Grecia, la polizia uccide un ragazzo, Alexandros. Scontri e riot in molte città

 

 

Durante gli scontri esplosi ieri nel quartiere Exarchia di Atene la polizia ha aperto il fuoco e ucciso un 15enne. Reazione diffusa e rabbiosa: scontri con la polizia in molte città, occupate diverse università della capitale. Governo e polizia in difficoltà, non si fermano nemmeno oggi gli scontri e le proteste


Violenti scontri sono scoppiati nel quartiere ateniese di Exarchia nella serata di ieri , intorno alle 20 italiane. I manifestanti, caratterizzati da una composizione prevalentemente studentesca, data anche la vicinanza del quartiere con l'università, hanno dato filo da torcere alla polizia greca, che ha risposto caricando duramente. Durante gli scontri un veicolo della polizia è stato bersagliato dal lancio di pietre ed oggetti da parte di un gruppo dei ragazzi, dopodichè uno dei poliziotti presenti sulla camionetta è sceso ed ha fatto fuoco contro i manifestanti, sparando tre colpi di pistola, uno dei quali ha colpito Andreas Grigoropoulos, 15enne morto di lì a poco in ospedale.

Immediata è stata la reazione datasi subito dopo la diffusione della notizia dell'uccisione di Andreas, in poche ore la capitale ha visto incrementare i suoi focolai di proteste, con un corteo che ha attraversato il centro città ed un duro confronto di fronte all'università degli studenti contro la polizia. Il carattere di guerriglia urbana è subito emerso non solo dagli scontri con le forze dell'ordine, che sono stati bersagliati con pietre e molotov, ma anche dagli attacchi portati avanti contro auto, cassonetti dell'immondizia, banche e negozi. Ad Atene si è ovviamente avuta la risposta prima e più estesa, con gli studenti protagonisti degli scontri, oltre che dell'occupazione del Politecnico e di molti altri atenei della capitale. Inoltre nel quartiere in cui è stato ucciso il ragazzo sono stati centinaia i cittadini incolleriti a scendere in strada per protestare contro l'uccisione e l'operato della polizia, così come contro il governo di destra di Costas Caramanlis. Le proteste ed i riot sono andati avanti ad Atene così come in tante altre città del paese (Salonicco, Patrasso, Komotini Heraklion e Ioannina le "città più calde" fuori dalla capitale) lungo tutta la notte. Secondo un primo e provvisorio bilancio sarebbero 24 gli agenti feriti, 6 i manifestanti arrestati, almeno 30 le attività commerciali danneggiate o bruciate, 17 le agenzie bancarie attaccate, oltre 20 le auto incendiate (5 della polizia).

Il ministro dell'interno greco, Prokopis Pavlopoulos, ha presentato le sue dimissioni in seguito a quel che si è verificato, ma il capo del governo Caramanlis le ha rifiutate, cercando di contenere i danni di una situazione che vede il governo oltre che in estrema difficoltà anche in una condizione importante di responsabilità di fronte a quel che è stato il disastroso operato delle sue forze dell'ordine, categoria (insieme ai militari) mai troppo apprezzata dalla popolazione greca, visti anche i non lontanissimi trascorsi. Normale quindi lo scettismo con il quale sono state raccolte da più le parole del governo, che ha espresso profondo rammarico per l'uccisione di Andreas ed ha chiesto una punizione esemplare per il poliziotto assassino. Due gli agenti protagonisti del tragico fatto, che hanno detto di aver lanciato una granata a stordimento e di aver poi sparato tre volte, i quali sono stati arrestati, uno con l'accusa di omicidio volontario e l'altro di complicità in omicidio.

Oltre che nella notte sono proseguiti gli scontri anche nella giornata di oggi, non solo ad Atene si sono verificati attacchi a colpi di pietre e molotov contro i cordoni della polizia dispiegati in città. Nel pomeriggio migliaia di persone hanno manifestato nella capitale, che resta il fronte più caldo ed esplosivo, almeno 5mila persone si sono radunate nel luogo dove ieri è stato ucciso il 15enne: sono stati presi di mira di nuovo banche e negozi, una molotov lanciata contro la succursale di un concessionario della Renault su viale Alexandras ha provocato un incendio. La polizia ha usato la mano dura per disperdere i giovani, caricando e usando gas lacrimogeno, attacco al quale hanno risposto con determinazione ricorrendo a spranghe bastoni e pietre. Altri scontri si sono poi verificati quando le forze dell'ordine hanno impedito al corteo di raggiungere il quartier generale della polizia, in molti hanno provato ad arrivarci per vie secondarie.
Lo zoccolo duro delle proteste, oltre che luogo in cui si è verificato l'omicidio di Andreas da parte della polizia, è il quartiere Exarchia di Atene: animato da molti gruppi antagonisti e sinistra, storico per la valenza che ha avuto nella rivolta contro i colonnelli nel 1973, infatti fu l'Exarchia il "quartier generale" della contestazione alla dittatura fascista ad Atene, da cui partì la rivolta degli studenti che poi occupo il Politecnico, cosa che si sta riproponendo anche in queste ore. Le manifestazioni di ieri, quindi l'origine degli scontri, sono da inserire all'interno del percorso di contestazione da parte degli studenti e delle studentesse della riforma della scuola e dell'università, così come di un malumore diffuso contro il governo di destra al potere.

Si ripete intanto una storiella già sentita anche a casa nostra, come ad esempio per l'omicidio di Carlo Giuliani al G8 di Genova o per l'uccisione dell'ultras Gabriele Sandri: l'agente sostiene di aver sparato per terra, il proiettile sarebbe rimbalzato...

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Ritratto di roberto

di Anubi D'Avossa Lussurgiu da www.liberazione.it

«Dolofonoi», assassini: questo è il grido per le strade e le piazze in fiamme di Atene e della Grecia, scritto a caratteri cubitali sulle mura del Politecnico assediato dai reparti antisommossa, dipinto sugli striscioni di cento manifestazioni, urlato dai giovani in rivolta che sfidano il governo delle destre e la criminalizzazione del movimento, dalla notte fra sabato e domenica scorsa. Da quando Alexandros Grigoropoulos, 15 anni, un volto ancora da fanciullo, casa borghese alle spalle, in giro con gli amici la sera di San Nicola, è stato ucciso da un proiettile nel cuore: un proiettile di Stato, sparato da un agente di pattuglia nel quartiere studentesco e autogestionario della capitale, Exarchia. Proprio davanti al Museo Archeologico Nazionale cioè alla vecchia sede del Politecnico, dove nel 1973 gli studenti sfidarono il regime dei colonnelli, repressi nel sangue. Exarchia: lo stesso quartiere dove nel 1985 un altro studente adolescente fu ucciso dal piombo della polizia. E' una storia greca, certo. Ma la campana di Atene (e di Salonicco, Patrasso, Rodi, Creta...) suona per tutti. Perché quello di Alexandros è un assassinio di Stato maturato in una temperie che vede il governo Caramanlis impegnato nella ricerca del "potere della paura" come tanti altri in questo scorcio del primo decennio degli anni 2000. E perché il movimento giovanile che ne è stato colpito e che ora reagisce è uno dei protagonisti, come l'Onda in Italia, d'un serpeggiante movimento europeo insorto in coincidenza con un passaggio macroscopico: la crisi globale. Da settimane, mesi, anche in Grecia è in corso una mobilitazione permanente studentesca. Come in Italia, come in Francia, come in Catalogna, come in Germania. E come ovunque, si tratta d'un movimento che parla ad una realtà più generale: perché gli studenti di oggi sono un settore ampio del precariato diffuso e perché la loro contestazione alle "riforme" del sistema formativo parla al disastroso saldo sociale di sistematiche politiche pubbliche, nel momento stesso dell'esplosione della crisi. Perché, inoltre, quel precariato studentesco è anche la figura viva della incipiente fine dei "ceti medi" e dunque d'una delle principali bandiere ideologiche sotto le quali quelle politiche sono state promosse; così come è figura viva del destino di un'altra di tali bandiere, il binomio "flessibilità-mobilità" declinato concretamente in competizione sul terreno del sotto-salario, mentre il Welfare è andato impoverendosi anziché rafforzarsi. Basta guardare qual è il cardine intorno al quale le "riforme" si sono articolate, in tutt'Europa: lo hanno esplicitato maggiormente alcuni movimenti di protesta di questi mesi, a Barcellona come appunto in Grecia, e si chiama «Bologna Process». Una politica ufficiale dell'Ue tesa formalmente alla «armonizzazione» dei sistemi e, precisamente, all'accrescimento della «mobilità»: ma che ha da quasi un decennio sancito un'ulteriore stretta nei processi di aziendalizzazione e di gerarchizzazione dell'offerta formativa - con l'introduzione dei "crediti" e del sistema "duale" dei titoli (il «3+2» italiano). E che non a caso in sede comunitaria si è materializzata nella fusione della conferenza europea dei rettori universitari con la Tavola rotonda degli industriali. Il Bologna Process risale al 1999: come si vede, un filo rosso lega il contesto politico attuale del precipitare della crisi e dei conflitti sociali in Europa, a quello dei tentativi di governo della globalizzazione "neoliberale" che proprio nella crisi giunge a saldo. E lega dunque il quadro odierno di un prevalente slittamento a destra della governance europea, a quello della fase d'egemonia delle ipotesi «neoriformiste» consacrate al «temperamento» del neoliberismo. Non è un caso se uno slogan molto ascoltato nelle piazze in Italia nelle settimane scorse ossia «Non abbiamo governi amici!» è indubbiamente sentito da tutte le mobilitazioni in Europa. E' questa la lente che aiuta a capire come mai anche l'«opinione pubblica moderata» si interessi ora ai movimenti giovanili, alla loro rivendicata «indipendenza», persino al protagonismo anarchico e autogestionario in questi giorni dell'ira in Grecia, dopo l'omicidio di Stato di Alexandros. Si intuisce una preoccupazione, un'ansia, un principio di panico: quello delle "classi dirigenti", nei giorni di vigilia dei primi scioperi generali di questa stagione in Europa, di fronte all'imprevisto eppure fatale apparire dell'«inconveniente della storia». Questa figura oggi può, minaccia d'essere incarnata da settori delle nuove generazioni capaci di parlare a tutta la platea dei soggetti destinatari in solido del conto del "governo della crisi". E' la figura che si dota d'una indicazione di fondo, totalmente negativa e perciò stesso, in questa situazione concreta, costituente: «Non paghiamo noi la vostra crisi». E' questa la chiave della centralità sociale e politica dei movimenti di studenti e precari; prima e oltre l'epifenomeno materiale delle banche e degli esercizi della grande distribuzione e del consumo di lusso dati alle fiamme in Grecia. Ma anche questa specifica furia della protesta contro un potere assassino e contro una conseguenza estrema di quel "governo della paura" che nel tempo della guerra globale ha cercato di frapporsi alla crisi (e fra le cui inaugurazioni vi fu l'omicidio di Carlo Giuliani a Genova, così insopportabilmente affine a quello di Alexandros), anche questo preciso scegliere come simboli da distruggere i terminali dei poteri economici che sono stati protagonisti dell'intera fase di "sviluppo" precipitata ora nel fallimento, è qualcosa di eloquente, che va osservato senza manicheismi e al di là dei giudizi "di metodo". Di certo così lo osserva, nervosamente, chi abita le stanze del potere che conta davvero: come il segno d'un bivio. Quello tra il dilagare d'una insorgenza sociale persino necessitata ad eccedere, con un nuovo protagonismo, la "crisi della politica" che fa cornice alla crisi economica e sociale (come conferma la crisi di establishment sottesa al caso-Obama negli Usa e senza tema di smentite dai disperati sussulti di sovranismo nazionale cui si ricorre per tamponarla); e l'uso fino in fondo della «natura bruta» dello Stato per fermare, spezzare il dispiegarsi di questa potenza di conflitto e cambiamento. Una strada che il governo greco sembra voler inaugurare: ma in fondo alla quale non si sa cosa si troverà. Specie quando in una nuova generazione riaffiora quel pensiero di Panagulis: «Voglio vincere, perché non posso essere vinto». 09/12/2008

Ritratto di roberto

Cenere. E' cenere quella che entra nell'aeratore del taxi giallo, quando siamo ancora lontanissimi dal centro di Atene. Cenere: polvere sottile. Quella depositata dalle nubi di gas lagrimogeno diffuse da tre giorni su quel centro. Un pizzicore nel naso e in gola, inconfondibile. Un inizio immediato di lagrimazione. Il tassista mi butta addosso un'occhiata ammiccante e trionfante dallo specchietto retrovisore. L'avevo teatralmente ignorato quando, dopo essersi fatto dare dalla centrale la conferma dell'ubicazione della mia meta alberghiera, un gomito sul sedile e il collo ritorto verso di me, lo sguardo imbarazzato, m'aveva detto in greco e poi (obbligatoriamente) tradotto in uno scarno inglese: "C'è qualche rischio che gli hooligans stiano facendo festa proprio al suo hotel". Avevo risposto solo: "Ah-ah... Yes, I know". E lui, con aria rassegnata, aveva dato un colpo alle marce. Adesso che la cenere poliziesca si presenta come un'accoglienza perentoria ad Atene, sin dentro i polmoni, capisco la piega beffarda del sorriso di quest'uomo. Provo a smontarlo, spiegandoli che sono un giornalista, proprio lì devo andare, proprio quello m'aspetto. Mi risponde con la mia stessa noncuranza. Bravo. D'altra parte, non mi ha mai delucidato dopo nessuna delle dieci telefonate con la centrale e con i colleghi, per aggiornarsi sul grado di rischio. E nemmeno dopo aver chiacchierato per due minuti, sempre sullo stesso tema, con la casellante. E neanche dopo i due giornali radio flash che puntualmente ascolta. Intanto, quasi fischiettando, consulto la cartina. Sì, è confermato: alloggerò a un pugno di passi dal vecchio Politecnico. E da piazza Temistocles, Exarchia, accanto a dove è stato freddato Alexandros Grigoropulos, il quindicenne. Non capisco un accidenti della topografia ateniese, ma a naso quella in fondo allo stradone dove cento metri oltre la svolta che prendiamo corre una torma di anti-riots bardati da imitatori degli imperiali di Star Wars, con la pallida differenza delle tute verdastre, è piazza Omonia. Dai miei calcoli, entro tre minuti sarò al mio accidenti d'albergo. Invece, no. Passa un quarto d'ora. Speso in giri in tondo nel labirinto delle traverse tutt'intorno all'agognata meta. Nemmeno riesco a realizzare, nell'ansia di capire che stia facendo il tassista sempre più visibilmente ansioso, che strade stiamo passando. Giusto alcune allucinate immagini, quasi subliminali. Due intere file di relitti d'automobili praticamente fuse ai lati d'un largo corso. Uno, due, tre, quattro, cinque facciate d'edifici, in punti diversi, totalmente annerite. Una, due, tre che sono uno scheletro di buchi neri al posto delle finestre e dei porticati. Una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci voragini al posto di quelle che, da quanto s'intravede dei resti delle insegne, erano filiali di banche. Cinque piani che ancora portano le scritte d'un centro commerciale, carbonizzato. File di vetrine di negozi che non ci sono più, malamente rappezzate con materiali di fortuna a sbarrare il vuoto. Stessa scena per qualche piano terra di grandi alberghi. Un primo concentramento di poliziotti. Un secondo. Un terzo. Un quarto. Un quinto. Fino a non contarli più, ad ogni incrocio che passiamo. Nessuno ci blocca. Nessuno è bloccato. Anche se tutti, non solo noi, girano in tondo. Colpi. Fragori. Sordi, disorientanti, da direzioni diverse. Echi sporadici di grida secche. E soprattutto, cenere. Di nuovo la cenere che ti soffoca il respiro, dei gas, sempre più consistenti, una fuliggine fumosa, densa, che avvolge tutta la zona. E poi, altra cenere. Cumuli di cenere intorno agli scheletri di scooter, macchine, grandi cassoni dell'immondizia, edicole, chioschi. Ai lati, di traverso, al centro delle strade. A lastricare i porticati reduci dalla furia delle fiamme. E, a qualche quadrivio, raffiche di cenere che accompagnano il baluginio di fuochi, poco più in là. Il tassista non perde nemmeno tempo in ulteriori rivalse, nemmeno considera la mia espressione decisamente mutata. Imbastisce, invece, una scenetta per convincermi che non si raccapezza su dove stia effettivamente e di preciso il mio hotel. Lo sa benissimo, dato che ho capito anch'io che ci arriverei in tre balzi, da dove ha inchiodato la vettura, in una strada destra. Ma lui si sposta d'un altro giro e mi riporta dove avevo già visto il più imponente schieramento di antisommossa, con scorta di almeno quattro autocisterne dei vigili del fuoco, sotto una grande insegna del KKE, il partito comunista "ortodosso" greco. Siamo in corso 3 settembre, questo l'ho già controllato. Pago, prendo ricevuta, scendo, saluto, svicolo tra un manipolo di guardie in blu e uno di guardie in verde e imbocco cnetro metri più in là la traversa, la mia, Halkokondili. Sbuco sull'incrocio di un altro corso, più largo, e attraverso in fretta la nube di ritorno d'una raffica di lagrimogeni annunciata poco prima da un crepitio di colpi, a una certa distanza. di sfuggita, con un'occhiata di sguincio, vedo due file di poliziotti arretrare lentamente riparati nei porticati e una, due file successive di cassonetti alzare fiamme sullo sfondo. Il corso è un tappeto di pietre, ferraglie, oggetti imprecisati. E' corso 28 ottobre, dove più in là, dietro quelle barricate ricostruisco, s'affaccia l'ingresso del vecchio Politecnico. Tiro dritto per la mia strada e, superata un'altra traversa minori, mentre figure seminascoste dal buio corrono con moderazione in direzioni diverse, sbuco davanti ad un'immensa vetrata illuminata. E completamente costellata dai fori delle pietrate. Un ingresso girevole all light in cristallo spesso malamente incerottato. Non è il mio albergo. E' il Melia. Quello di lusso accanto al mio. Dove mi infilo rapido, notando di sfuggita che nello slargo sul quale si affaccia stanno appena facendo irruzione uno, due, tre grandi pullman blu scuro della polizia. Check in, salgo in camera, constato che si affaccia sul largo - Kaningos - , dò un'occhiata dalla finestra e noto che colonne di guardie, sempre in verde e blu, si riversano dai bus. Altre risalgono dalla stessa via che ho percorso, proprio verso l'angolo dello slargo che segue all'hotel. Rapidissima doccia, telefonata col contatto in Atene che allegramente mi avverte: "Eh sì, sei proprio al centro del delirio. Ah, guarda che hanno anche cominciato a sparare". Come, a sparare? "Sì, la polizia, questa sera, qui ad Atene. In aria, eh. Ma sai...". Già, so. Ok. Veloce zapping tv: sul quarto canale greco intercettato, una rete che dal loghino che appare deve chiamarsi Alfa e probabilmente è locale, c'è diretta: sull'omicidio di Alexandros, con interviste agli abitanti di Exarchia che danno testimonianze di quegli spari a freddo nella sera di San Nicola. E sulle botte agli studenti che hanno provato a raggiungere il Parlamento, in giornata. Botte da orbi, un po' genovesi. E infine, due sequenze di riprese fresche di serata, date a ripetizione, come gli ingrandimenti dei frame culminanti: un ufficiale di polizia in tenuta antisommossa che spara un colpo in aria, mentre il suo reparto ripiega davanti ad una folla di giovani che rispondono alla gasatura tirando di tutto. Quindi un altro milite, meno distinguibile in un'altra scena stavolta a campo lungo, che tira non uno ma più colpi di pistola: col polso alto, sì, ma non troppo... Giusto il tempo di spegnere la tv e giusto il tempo di constatare che, da dodici minuti che sono in albergo, il pizzicorio da lagrimogeno non è mai cessato. E sento colpi e grida. Riguardo dalla finestra e vedo molti meno poliziotti in piazza, molti più bus e le code di colonne di anti-riots che s'imbucano nella strada d'angolo di Kaningos, il "mio" angolo. Mi scaravento nella hall e esco. Corsetta e sbuco anch'io in quella strada, occhiata alla targa d'angolo per controllare quale sia, Tzoritz: e tutto mi è più chiaro, adesso. La strada è un tunnel nero. Non solo per il buio. Per la cenere. Di ogni cosa di metallico che la riempiva: fino a tre notti fa, penso. Le immagini di vetrine sfondate e trasformate in buchi neri, di automobili fuse, di cassonetti fatti tutt'uno con l'asfalto, capisco che non erano singolari. Qui è tutto così. Lo realizzo procedendo lungo la coda d'un duplice schieramento di poliziotti, anche qui incamminati cauti nei porticati. Li risalgo a passo più veloce, mentre esplodono di continuo colpi di granate lagrimogene verso il fondo di Tzoritz: là da dove vengono le urla. Le distinguo, ora. Sono insulti e grida di sfida. Una barricata brucia, sulle quinte d'un grande edificio sulla traversa che chiude questa strada. Sono finestre della facoltà di Architettura, capirò dopo. E' il vecchio Politecnico, capisco subito riguardando con parossismo la mappa stradale. Sono arrivato all''ultimo incrocio prima di quello sfondo e di quella barricata. I capifila degli anti-riots sono attestati dieci metri avanti a me, venti dalla barricata. Mi accuccio nel porticato mentre piovono pietre e sfrecciano granate al gas. I manipoli di guardie si addensano davanti a me, ora corrono avanti. Gridano a loro volta. Una, due, tre, quattro, cinque, sei lingue di fuoco salgono dal fondo della strada, da oltre la barricata. Sei fiammate come nubi incandescenti segnano la fine della loro parabola, in mezzo alla strada, sui pilastri dei porticati, sui muri, centrando resti di automobili che divampano di nuovo. Il calore aggredisce la pelle. I poliziotti arretrano si riammassano quasi all'incrocio precedente, poi ripartono. Di nuovo li fermano le molotov, raddoppiate. Il reparto di anti-riots, in verde, si attestano stavolta un passo indietro all'incrocio. Arretro anch'io, un'occhiata anche a questa targa d'angolo, Solomou, mentre dieci, venti, trenta figure sbucano dalla barricata, lanciando pietre. I poliziotti verdi sono raggiunti da altri blu, affluiti non da Kaningos ma dalla traversa retrostante. E' un presidio che corre a rinforzo d'un altro, intuisco. Subito parte una raffica di esplosioni, le granate gasano tutta la strada, le figure sbucate dalla barricata sono avvolte dai fumi. Ancora fuoco: la nube è illuminata da cinque vampate, poi ancora due, poi tre. A questo punto sono già dietro alla falange dei poliziotti bipartita nei porticati, che arretra nuovamente. Fino all'altra traversa prima di Kaningos, da dove erano venuti i blu: Kapodistriou. Le figure saltano in mezzo a via Tzoritz. Si levano altre grida. Il tono è inequivocabilmente beffardo. Intravedo due, tre gesti d'ombrello. Vari pugni alzati di rovescio, col dito medio levato. Qualcuno grida "Astinomia", polizia, e qualcos'altro, con la stessa inflessione del noto: "Guerrieriii, giochiamo alla guerra?". Intanto si vedono vampate di luce anche sulla strada in fondo, si capisce che si stanno respingendo altre cariche perpendicolari su quel lato del Politecnico, E intanto noto che alcune persone, che avevo scambiato per poliziotti in borghese quando l'avevo intreviste all'angolo di Solomou, poco discoste dalla scena della battaglia, sono arretrate all'altezza di via Kapodistriou, ma non sono venute ulteriormente indietro con la falange in rotta. Risalgo questo tratto di Tzoritz che è terra di nessuno fra la polizia in ritirata e la barricata riversatasi avanti. Capisco che quelli sono abitanti del posto. E militanti. Nessuno dei giovani dal volto coperto che sono avanzati preceduti dalle molotov li interpella, li apostrofa, gli dice di scostarsi. E loro guardano, sì, ma a cosa fa la polizia: immobili, vigili. Decido di prendere il momento e di muovermi da lì. In avanti, oltre la scena della battaglia ora sospesa in una tregua surreale. Dalla strada di fondo, oltre la barricata, si sentono clangori continui. Rumori di demolizione, mentre le grida si moltiplicano e si disperdono. Risalgo fino a Solomou, mentre all'incrocio si aggirano ancora i ragazzi travisati, rimuovendo carcasse dai lati della via per sbarrarla al centro. Uno mi grida qualcosa in greco, io non sapendo far altro rispondo: "Press, free italian press". E subito, dentro di me, mi compatisco da me medesimo. Quello mi fa un gesto a metà fra l'ok e: sloggia veloce altrove. Io, subito dopo aver focalizzato lo striscione sul tratto di cinta del Politecnico sul fondo, dietro la prima barriata, un lenzuolo nero con una sola scritta bianca, "Dolofonoi", assassini, prendo la Solomou. In direzione del corso 28 ottobre, mi fermo all'incrocio della via omonima al "mio" slargo, Kaningos. E l'imbocco per raggiungere la benedetta laterale all'ateneo. Il manipolo di poliziotti in blu rimasto di presidio mi guarda stupito. Ma se loro sono là in pochi, una ragione ci sarà. E infatti sul fondo non c'è barricata, né si alzano tiri di molotov. E nemmeno di pietre. Anche se l'asfalto ne è cosparso e la via è anche qui tutta un resto di roghi. Laggiù, solo un andirivieni di figure avvolte in felpe e caschi, qualche grido elargito anche in questo caso ai pochi militi. Finalmente ci sono, su via Stournara, la laterale del vecchio Politecnico. Alla mia destra il concentramento dietro la barricata in fiamma su Tzoritz, davanti ad una cancellata dell'ateneo da cui evidentemente sono usciti. Alla mia sinistra, dal 28 Ottobre, un brulichio di giovani intabarrati in qualsiasi indumento protettivo dall'identificazione. Ragazzi. E ragazze, tante. Gruppi si aggrumano intorno alle saracinesche degli esercizi di grande distribuzione dirimpettaie della cinta dell'ateneo, che hanno finora resistito alle notti e ai giorni dell'ira. Si danno da fare, adesso, a completare il segno dell'indignazione e della ribellione. Altri vanno a rafforzare il presidio della barricata. Altri ancora risalgono più su. Io vado in senso inverso, col miglior e più discreto sorriso inalberato sulla faccia, passo veloce, per vedere la scena sul 28 ottobre. E quando ci arrivo, capisco che finora ho capito nulla. Il corso è l'identica scena di azzeramento dei segni della proprietà e del commercio vista nelle strade minori. Ma elevata ad enne potenza. Un edificio che ospitava una filiale bancaria e uffici d'una finanziaria è in fumo proprio davanti alla facciata del vecchio Politecnico. Lungo tutto il 28 ottobre dominano i segni della furia. Il tappeto di proiettili improvvisati è a perdita d'occhio. Le carcasse abbrustolite della automobile anche. Ci sono altre intere facciate annerite dalle fiamme. L'accesso al tratto antistante all'ingresso dell'ateneo, guardando in direzione di piazza Omonia, è protetto da una solida barriera di contenitori giganti per rifiuti, in ferro, spostati di traverso al corso e allineati dalla forza di cento braccia. Sono anch'essi lavorati dalle fiamme e adesso biancheggiano. Da oltre la cancellata d'ingresso al Politecnico, ricoperta di striscioni neri, bianchi e gialli, con scritte giallee, bianche e nere in cui ricorre costante la parola "Dolofonoi", assassini e ancora assassini (e su uno è scritto anche: "Democrazia di guerra, assassini di Stato"), balza il fragore d'un concerto hard rock. Dopo, saranno i suoni del drum'n'bass. Più tardi ancora, del funky jazz. E di tanto in tanto, la lettura in stereofonia di qualche lungo comunicato. Decine, centinaia di giovani entrano di continuo in quel cortile, dove risuonano musica e discorsi e dove barbagliano i fuochi dei falò dei picchetti. Un fuoco per ogni accesso secondario, un fuoco per ogni angolo d'edificio del Politecnico. Dentro, sono migliaia. Nel grande spiazzo, nei viali interni, accampati nei dipartimenti. Ogni tanto escono, a gruppetti, per andare a rifocillarsi e comprar giornali ai due chioschetti lsignificativamente risparmiati, all'angolo del Museo Etnografico. I volti si scoprono e si rivelano volti d'ogni tipo. Universitari, alcuni veterani e i più di fresca iscrizione. Precari metropolitani e giovani proletari. Studentesse e studenti medi. Piercing e trucchi dark e facce "acqua e sapone". Tatuaggi e rossetti. "Bocce" e capelli a caschetto. Perfetti attivisti autogestionari e post-moderni in divisa sportivo-tattica, giovani vestiti da rave e tanti e tanti golfini, jeans svasati, sciarponi lunghi fino ai piedi, "chiodi" vintage, giacconi di velluto. Calzature "tecniche" e intramontabili anfibi e stivali coi tacchi e ballerine e clarks... Esci fuori, risali il corso 28 ottobre verso Omonia, tra gli sguardi vigili dei crocicchi di militanti più anziani e delle sfreccianti coppie di ragazzi di quartiere in motocicletta che vanno "di pattuglia" entrando e risbucando proprio da quel cancello universitario, e trovi il flusso. Un flusso continuo, da Omonia, da oltre, da dove è più sicuro parcheggiare motorini e utilitarie, dalle fermate dei radi ma nonostante tutto regolari bus (in questa vigilia di sciopero generale). Un flusso di ragazzi e ragazze qualunque. Matricole, soprattutto. E liceali. In gruppi d'amici, nelle mani birrette o Pepsi e qualcosa da fumare. Come se andassero tutte e tutti, semplicemente, a quel concerto. Come ad un bel concerto fra i vari. Mentre lo scenario che calcano è lunare e intorno infuria una guerriglia. Ma è la loro, evidentemente. La sentono anche propria. Loro che in quest'infuocato annullamento dell'ordinario, in questa raffigurazione rovesciata della guerra che fa da sfondo epocale alle loro vite, fluiscono liberi alla loro serata. Svagati e a testa alta. Come forse pensava di fare Alexandros, in giro ad Exarchia la sera di San Nicola. Alexandros, uno di loro. Risalgo il flusso e decido di ritornare a vedere cosa fa la falanga disfatta dei poliziotti in via Tzoritz. La raggiungo proprio da Kapodistriou e li ritrovo tutti lì. Ora è diverso: c'è un avanguardia in pedi dietro gli angoli dell'incrocio, ogni tanto un sottufficiale s'affaccia sulla strada e un lancio di pietre arriva dai giovani dall'altra parte, attestati a loro volta sempre all'angolo di Solomou. Dietro, fino al largo Kaningos, manipoli di verdi e di blu accoccolati appoggiati agli scudi, come opliti in pausa dalla battaglia. E vari fotografi tra l'avanguardia e i manipoli a riposo. E diversi cameraman e telecamere tutti su una riga, ben riparata proprio all'imbocco dello slargo. Dalla parte opposta, tra Solomou e la barricata, dietro le scure figure dei giovani di vedetta, il fuoco si mangia in lingue mosse dal vento quel che c'è ancora da bruciare. E le grida continuano, ad intervalli quasi costanti. Mi faccio sotto alle troupes televisive, constato che sono tutte di greci, chiedo giusto se si hanno notizie di altri fronti di scontro e ne ho una risposta negativa ma dall'aria per niente convinta e tanto meno informata. E decido di addentrarmi per Exarchia. Prendo Solonos, poi risvolto per la parallela di Tzoritz, Mrota, risbuco sulla Stournara. Dò una controllata alla situazione: sulla salita della via, a cento metri, altri anti-riots in verde in posizione statica e a distanza di sicurezza. Seguo un piccolo flusso di gruppetti di due-tre ragazzi e rientro nella traversa più su, Soulta. La statistica non cambia, sono tutte strade stravolte dalla rivolta, allo stesso identico modo: case e solo case, il resto è cenere. Così ovunque, per un raggio di centinaia di metri. Sbuco sulla Themistokleous e risalgo fino a dove si fa piazzetta, su fino ad Exarchion. Capisco un altro pezzetto della mia incomprensione. Tutti i locali sono aperti. Pizzerie al taglio, piccoli pub, kebabari e un paio di rock café. Formicola un qualche centinaio di giovani, intenti ai più rilassati ristori. E siamo a mezzo kilometro dal centro dell'insorgenza. Il punto è che è pure la loro. Che anche questo è lo stesso centro. Come il flusso dei ragazzi-faccia pulita sulla 28 Ottobre. Riconosco alcuni visti al vecchio Politecnico e sulla Stournara. Con altri. Ancora studenti e poi trentenni. Altri precari metropolitani. Di mezzo, solo un paio di fotografi in giro lungo anche loro e quattro o cinque facce di militanti "anziani", almeno tre donne sui quaranta, a discutere nottetempo in uno dei porticati. Nei giardinetti, pochi sparsi migranti malmessi e pusher intossicati anzichenò, in totale quiete su un paio di panchine. Poi, soprattutto, giovani - ragazzi e appena adulti - abitatori di Exarchia. M'affaccio sullo sbocco della Solomou sulla piazzetta e, appena dietro l'angolo di un pub dove diverse dozzine di avventori e avventrici s'affastellano fra il bancone e i seggioloni, in un portico, una decina di ragazzi stanno placidamente pasteggiando a champagne molotov. Fabbricano bottiglie incendiarie - alla "maniera antica", bottiglia grande, benzina e straccio e basta - con la maggior calma del mondo e intanto chiacchierano. Ogni tanto s'aggiunge uno o un paio, proveniente dallo stesso pub. I vicoli in salita dalla piazzetta sono meno incendiati del resto: per il banale fatto che grandi catene qui non ce ne sono quasi. Parchimetri, cassonetti e rade automobili a sbarrare gli incroci recano comunque la testimonianza del fuoco. I pochi uffici di cambio e tutti i bancomat, completamente sciolti dai roghi. Più che altro, ai lati delle vie le case sono un solo enorme mural di scritte. Quelle d'altra epoca ci sono, ma subissate dalle fresche di al massimo 72 ore. Una quantità inverosimile dedicate ad Alexandros, "Alexis", "Un ragazzo di 15 anni", "Assassinato dal potere", "dallo stato", "dagli sbirri", "dal sistema", "dai fascisti in divisa", "dai fascisti democratici". Alexandros Grigoropoulos che ad Exarchia c'era stato solo qualche volta, prima. Ma che qui, nelle scritte, negli ex voto rivoltosi di Exarchia, "vive": "nei nostri cuori" o "nel mio cuore", "nella nostra rabbia" o, ancora, "nella mia". Gli danno del tu: "sarai vendicato", "non ti dimenticheremo", "avrai giustizia dalle nostre mani", "ti porterò con me nella lotta"... Riscendo per Themistokleous fino al corso di Akademias: i segni di battaglia ci sono, inconfondibili, ma ora la calma è totale, persino pesante nel deserto di umani solcato solo dalle corse di taxi e vetture private, a pochi passi dall'Armageddon. Che però resta in pausa a sua volta, come constato risalendo Kaningos e risvoltando da Kapodistriou sulla strada della battaglia di questa terza notta di rivolta, Tzoritz. L'unica variante rispetto a prima è un pizzico di surrealismo e di scenario fantascientifico in più: i poliziotti, adesso, vengono puntati uno per uno da un laser verde proiettato da una finestra del vecchio Politecnico. Da Blade Runner a Star Wars... Mi incammino per un altro giro, quindi, a raggio più largo, giusto per constatare che per almeno 240 gradi il raggio degli effetti dell'ira non cambia di ampiezza e che l'ipermercato completamente bruciato è accanto al grande hotel Polis evacuato e discretamente sbruciacchiato anch'esso e inoltre che è solo uno di oltre una mezza dozzina di interi edifici, interamente occupati da grandi esercizi, totalmente distrutti. Giro anche piazza Omonia, sempre in una calma surreale e apparentamente intatta, se non fosse che appena venti metri su corso Venizelos due stanchi e depressi militanti del KKE - che ad un angolo ha il suo centro di comunicazione - si scaldano con i resti del falò d'una boutique di lusso; probabilmente imprecando "gli anarchici". Al ritorno su largo Kaningos, un attimo prima di imboccare la porta dell'hotel, un rimbombo di urla richiama l'attenzione. Le troupes televisive se ne sono andate, già viste "smontare" e imbarcarsi sulle vetture di servizio al passaggio prededente, segno che la battaglia per stanotte si prevede conclusa. Ma proprio adesso, mentre i blu si ritirano a loro volta verso i grandi bus parcheggiati nel "mio" largo sequestrato in piazza d'armi, si scorge il gruppeto dei verdi, reduci di Tzoritz, imboccare rapidi Mrota. Mi fiondo, sento urla, vedo due figure vestite di scuro sgusciare da una raffica di manganellate dei primi del gruppo. E vedo spuntare dall'angolo di Solomou lo stesso gruppetto di "vedette" locali che stava all'incrocio di Tzoritz. L'ufficiale ordina con chiarezza la ritirata, i primi della fila restano gli ultimi e si soffermano a gridare qualcosa, lungamente, ai ragazzi in fuga verso l'Exarcheion. Un sottuficiale mi vede e gli dice, palesemente, di smetterla e affrettarsi. Mi avventuro a chiedere alle "vedette", in angliano, che cosa avessero detto i poliziotti. La risposta, insperata, mi arriva. Pare dicessero: "Hai paura di morire come il vostro amico? Ma io mica ti sparo, ti uccido a botte". "Vi ammazziamo quando vogliamo". E anche: "Aspettate il giorno per vedere cosa facciamo alle vostre ragazze, teppisti di merda"... Intanto, adesso, si ritirano. Fra le ceneri. da Atene Anubi d'Avossa Lussurgiu da www.rifondazioneperlasinistra.it
Ritratto di Luca

"Fino all'ultimo di noi": l'assemblea dei ragazzi perduti scatta nell'ovazione, oltre duemila mani ritmano lo slogan che risponde. Una frase da tragedia classica: "Il sangue scorre e chiede d'essere vendicato". Ma non è retorica. Lo dicono con tutti se stessi. Non è machismo: sono le donne a incitare con più forza. Non è ideologia: la mettono al bando totalmente. Credono a quello che dicono, quel che dicono è semplicemente quel che fanno. Ed è la determinazione più estrema che si possa immaginare. Chi sono, da quale dimensione parallela sono piombati, questi studenti asserragliati nel Politecnico di Atene? Nichilisti? Invasati? Ma perché? L'Aula Magna è gremita, malgrado la maggior parte di chi è tornato dalla manifestazione sia già tornato a prepararsi materialmente alla rivolta. Una scarna presidenza tenuta da due compagne tiene con sobrietà il filo della discussione. Chiunque interviene, senza microfono, passandosi la parola in un dialogo serrato e fatto di discorsi che, a non esserci stati, sembrerebbero incredibili. La ragazza alla fine riassume le "proposte emerse": primo, "deve cadere il governo assassino". Secondo, "dev'essere fatta giustizia del sangue di Alexis e i poliziotti assassini devono pagare". Terzo, "la polizia assassina deve sparire dalle nostre strade". Quarto, "dobbiamo avere un nostro canale di comunicazione, a partire da una radio". Quinto, "intanto dobbiamo prenderci quelli che ci sono, dall'uso di tutti i media indipendenti nel mondo all'irruzione nelle stazioni radio e televisive ufficiali". Sesto, "tutte le scuole, di ogni ordine, devono rimanere chiuse fino a Natale". Settimo, "dobbiamo produrre azioni ogni giorno". Ottavo, "ci dobbiamo organizzare meglio, a partire dalla raccolta di infermieri volontari". Nono, "ognuna ed ognuno deve avere una pietra, in ogni momento in cui serva". Nel pomeriggio di ieri, appena prima di ricevere il colpo d'una repressione che il potere combattuto vorrebbe risolutiva, il cuore dell'insurrezione si riunisce e dibatte. Sì: è insurrezionale la situazione che si vede ad Atene, che si riverbera dalla notte fra sabato e domenica scorsa su tutta la Grecia. Un'insurrezione generale? No: un'insurrezione di valore generale. Sono quei corpi, quei volti che ieri mattina si sono ritrovati in decine di migliaia ad assediare il Ministero degli Interni greco, a sfidare la falange oplitica degli antisommossa posti a guardia degli uffici del loro ministro che si è messo a guardia del loro nome, mentre in tutta la Grecia li si chiama "assassini". Erano almeno cinquantamila i giovani che sono rimasti in piazza Regina Sofia, grande due volte la romana piazza del Popolo, quando già l'avevano lasciata i partiti della sinistra alternativa e i pochi sindacati, del settore pubblico, scesi in piazza nella capitale ellenica durante lo sciopero generale proclamato dalla Csee, la confederazione più generale e più radicale ma che, se pure ha tenuto testa all'intimazione di revoca del premier Costas Karamanlis, non si è fatta vedere ieri nelle strade ateniesi. Quel che s'era già visto, invece, è che anche quando si contiene nelle forme della dimostrazione, del corteo, questa rivolta fa saltare tutti gli schemi. I primi azzerati sono stati quelli del gioco partitico: il concentramento indetto a piazza Omonia dal Kke, i comunisti "ortodossi", è stato snobbato dalla massa dei giovani fluiti al corso 28 Ottobre, verso il Politecnico, per circondare solidalmente i protagonisti di questi giorni dell'ira. Poi, sono saltati anche gli schemi della sinistra alternativa ed "estrema" tradizionalmente intesa. Dal Politecnico sono partite anche le organizzazioni trotzkiste e comuniste "estraparlamentari", ma si sono ritrovate a fare uno spezzone distanziato davanti ad un fiume di gente formatosi strada facendo. E' stato il fiume aperto dal coraggioso sindacato degli insegnanti, in piazza con le reti dei parenti dei "martiri", fin dalla dittatura dei colonnelli, sotto lo striscione "In lotta a difesa della gioventù e della democrazia". Uno scudo di chi aveva mediamente l'età di Alexandros Grigoropoulos, Alexis, il martire delo Stato nella sera di San Nicola, quando l'esercito della dittatura fascista entrò al Politecnico 35 anni fa, schiacciandone nel sangue la rivolta per la libertà. Uno scudo di gente visibilmente "tornata in piazza" e visibilmente commossa, intenzionalmente posto a difesa dei tanti studenti ginnasiali in marcia ieri, guidati dal piccolo striscione degli amici di Alexandros. A loro volta, i ginnasiali a protezione di qualcun altro: l'agibilità della piazza per gli occupanti dell'università. Che infatti si fanno vedere, in moltissimi, davvero troppi di più dei "cento facinorosi" o "teppisti" additati da Karamanlis precipitato (pericolosamente) in una crisi totale dal podio del record di consensi personali da leader politico della destra greca. Lungo il corso Akademias, questo fiume cresce, si espande, tracima. In strada c'è praticamente tutta l'università. Ma non solo: sono tornati, nonostante le botte prese il giorno prima insieme agli insegnanti davanti al Parlamento, i liceali. E sono tornati in forze. Molte scuole sono già state occupate la sera prima dello sciopero. Poi, una partecipazione molto meno determinabile, ma non meno eloquente. Le tribù dei circuiti autogestionari, certo. E, certo, gli anarchici: trasversali ai settori sociali mobilitati e con un radicamento storico e riconosciuto. Ma soprattutto una composizione vastissima, di precariato intellettuale, "colto", "competente", l'intellettualità di massa ateniese intorno ai trent'anni. Una quantità di giovani donne e di giovani uomini, anche loro con la faccia del "ritorno in strada": stavolta, da una parabola più recente d'impegno e di esperienze sociali, che riguarda più direttamente la congiuntura in cui s'inquadra questa rivolta perché è stata quella delle lotte dei tre lustri trascorsi contro le politiche neoliberiste, giunte al saldo fallimentare della crisi globale. E perché è stata una parabola di autodeterminazione, di educazione all'autogestione e a mille nuove declinazioni attive, culturalmente forti, dell'antifascismo. Se si dovesse ricorrere ai paragoni, bisognerebbe incrociarne di diversi per rendere l'idea di questo strano animale visto ieri ad Atene: il movimento francese del 1993-94, il primo per un nuovo welfare, con le piazze italiane del "ciclo" a cavallo fra gli ultimi anni 90 e l'immediato post-Genova. E non basterebbe, comunque. Perché tutta questa gente, diversa ma quasi naturalmente affiatata, esprime una determinazione materiale persino più netta di quella delle interminabili giornate parigine di quindici anni fa. Lo si vede subito davanti al Ministero degli Interni: "gli altri" sono già sfilati via, il Kke è rimasto sulle sue ad esibire triplici barriere di militanti "Stalin" alla mano proprio ai lati del corteo, come a guardarsene. Il sindacato generale ancora non si vede e alla fine non si vedrà più. Sfila via anche la sinistra alternativa, particolarmente forti i settori di Syriza aperti da uno striscione del Synaspismos: e almeno questi, all'arrivo del fiume "autodeterminato", per quanto siano anche loro un poco tesi e tutti organizzati in cordoni "autoprotetti", hanno la buona grazia di fargli spazio e mutuarne gli slogan. Così, sfila via anche lo "scudo" degli insegnanti; e con loro i primi ginnasiali. Ma poi ti guardi indietro e noti che si forma un vuoto: dietro è rimasto qualcuno. Cioè tutti: la piazza s'è di nuovo riempita, il fiume l'ha colmata. E adesso non si muove. Sostiene, con la pressione fisica e coi cori, i ragazzi che si fanno sotto ai cordoni degli anti-riot, distesi a protezione del dicastero. Insulti, arance, le prime bottiglie, inizialmente di plastica. Poi, le prime spruzzate di gas dai cordoni della polizia. E volano pietre, allora. Quindi, la piazza viene bombardata: di Cs in gas e in granate a spargimento di polvere sottile. Peggio di Genova. Ma qui pare la gente sia stata già abituata dallo Stato a questa deliziosa innovazione. Così, continua a non muoversi. Si muovono invece, in avanti, i ragazzi. I cordoni sono bersagliati, malgrado i lanci lagrimogeni e urticanti che ormai saturano l'aria. Finché partono le cariche. E allora una parte del fiume riprende a scorrere, l'altra resta separata, a resistere in piazza. Dura poco: la gente fa pressione dai due lati, tutta insieme, la polizia è respinta. Si sente un solo grido, scandito all'infinito e l'intonazione sembra epica finché non traduci: "Sbirri, maiali, assassini!". E poi "Fascisti e assassini, Alexis è ognuno di noi". Il fiume si riunifica. Per tornare ad essere separato e poi a riunirsi di nuovo, a forza di controassalti, altre due, tre volte. E' un assedio, di massa. Sino a quando non compare da parte della polizia la tattica "genovese": partono le cariche in piazza ma vengono chiuse anche tutte le laterali "di sfogo" su corso Venizelou, da cui il corteo deve tornare in zona Omonia e Politecnico. E anche da quelle laterali partono cariche: prima da una, poi da altre due, infine da tutte. Il fiume è frantumato. Ma, incredibilmente, aggredito da ogni parte, gasato all'inverosimile, ogni pezzo resiste. Le cariche sono contenute e respinte, una per una. Puoi vedere ragazze "neo-romantic" combattere per il controllo della strada come insorgenti esperte. E puoi vedere ragazzini 13enni, delle medie, scagliarsi ad ondate insieme agli "okupa" veterani sui manipoli di anti-riot. Alla fine, vincono tutti loro: la polizia si trova ad un bivio, decidere per il massacro di massa o la ritirata. Passa la seconda. Troppe le telecamere, sicuramente. Ma troppa anche la sorpresa di episodi come quello animato dagli avventori, normali signore e signori, del café di fronte al Panepistemio, su Venizelou: gli squadroni antisommossa rodeano all'inseguimento dei ragazzi armati di pietre e loro si alzano come un sol uomo dai tavoli, ripresi dalle troupe televisive, per unirsi al grido di sempre. "Dolofoni": assassini. Gridano "andatevene", "vergognatevi", "i ragazzi hanno ragione". Davvero troppo. Quelli del Politecnico sono gli ultimi ad uscire da piazza Santa Sofia e il corso lo percorrono in un folto corteo, una dimostrazione di forza a vanto della riuscita resistenza di strada, a volto scoperto e coi primi duemila che avanzano a passo cadenzato, con uno slogan storico dei predecessori di 35 anni fa: "Sollevati popolo, cammina a testa alta". E tornano così all'Ateneo, non prima d'aver rimpianto di non aver inseguito tutti insieme un gruppetto di provocatori fascisti all'opera nelle traverse con Akademias: al fianco della polizia, come è già successo a Patrasso. La zona lungo la 28 Ottobre, che da Omonia porta al Politecnico, è ormai beiruttizzata dalle precedenti quattro nottate di furia. E l'ultima, in verità, è stata provocata da un tentativo senza precedenti della polizia: entrare nell'ateneo, sia pure in una facoltà distaccata, come Legge. E assediare poi il Politecnico. Le ultime strade se ne sono andate in fumo per spezzare questa pressione. Uno scenario che incombe anche dopo una giornata così, lo sanno bene. Per questo si riuniscono in assemblea, per darsi un respiro più ampio che aiuti ad affrontare la ripetizione senza esaurirsi. Prima, giusto il tempo di andare per folti gruppi a controllare la zona di Exarchia. Dove capita di incontrare altri tipi di epifanie: come la scritta su un furgone calcificato dal fuoco posto a barricare un vicolo, "Se le città bruciano sono i fiori che nascono". L'assemblea è l'epifania definitiva, però. Perché è come ritrovarsi allucinati in un clima da "Trecento", solo moltiplicato per molte volte, fatto maschile e femminile e alternativo, anziché fascisteggiante. Un clima rivoluzionario, si direbbe: perché si interviene come uno s'è sempre immaginato si intervenisse ai Consigli rivoluzionari in tempo di guerra civile, o al Comitato alle Barricate della Comune di Parigi. E', in effetti, l'intonazione d'un consiglio di guerra. Queste e questi, in verità, combattono. E hanno deciso di battere anzitutto la paura: l'hanno fatta fuori del tutto, anzi in un tutt'uno con il limite. Sono belli e belle, d'una bellezza eroica, davvero senza retorica, d'eroismo di fatto, integrale, anche nello scandire e nel gestire. Li guardi bene in faccia, uno per uno, una per una, e sono identici spiccicati, sorelle e fratelli gemelli di quelle e quelli che hai visto in Onda in Italia. Sono pragmatici anche i loro discorsi, infatti. Solo che il pragmatismo sta sulle barricate. Certo che è nichilista: parlano esplicitando l'annichilimento di ogni orizzonte, in un mondo di merda, che fa da cornice alla loro ribellione. Sono esplosi nella sola cosa che possono e vogliono mettere a valore, adesso: la comunanza dell'indignazione. Non si danno limiti perché è il potere ad averli oltrepassati: questo è il segno dell'assassinio di Stato di Alexis. E così, dopo l'assemblea, se ne vanno saltellando a centinaia con le loro All Star, frammisti a qualche storico vicino tossico dei giardinetti fra il Politecnico e il Museo Epigrafico, che ha ancor meno da perdere di loro, incontro all'assedio degli anti-riots. Sono quattro-cinquecento solo quelli che vanno a sfidarlo nella stretta via Averof, traversa del 28 Ottobre davanti all'ingresso principale dell'ateneo. Un balletto che dura oltre un'ora e che finisce però rapido in escalation. Di fronte al gasamento poliziesco, se vuoi combattere, dopo le pietre c'è a contendere il terreno alle cariche solo l'arma storica consegnata dal Quartiere Latino del Joli Mai parigino: lo champagne molotov. Che al Politecnico della resistenza ai colonnelli ha una sua tradizione. E', ovviamente, l'icona su cui punta intanto mediaticamente il governo delle destre per criminalizzare come un "gruppo di paraterroristi da isolare" questo cuore d'insurrezione giovanile. Ma, iconizzazione negativa a parte, le molotov intanto piovono a sbarrare la strada alle cariche: che sono segno evidente della volontà di stringere l'assedio. Tant'è, i numeri della polizia si scoprono: sono genovesi anche loro, torme di anti-riots appaiono all'infinito, via per via, a provocare una battaglia in ogni strettoia. Finché fanno il passo definitivo: tutta la forza di quei numeri, tutta, viene gettata in una carica generale, dal fronte principale alla laterale del Politecnico già protagonista della notte di fuoco precedente, Stournara. Giusto il tempo di dirsi "una roba così non la domano se non con un colpo di stato di fatto, perché come fai ad arrestare 5mila disposti a tutto?", che la minaccia si appalesa. Le migliaia di studenti e giovani metropolitani sono pressati dalla carica furibonda sin dentro le cancellate dell'ateneo, che viene saturato di gas e polvere di Cs. Una nuova notte di fuoco, così, è scientificamente consegnata alle cronache. Col fuoco viene riconquistato il respiro e il canale di uscita di Stournara, col fuoco la 28 Ottobre. E nel fuoco, malconci per le botte che si è fatto in tempo a prendere balzando dentro al Politecnico, col viso coperto di Malox per lenire l'urticazione, lasciandosi indietro un Gravroche ateniese del 2008, di anni 9, spuntato da chissà dove nella miseria metropolitana, che grida e tira di tutto ai poliziotti, si riprende il viaggio surreale attraverso i locali circondati da barricate di Exarchia, verso l'albergo. Con nella testa una domanda dolorosa: finirà, questo cuore insurrezionale post-moderno, questa vena aperta dell'Europa in collasso, in una repressione simile a quella dei predecessori, solo sotto altre spoglie. E poi un'altra, più difficile: "Se dev'essere il nulla, perché dovrebbe avere torto, questa gioventù eroica suo malgrado?".