Mario Tronti scrive una impietosa analisi della vittoria di Obama indirizzata alla sinistra!
Mario Tronti scrive un’impietosa e polemica analisi della vittoria di Obama. La scrive all’indirizzo della sinistra che si illude ma anche di quella incerta e di quella che ha tutto chiaro.
Allora, compagni. Come tutti avete potuto vedere, il mondo, a far data dal 4 novembre, è cambiato. Il cielo è sempre più blu, la terra sorride aperta finalmente all'audacia della speranza, le nostre notti non sono più cupe, rivisitati come siamo dal sogno americano. Il messia è tornato, come aveva promesso, cammina non sulle acque, ma sull'etere, narrazione di parabola in parabolica, questa volta per messaggini. Vi ricordate l'11 settembre? Nulla sarà come prima. Tutto è stato come prima. Questo è un 11 settembre rovesciato. Di nuovo, «siamo tutti americani». E non cambierà niente. Niente di quello che ci interessa cambiare.
Avete capito che sto gettando acqua sul fuoco, non per spegnerlo, ma almeno per circoscriverlo. Poi, speriamo sempre che la scintilla infiammi la prateria. Non ci saranno dunque conseguenze? Altroché se ce ne saranno! La soluzione questa volta è stata trovata quasi all'altezza del problema. Quasi: perché la crisi di fase capitalistica è più grave, più tosta, dell'invenzione di immagine, della risorsa simbolica, che si è messa in campo. Ma comunque, questa conta, e come se conta! Lo vediamo in queste ore, in questi giorni. Gli Usa di ieri, frastornati, disorientati, depressi, sono «rinati», come i ridicoli cristiani delle loro sette. Il fatto macroscopico, quello su cui dobbiamo prendere a ragionare, quello dentro cui dobbiamo mettere anche il successo Obama, è la chiusura del ciclo neoliberista, il crollo della finanziarizzazione selvaggia del capitale, la rivincita dell'economia reale, che si fa di nuovo viva come crisi della produzione materiale, con tutte le paure, le incertezze, i bisogni di voltare pagina, che essa porta con sé. E' questo che ha reso possibile, perché necessaria, la vittoria della parola change. Non la spinta dal basso di una partecipazione popolare, con i suoi appassionati volontari, espressione spontanea della vitalità di una meravigliosa democrazia.Questa c'è stata, ma come un'onda provocata, raccolta e orientata verso un volto nuovo di «personalità democratica», che abbiamo già altre volte descritto come corrispettivo aggiornato della adorniana «personalità autoritaria». Attenzione. Qui l'accento batte non sugli aggettivi, democratica e autoritaria, ma sul sostantivo, personalità. C'è un problema preciso, teorico e storico: perché la democrazia, al pari del totalitarismo, ha bisogno, per funzionare, dell'idea e della pratica della personalità? Perché si fa il vuoto nelle istituzioni, e nelle organizzazioni, per riempirle poi con un volto? Problema. E un'altra cosa, meno astratta, più empirica. Da dove sono uscite le enormi risorse finanziarie di Obama, che hanno fatto apparire indigente nientemeno che la famiglia Clinton? In che percentuale sono state esse il frutto della mobilitazione dei neri, delle donne, dei giovani? E quali e quante le altre fonti?La mia idea è netta, e la esprimo in modo netto, perché se ne possa lucidamente discutere: Obama ha vinto, perché a un certo punto l'establishment ha scelto Obama. A un certo punto: all'inizio, solo pezzi di esso si erano esposti, i più avvertiti, di fronte al disastro finale di Bush, poi, con l'esplosione della crisi vera, il grosso non ha avuto più dubbi. E il personaggio è volato nei sondaggi, anch'essi non certo spontanei. In democrazia, vince chi riesce a farsi presentare come il prossimo vincitore. Abilità e forza comunicativa aiutando. Il cambio è niente altro che un cambio di leadership, nel tentativo di riacchiappare un'egemonia che scappa. E siccome si tratta di un'egemonia-mondo, ci vuole un global leader. Poteva assolvere a questa funzione il vecchio soldato MacCain? Evidentemente, no. Guardate lo spostamento dell'opinione pubblica mondiale, di destra, di sinistra e di centro, prima e dopo le elezioni americane. Impressionante. Anche qui è un'onda. Per resistere, bisogna come Ulisse farsi legare al palo della nave, visto che non possiamo non vedere e non udire.La verità è che gli americani sono oggi veramente in tutto debitori dei cinesi. Hanno infatti applicato alla lettera il motto di Deng: non importa se il gatto è bianco o nero, importante è che acchiappi il topo. Miei cari, i topi siamo destinati ad essere noi. Bisogna togliersi dalla testa che il partito democratico sia la sinistra e il partito repubblicano la destra americane. Non sono nemmeno il centrosinistra e il centrodestra, come vorrebbero i nostri ulivisti mondiali. Il bipartitismo perfetto e la perfetta alternanza di governo funzionano soltanto quando ci sono due partiti centrali di sistema. Sì, due diversi bacini di consenso, distribuiti socialmente e territorialmente, due blocchi di interessi tradizionali, molto mobili e trasversali, anche due scale di valori e di diritti, ma il tutto orientato sempre all'uno della grande nazione «eccezionalista». Impallidiscono i nostri nazionalismi europei di fronte a quello americano. Solo che quello non si chiama così. È Impero del Bene, religione democratica universalmente salvifica.
Chi più che un predicatore nero può oggi raccogliere le bandiere che i maledetti neocons hanno lasciato cadere nella polvere della guerra infinita? Se Malcom X diventa Obama, è perché il calderone di fusione ha funzionato alla perfezione. Nessun pericolo. Anzi, una formidabile opportunità. L'America è un luogo dove tutto è possibile: che un nero entri alla Casa Bianca e che diventi quindi un bianco qualunque. La novità c'è. Non è questo il punto. Ma l'arte di disporci dinanzi al nuovo in modo non subalterno, non l'abbiamo forse imparata? Il nuovo non ha un valore in sé, va misurato sulla nostra condizione presente, se siamo in grado di assumerlo e governarlo e piegarlo. Per quanto detto sopra, nei confronti di un cambio di leadership nel bipartitismo americano, io non faccio una scelta strategica, ma tattica. Chi mi conviene che vinca, chi mi lascia più spazio di movimento, chi mi consegna migliore capacità di manovra? Era opportuno uscire dalla grande crisi con Roosevelt, perché così le lotte operaie potevano imporre il compromesso keynesiano. Era giusto allearsi con gli Usa per sconfiggere militarmente il nazifascismo. Si poteva essere kennediani, se avevi alle spalle la forza del Pci e la potenza dell'Urss: non c'era pericolo allora di metterti nell'onda progressista, semplicemente subendola. Anzi ti serviva per innovare nel tuo campo. Il discorso è sempre quello: l'iniziativa di cambiamento del tuo avversario, o sei in grado di utilizzarla, o altrimenti ne rimani vittima. Perché mi sento di dire che non possiamo dirci oggi obamiani? Semplicemente perché siamo deboli. Non c'è in campo nessuna forza alternativa. Questo sarebbe stato il momento di una grande iniziativa del socialismo europeo. Non possiamo dare la supplenza al profeta del nuovo vecchio mondo. Così riconsegni la pratica egemonica, magari passando dall'unilateralismo al multipolarismo, a chi la stava giustamente perdendo. Il modo corretto di porre la questione, parlando politicamente, nel senso specifico del termine, è secondo me il seguente: Obama è adesso la figura nuova che assume il nostro avversario. Va ricollocata e rideclinata una proposta alternativa di organizzazione e di lotta sulla base di questa novità. Si apre un periodo di maggiori difficoltà. Era facile essere contro Bush, sarà difficile essere contro Obama. Si chiudono spazi per le esperienze di movimento, l'unica forma di soggettività emersa negli ultimi anni, non a caso a livello global, sul terreno dei partiti, nazionali, l'intendenza europea seguirà, l'Atlantico si farà più stretto. La luna di miele finirà, ma prima durerà. Tra l'altro, il giovanotto (!) è sveglio, è pragmatico, è cinico, è pigliatutto, ha perfino un pizzico di carisma, è intelligente perché si è circondato di persone mediamente intelligenti. Una machiavelliana presa di potere, perfetta. In questo, chapeau! agli Stati Uniti d'America, gli unici in grado di far ancora tesoro del detto, mitteleuropeo: là dove c'è il massimo pericolo, lì c'è ciò che salva. Aprite il discorso della vittoria. L'incipit: giovani e vecchi, ricchi e poveri, democratici e repubblicani, neri, bianchi, ispanici, asiatici, nativi d'America, gay, eterosessuali, disabili e non disabili. «Siamo e sempre saremo gli Stati Uniti d'America». Che dobbiamo fare? Applaudire, alzare le braccia in segno di saluto, piangere di commozione?Confesso. Sono ormai arrivato - il tono di questo testo lo documenta - al limite massimo di sopportazione per questo modo impolitico, apolitico, antipolitico di parlare di politica. Una parentesi. Se ho ben capito come vanno le cose del mondo, e a questo punto di lunga età mi pare proprio che sì, ecco: chiunque dice «ricchi e poveri» è mio nemico. Questo è un criterio del politico, una verità teorica assoluta, un punto di orientamento pratico, che consiglio di coltivare in sé come una pietra preziosa. Chiusa parentesi. E vengo invece a un punto di problema, su cui ho qualche incertezza, perché sento che qui c'è un a partire da me, dal mio modo di esistenza, che potrebbe deviare e far sbagliare il giudizio. E chiedo anche qui un contributo di discussione, e magari una capacità avversa di dissuasione. Insomma. Chi sono queste masse? Parlo delle folle di Chicago e di tutta la lunga intensa campagna obamiana. Ma anche di quelle del Circo Massimo, se sono, anche questo è da discutere, più o meno le stesse. Le guardo con curiosità e diffidenza. A me paiono foglie mosse dal vento delle parole e delle immagini, singoli individui collettivamente incantati dal suono del linguaggio, indifferenti, per non dire ostili, alle idee, agli argomenti, alle analisi. Piazze virtuali, un popolo da second life, che non esprime qualcosa, ma vuole essere espresso da qualcuno. Si potrebbe dire che non è una cosa nuovissima. Il Novecento ha visto fenomeni analoghi. Ma, secondo me, c'è una differenza. La nazionalizzazione delle masse, come la socializzazione delle masse, si fondava su idee forti. Ci si riconosceva in una dottrina, si assumeva e si portava un'ideologia. Il culto del capo era l'appartenenza a un campo, l'assunzione di un progetto. Così la massa si faceva soggetto. E poi la razza, o la classe, erano fattori oggettivi. Qui, oggi, non c'è nulla di tutto questo. C'è solo la fascinazione per una narrazione. Obama non rappresenta i neri, rappresenta tutti. Veltroni non rappresenta i lavoratori, rappresenta i cittadini. E dunque queste piazze sono piene di un niente. È un problema serio, forse il più serio. Penso che accanto all'osservatorio sulle élites, dovremmo ragionare intorno a un osservatorio sulle masse. Come riportare dentro questo politico virtuale il principio di realtà?Da soli, soggettivamente, non ce la facciamo. Ci vuole una scossa sismica di alta intensità, di quelle che fanno saltare i pennini del sismografo. Dire, parlare, della sinistra, piccola o grande che sia, risulta, di fronte alla dimensione del problema, una chiacchiera da bar sul commissario tecnico della nazionale. Ci può aiutare solo la realtà stessa, sempre più ricca, rispetto a noi, di risorse imprevedibili, da scrutare e da utilizzare. Ma quale realtà, o quale pezzo di essa ci conviene che emerga? Qui, il discorso si fa duro, pronunciabile in parte, indicibile per intero. Io, se mai ne ho avuti, a questo punto non ho dubbi: meglio la crisi che lo sviluppo, meglio il conflitto che l'accordo, meglio la divisione aspra del mondo che la sua irenica unità. Sto parlando, realisticamente, del terreno più favorevole a che sorga una soggettività collettiva alternativa. Che non verrà da sola, senza un intervento politico dall'alto, a suggerire e a organizzare.
Stralcio dall'introduzione di Mario Tronti al volume collettivo "Passaggio Obama. L'America, l'Europa,
Liberazione, 16/1/09
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Commenti
l'Arcangelo (non verificato)
Mar, 20/01/2009 - 18:19
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l'Arcangelo
roberto (non verificato)
Mar, 20/01/2009 - 20:38
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precisazioni
Arcangelo (non verificato)
Mer, 21/01/2009 - 15:34
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conferme
chouenlai (non verificato)
Mer, 21/01/2009 - 15:10
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Tzipi Livni dietro le sbarre
Anonimo (non verificato)
Mer, 21/01/2009 - 19:12
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c'è stato un massacro a
Arcangelo (non verificato)
Mer, 21/01/2009 - 19:26
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Il tempo per i chiarimenti non è mai sprecato.
roberto (non verificato)
Mer, 21/01/2009 - 19:41
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Falso
Arcangelo (non verificato)
Mer, 21/01/2009 - 21:05
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VERO
l'Arcangelo (non verificato)
Mer, 21/01/2009 - 21:09
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ecco la e.mail a marco in risposta alla sua
roberto (non verificato)
Mer, 21/01/2009 - 22:09
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come volevasi dimostrare
l'Arcangelo (non verificato)
Gio, 22/01/2009 - 08:22
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prassi e condotte
roberto (non verificato)
Gio, 22/01/2009 - 12:10
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Ultima precisazione
Alla manifestazione hanno aderito una pluralità di soggetti non "partecipati" da Marco o dal altri di Rifondazione.
associazioni: Emergency, la redazione de "il Mondo capovolto", "Nuovi partigiani della pace", "La città di sotto" e i Giovani mussulmani d'Italia. Organizzazioni politiche: Sinistra Critica, PMLI, P-CARC, PRC e GC e singoli esponenti del PD.
Per inciso tutte le informazioni de "la Città di sotto" sono comunque partecipate o sono riferite anche al Presidente provinciale di Legambiente biellese che è socio fondatore dell'Associazione.
L'arcangelo (non verificato)
Gio, 22/01/2009 - 16:44
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piena di buchi
L'Arcangelo (non verificato)
Gio, 22/01/2009 - 17:18
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La mala precisation..
roberto (non verificato)
Gio, 22/01/2009 - 19:16
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Chiedo scusa
SABATO 24 GENNAIO ore 16.00 Largo Cusano
:: Corteo ::
"Gaza siamo tutti noi"
LIBERAMENTE PER LA PALESTINA!
L'arcangelo (non verificato)
Gio, 22/01/2009 - 20:16
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non chiedo scusa
roberto (non verificato)
Gio, 22/01/2009 - 22:05
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Peccato
Peccato:
Nulla vieta al "più che nik-name" che tanto successo riscuote nel biellese, di organizzare tutto ciò (e molto di più!) che miseramente si è messo in campo in questi mesi di sua sponte.
Speriamo solamente che abbia un pò più di fortuna delle preferenze raccolte in Ospedale all'atto delle votazioni sulle rappresentanze sindacali da altri, noti, "gruppuscoli identitari".
l'Arcangelo (non verificato)
Gio, 22/01/2009 - 22:27
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quando uno non sa più di che parlare passa alle pirlate
Anonimo (non verificato)
Ven, 23/01/2009 - 07:55
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informazioni
Chouenlai (non verificato)
Ven, 23/01/2009 - 09:42
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Cox 18
Anonimo (non verificato)
Ven, 23/01/2009 - 13:08
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Riflessione
Mi sento spesso costretto a parlare (scrivere) di cose importanti ma per le quali credo che ci vorrebbero spazi diversi da questo. Mi sarebbe piaciuto leggere riflessioni dinamiche e approfondite sulle sollecitazioni che volta per volta propongo. Sono curioso, ho voglia di leggere cose che non conosco, ho voglia di scoprire che posso cambiare idea perché altri hanno cose più convincenti delle mie da dirmi. Vorrei rendere collettivo e plurale il confronto sulle questioni di fondo dell'essere e agire politico, mentre incontro polemiche di metodo, slogan, manifestazione autoreferenziali e/o narcisistiche... Perché fare della rete uno spazio della manifestazione di sé e non uno spazio della manifestazione della volontà di uscire da sé, per aprirsi a ciò che altri hanno da dirmi? Ero diffidente, ora lo sono di più! questo troppo spesso è il luogo della superficialità, delle banalità, nell'inutile dire, del narcisismo, dell'autoaffermazione! Forse deciderò di chiudere il mio blog!
marco sansoé
L'Arcangelo (non verificato)
Ven, 23/01/2009 - 14:44
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alle riflessioni debbono seguire le conseguenze
l'Arcangelo (non verificato)
Dom, 01/02/2009 - 10:28
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Le risposte a Tronti di Rossanda e Revelli
Anonimo (non verificato)
Ven, 23/01/2009 - 15:18
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La storia la scrive chi ha
Anonimo (non verificato)
Ven, 23/01/2009 - 17:38
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informazioni tecniche
chouenlai (non verificato)
Dom, 25/01/2009 - 11:06
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MANIIFESTAZ OK
roberto (non verificato)
Dom, 25/01/2009 - 18:38
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Non sono d'accordo
Mi spiace caro Aldo, anche questa volta non sono d'accordo. La manifestazione nn l'ho organizzata io, ma è partita realmente dal basso, dall'assemblea alla "città di sotto" e da un tan-tam in rete e sui giornali che ha permesso a tutti di venire sabato al corteo ed esprimersi come meglio credevano.
C'è chi lo ha fatto con le bandiere, chi con gli slogan e chi ha deciso solamente di marciare. E lo hanno fatto anche i tanti che ci hanno detto che volevano venire ma erano impossibilitati.
E' stato un segnale (forse in ritardo) ma che appunto partendo dal basso è stato spontaneo e vero.
Spero che avremo tutti e tutte insieme l'occasione di ritrovarci per le strade, a lottare per la Palestina e per un mondo migliore....anche senza la pace del signore!
Chouenlai (non verificato)
Dom, 25/01/2009 - 20:10
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Certo!
ChouEnLai (non verificato)
Dom, 25/01/2009 - 21:36
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Vendoliani
ChouEnLai (non verificato)
Lun, 26/01/2009 - 09:25
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Io sono confuso come tanti no estremista
Fulcro Valtellini (non verificato)
Mar, 03/02/2009 - 02:56
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considerazione