Torino, delitto volontario in fabbrica. La tragedia della ThyssenKrupp

 

Giovani Comuniste/i :: Thyssen Krup :: ASSASSINI!!!
Ci risiamo.
Antonio Schiavone, 36 anni e 3 figli, morto carbonizzato
Bruno Santino 26 anni
Giovanni De Masi, 26 anni
Angelo Laurino, 34 anni
Rocco Marzo, 54 anni
Rosario Rodinò di 26 anni
Maurizio Boccuzzi
Due vite spezzate altre due appese a un filo, altre messe a repentaglio. Non è un bollettino di guerra, ma la conta degli effetti dell’ennesimo incidente sul lavoro, avvenuto stanotte (mercoledì) presso gli impianti torinesi della ThyssenKrup.
Sono nomi, volti e vite spezzate di lavoratori, operai siderurgici costretti a lavorare per dodici ore consecutive per un’azienda “in ristrutturazione” che ha già deciso tanti, troppi licenziamenti.
Perché “DEVE” chiudere gli stabilimenti torinesi.
E' in mezzo a questi disastri ci viene fuori una parola, secca e devastante: - assassini - , diretta ai responsabili di questo ennesimo dramma, e non è solo uno sfogo incontrollato.
E’ necessario individuare delle responsabilità politiche, altrimenti ci prendiamo in giro e possiamo anche dire che l'infinita strage di morti bianche è solo frutto del caso o della sfortuna che casualmente si accanisce contro la classe lavoratrice.

Questo incredibile e tragico bilancio quotidiano non è solo una questione di "mancati controlli", ma anche conseguenza di leggi che rendono le vite e il lavoro sempre piu precarie e pericolose, norme che producono rapporti di lavoro deregolamentati e non garantiti, annullando in tal modo la possibilita' di resistere, di denunciare, di rifiutarsi e sottrarsi a condizioni lavorative insalubri o insicure. E obbligano i lavoratori, ormai moderni schiavi, a ritmi e orari vergognosi.
E tra queste leggi ci sono la legge 30, cioè l’attuale organizzazione del lavoro che marcia sui binari del pacchetto Treu., e di conseguenza questo Protocollo sul welfare appena votato in parlamento, figlio dei Ricatti Globali Permanenti di tutti quei Poteri che possiamo definire Forti e che a seconda delle circostanze assumono volti e sembianze differenti: confindustria, sindacati confederali, vaticano, parlamentari, governi e la lista potrebbe proseguire per intere pagine.
E il nostro sdegno vorremmo gridarlo anche ai perbenisti che quest’estate avevano gridato allo scandalo per le parole del nostro fratello e compagno Francesco Caruso.
E a fronte di questa ennesima tragedia è vero o no che la cultura di confindustria, il capitalismo italiano e la legislazione in materia di lavoro, stanno condizionando pesantemente milioni di lavoratori ormai ridotti a dover mettere a disposizione persino la vita nel ciclo produttivo?
Possiamo sostenere, di fronte ai fatti, che la precarietà uccide, e i fondamenti legislativi che la sostengono e la sosterranno assomigliano sempre di più a una banda di killer seriali?
E’ vero o no che la precarietà e la flessibilità nei rapporti di lavoro sono giunti a livelli tali da trasformare il lavoratore in un moderno schiavo, costretto a orari devastanti per vivere?
Per questo aderiamo e saremo presenti, in mezzo e a fianco dei compagni e delle compagne metalmeccanici, allo sciopero generale dei lavoratori di lunedì 10 Novembre.
Per urlare ancora una volta
Basta morti sul lavoro!
Basta Precarietà!
Andrea Polacchi, Luigi Cosi : : : Giovani Comuniste/i Torino

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Commenti

Ritratto di roberto

Flessibili da morire
Loris Campetti

Era molto flessibile Antonio, un giovane di 36 anni ucciso ieri alla Thyssenkrupp di Torino. Ucciso non da un incidente, non da un infortunio: ucciso dallo sfruttamento selvaggio che fa tirare a mille gli impianti fino a far esplodere le macchine e costringe a un lavoro bestiale gli operai. Al momento in cui quel maledetto tubo che trasportava olio bollente è stato colpito da una scintilla sprigionatasi dal quadro elettrico s'è spezzato, trasformandosi in un lanciafiamme, Antonio e una decina di ragazzi come lui sono stati colpiti. Tutto e tutti hanno preso fuoco, gli estintori non funzionavano, la linea 5 delle ex Ferriere sembrava una città bombardata con il napalm, raccontano i sopravvissuti. Quando si è trasformato in una torcia umana, alle due di notte, Antonio era alla quarta ora di straordinario. Dunque era alla dodicesima ora di lavoro in quell'inferno.
Antonio era molto flessibile, come tutti gli altri ragazzi della Thyssenkrupp. Alle 12 ore di lavoro ne aggiungeva ogni giorno due o tre di viaggio da casa, nel Cuneese, alla fabbrica, e ritorno. Non è che gli restasse molto tempo per la sua compagna e i suoi tre bambini, la più grande di 6 anni e il più piccolo di 2 mesi. Antonio era proprio il tipo di operaio di cui ha bisogno un padrone tedesco che decide di chiudere la fabbrica di Torino per portare la produzione in Germania, ma prima di mettere i sigilli agli impianti vuole tirare fino all'ultima goccia di sangue alle macchine e agli uomini, ai ragazzi. Per questo una decina di loro ha preso fuoco, nel 2007, nell'occidente avanzato, sotto il comando di Thyssenkrupp, un nome che se scomposto in due rimanda ad altri fuochi, a un altro secolo, a un'altra guerra.
C'è la fila, adesso, di quelli che si lamentano per la mancanza di sicurezza sul lavoro. Forse tutti si erano distratti: presi com'erano a combattere l'insicurezza provocata dai rumeni si sono dimenticati della guerra quotidiana in fabbrica, nei campi, nei cantieri. Chi oggi dice che servono maggiori misure di sicurezza sul lavoro dovrebbe aggiungere che il modello sociale ed economico dominante è criminale. Chi chiede di produrre di più, per più ore nel giorno e per più anni nella vita è corresponsabile dei crimini quotidiani sul lavoro. La sicurezza è incompatibile con l'accumulazione selvaggia, togliendo dignità e diritti ai lavoratori si aumenta l'insicurezza, sul lavoro e nella vita.
I teorici del liberismo, della fine del welfare, di quella che spudoratamente chiamano flessibilità ma che per noi è precarietà, hanno tutti i diritti nella nostra società. Ma uno almeno non ce l'hanno: quello di piangere i morti sul lavoro perché quei morti sono vittime della loro cultura e della loro fame di danaro e di potere. I tre bambini di quel paesino del cuneese che si chiama Envie non sanno che farsene delle loro lacrime. E noi con loro.
Probabilmente i cancelli della fabbrica torinese della Thyssenkrupp non riaprirà mai più. Speriamo che non riapra più, il prezzo da pagare per tenerla aperta è troppo alto.