nostro paese. Siamo di fronte non solo alla fine della indipendenza della magistratura, e quindi alla caduta di un caposaldo del pensiero liberale, ma una ad nuova ed inedita fase della lotta di classe che vede l'emergente borghesia mafiosa uscire allo scoperto con atti di arroganza che possono portare, nel nostro Paese, allo svuotamento della democrazia reale ed alla perdita dei diritti fondamentali della persona e dei lavoratori. Se dovesse definitivamente risultare vincente questo attacco frontale al giudice De Magistris, si aprirà un nuovo capitolo nella storia del nostro paese in cui più nessun cittadino o organizzazione sociale potrà difendersi dallo strapotere di questa nuova classe dominante, potrà più avere punti di riferimento, certezze del diritto repubblicano e democratico. Come Sinistra Europea Calabrese riteniamo che la lotta contro la nuova borghesia mafiosa, che in molte regioni meridionali ha conquistato pezzi importanti delle istituzioni, costituisca oggi la frontiera , lo spartiacque , tra chi crede nella democrazia reale e chi ne usa ed abusa il nome. Riteniamo che la difesa dell'autonomia ed indipendenza della magistratura costituisca una battaglia politica di prima grandezza per salvare i cittadini ed i lavoratori dai poteri occulti che stanno ritornando con più forza a controllare e manipolare le nostre istituzioni democratiche e repubblicane. Non possiamo permetterci di perdere questa battaglia se vogliamo salvare veramente la democrazia, se vogliamo difendere gli spazi di agibilità democratica già così ridotti dallo strapotere del grande capitale nazionale ed internazionale. La nostra Assemblea Nazionale del prossimo 1 e 2 dicembre in Calabria dovrà affrontare decisamente questo nodo e avviare una grande controffensiva democratica con tutto il popolo del 20 di ottobre. Sinistra Europea Calabria