Grecia, la polizia uccide un ragazzo, Alexandros. Scontri e riot in molte città
Durante gli scontri esplosi ieri nel quartiere Exarchia di Atene la
polizia ha aperto il fuoco e ucciso un 15enne. Reazione diffusa e
rabbiosa: scontri con la polizia in molte città, occupate diverse
università della capitale. Governo e polizia in difficoltà, non si
fermano nemmeno oggi gli scontri e le proteste
Violenti scontri sono scoppiati nel quartiere ateniese di
Exarchia nella serata di ieri
, intorno alle 20 italiane. I manifestanti, caratterizzati da una
composizione prevalentemente studentesca, data anche la vicinanza del
quartiere con l'università, hanno dato filo da torcere alla polizia
greca, che ha risposto caricando duramente. Durante gli scontri un
veicolo della polizia è stato bersagliato dal lancio di pietre ed
oggetti da parte di un gruppo dei ragazzi, dopodichè uno dei poliziotti
presenti sulla camionetta è sceso ed ha fatto fuoco contro i
manifestanti, sparando tre colpi di pistola, uno dei quali ha colpito
Andreas Grigoropoulos, 15enne morto di lì a poco in ospedale.
Immediata è stata la reazione datasi subito dopo la diffusione della
notizia dell'uccisione di Andreas, in poche ore la capitale ha visto
incrementare i suoi focolai di proteste, con un corteo che ha
attraversato il centro città ed un duro confronto di fronte
all'università degli studenti contro la polizia. Il carattere di
guerriglia urbana è subito emerso non solo dagli scontri con le forze
dell'ordine, che sono stati bersagliati con pietre e molotov, ma anche
dagli attacchi portati avanti contro auto, cassonetti dell'immondizia,
banche e negozi. Ad Atene si è ovviamente avuta la risposta prima e più
estesa, con gli studenti protagonisti degli scontri, oltre che
dell'occupazione del Politecnico e di molti altri atenei della
capitale. Inoltre nel quartiere in cui è stato ucciso il ragazzo sono
stati centinaia i cittadini incolleriti a scendere in strada per
protestare contro l'uccisione e l'operato della polizia, così come
contro il governo di destra di Costas Caramanlis. Le proteste ed i riot
sono andati avanti ad Atene così come in tante altre città del paese
(Salonicco, Patrasso, Komotini Heraklion e Ioannina le "città più
calde" fuori dalla capitale) lungo tutta la notte. Secondo un primo e
provvisorio bilancio sarebbero 24 gli agenti feriti, 6 i manifestanti
arrestati, almeno 30 le attività commerciali danneggiate o bruciate, 17
le agenzie bancarie attaccate, oltre 20 le auto incendiate (5 della
polizia).
- I video degli scontri su Repubblica Tv e su Corriere Tv
Oltre che nella notte sono proseguiti gli scontri anche nella giornata di oggi, non solo ad Atene si sono verificati attacchi a colpi di pietre e molotov contro i cordoni della polizia dispiegati in città. Nel pomeriggio migliaia di persone hanno manifestato nella capitale, che resta il fronte più caldo ed esplosivo, almeno 5mila persone si sono radunate nel luogo dove ieri è stato ucciso il 15enne: sono stati presi di mira di nuovo banche e negozi, una molotov lanciata contro la succursale di un concessionario della Renault su viale Alexandras ha provocato un incendio. La polizia ha usato la mano dura per disperdere i giovani, caricando e usando gas lacrimogeno, attacco al quale hanno risposto con determinazione ricorrendo a spranghe bastoni e pietre. Altri scontri si sono poi verificati quando le forze dell'ordine hanno impedito al corteo di raggiungere il quartier generale della polizia, in molti hanno provato ad arrivarci per vie secondarie.
Lo zoccolo duro delle proteste, oltre che luogo in cui si è verificato l'omicidio di Andreas da parte della polizia, è il quartiere Exarchia di Atene: animato da molti gruppi antagonisti e sinistra, storico per la valenza che ha avuto nella rivolta contro i colonnelli nel 1973, infatti fu l'Exarchia il "quartier generale" della contestazione alla dittatura fascista ad Atene, da cui partì la rivolta degli studenti che poi occupo il Politecnico, cosa che si sta riproponendo anche in queste ore. Le manifestazioni di ieri, quindi l'origine degli scontri, sono da inserire all'interno del percorso di contestazione da parte degli studenti e delle studentesse della riforma della scuola e dell'università, così come di un malumore diffuso contro il governo di destra al potere.
Si ripete intanto una storiella già sentita anche a casa nostra, come ad esempio per l'omicidio di Carlo Giuliani al G8 di Genova o per l'uccisione dell'ultras Gabriele Sandri: l'agente sostiene di aver sparato per terra, il proiettile sarebbe rimbalzato...
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Commenti
roberto (non verificato)
Mar, 09/12/2008 - 19:22
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per chi suona la campana di Alexandros
di Anubi D'Avossa Lussurgiu da www.liberazione.it
«Dolofonoi», assassini: questo è il grido per le strade e le piazze in fiamme di Atene e della Grecia, scritto a caratteri cubitali sulle mura del Politecnico assediato dai reparti antisommossa, dipinto sugli striscioni di cento manifestazioni, urlato dai giovani in rivolta che sfidano il governo delle destre e la criminalizzazione del movimento, dalla notte fra sabato e domenica scorsa. Da quando Alexandros Grigoropoulos, 15 anni, un volto ancora da fanciullo, casa borghese alle spalle, in giro con gli amici la sera di San Nicola, è stato ucciso da un proiettile nel cuore: un proiettile di Stato, sparato da un agente di pattuglia nel quartiere studentesco e autogestionario della capitale, Exarchia. Proprio davanti al Museo Archeologico Nazionale cioè alla vecchia sede del Politecnico, dove nel 1973 gli studenti sfidarono il regime dei colonnelli, repressi nel sangue. Exarchia: lo stesso quartiere dove nel 1985 un altro studente adolescente fu ucciso dal piombo della polizia. E' una storia greca, certo. Ma la campana di Atene (e di Salonicco, Patrasso, Rodi, Creta...) suona per tutti. Perché quello di Alexandros è un assassinio di Stato maturato in una temperie che vede il governo Caramanlis impegnato nella ricerca del "potere della paura" come tanti altri in questo scorcio del primo decennio degli anni 2000. E perché il movimento giovanile che ne è stato colpito e che ora reagisce è uno dei protagonisti, come l'Onda in Italia, d'un serpeggiante movimento europeo insorto in coincidenza con un passaggio macroscopico: la crisi globale. Da settimane, mesi, anche in Grecia è in corso una mobilitazione permanente studentesca. Come in Italia, come in Francia, come in Catalogna, come in Germania. E come ovunque, si tratta d'un movimento che parla ad una realtà più generale: perché gli studenti di oggi sono un settore ampio del precariato diffuso e perché la loro contestazione alle "riforme" del sistema formativo parla al disastroso saldo sociale di sistematiche politiche pubbliche, nel momento stesso dell'esplosione della crisi. Perché, inoltre, quel precariato studentesco è anche la figura viva della incipiente fine dei "ceti medi" e dunque d'una delle principali bandiere ideologiche sotto le quali quelle politiche sono state promosse; così come è figura viva del destino di un'altra di tali bandiere, il binomio "flessibilità-mobilità" declinato concretamente in competizione sul terreno del sotto-salario, mentre il Welfare è andato impoverendosi anziché rafforzarsi. Basta guardare qual è il cardine intorno al quale le "riforme" si sono articolate, in tutt'Europa: lo hanno esplicitato maggiormente alcuni movimenti di protesta di questi mesi, a Barcellona come appunto in Grecia, e si chiama «Bologna Process». Una politica ufficiale dell'Ue tesa formalmente alla «armonizzazione» dei sistemi e, precisamente, all'accrescimento della «mobilità»: ma che ha da quasi un decennio sancito un'ulteriore stretta nei processi di aziendalizzazione e di gerarchizzazione dell'offerta formativa - con l'introduzione dei "crediti" e del sistema "duale" dei titoli (il «3+2» italiano). E che non a caso in sede comunitaria si è materializzata nella fusione della conferenza europea dei rettori universitari con la Tavola rotonda degli industriali. Il Bologna Process risale al 1999: come si vede, un filo rosso lega il contesto politico attuale del precipitare della crisi e dei conflitti sociali in Europa, a quello dei tentativi di governo della globalizzazione "neoliberale" che proprio nella crisi giunge a saldo. E lega dunque il quadro odierno di un prevalente slittamento a destra della governance europea, a quello della fase d'egemonia delle ipotesi «neoriformiste» consacrate al «temperamento» del neoliberismo. Non è un caso se uno slogan molto ascoltato nelle piazze in Italia nelle settimane scorse ossia «Non abbiamo governi amici!» è indubbiamente sentito da tutte le mobilitazioni in Europa. E' questa la lente che aiuta a capire come mai anche l'«opinione pubblica moderata» si interessi ora ai movimenti giovanili, alla loro rivendicata «indipendenza», persino al protagonismo anarchico e autogestionario in questi giorni dell'ira in Grecia, dopo l'omicidio di Stato di Alexandros. Si intuisce una preoccupazione, un'ansia, un principio di panico: quello delle "classi dirigenti", nei giorni di vigilia dei primi scioperi generali di questa stagione in Europa, di fronte all'imprevisto eppure fatale apparire dell'«inconveniente della storia». Questa figura oggi può, minaccia d'essere incarnata da settori delle nuove generazioni capaci di parlare a tutta la platea dei soggetti destinatari in solido del conto del "governo della crisi". E' la figura che si dota d'una indicazione di fondo, totalmente negativa e perciò stesso, in questa situazione concreta, costituente: «Non paghiamo noi la vostra crisi». E' questa la chiave della centralità sociale e politica dei movimenti di studenti e precari; prima e oltre l'epifenomeno materiale delle banche e degli esercizi della grande distribuzione e del consumo di lusso dati alle fiamme in Grecia. Ma anche questa specifica furia della protesta contro un potere assassino e contro una conseguenza estrema di quel "governo della paura" che nel tempo della guerra globale ha cercato di frapporsi alla crisi (e fra le cui inaugurazioni vi fu l'omicidio di Carlo Giuliani a Genova, così insopportabilmente affine a quello di Alexandros), anche questo preciso scegliere come simboli da distruggere i terminali dei poteri economici che sono stati protagonisti dell'intera fase di "sviluppo" precipitata ora nel fallimento, è qualcosa di eloquente, che va osservato senza manicheismi e al di là dei giudizi "di metodo". Di certo così lo osserva, nervosamente, chi abita le stanze del potere che conta davvero: come il segno d'un bivio. Quello tra il dilagare d'una insorgenza sociale persino necessitata ad eccedere, con un nuovo protagonismo, la "crisi della politica" che fa cornice alla crisi economica e sociale (come conferma la crisi di establishment sottesa al caso-Obama negli Usa e senza tema di smentite dai disperati sussulti di sovranismo nazionale cui si ricorre per tamponarla); e l'uso fino in fondo della «natura bruta» dello Stato per fermare, spezzare il dispiegarsi di questa potenza di conflitto e cambiamento. Una strada che il governo greco sembra voler inaugurare: ma in fondo alla quale non si sa cosa si troverà. Specie quando in una nuova generazione riaffiora quel pensiero di Panagulis: «Voglio vincere, perché non posso essere vinto». 09/12/2008
roberto (non verificato)
Mer, 10/12/2008 - 16:57
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Le ceneri di Atene
Luca (non verificato)
Gio, 11/12/2008 - 11:09
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Ancora Anubi da Atene