E' morto Ingmar Bergman
E' morto a 89 anni Ingmar Bergman
Il suo straordinario lavoro parla di quei sentimenti che spesso la politica dimentica. Sbagliando.
Ha formato intere generazioni attraversando cinema, teatro, televisione. Il rapporto conflittuale col padre
di Aldo Garzia
Lo scorso 29 giugno, la sala di color blu del cinema Roy di Fårösund - ultimo territorio di Gotland, prima dell'isola di Fårö dove viveva Ingmar Bergman - era gremita di pubblico. Ma nessuno voleva sedersi su una poltroncina libera in prima fila, illuminata dalla luce di un faretto. Quel posto doveva accogliere proprio Bergman, invitato speciale alla "prima" mondiale de "Il flauto magico" di Kenneth Branagh, che l'attore e regista inglese aveva voluto si tenesse a Fårö in omaggio alla versione bergmaniana della stessa opera di Mozart. Quando si sono spente le luci ed è iniziata la proiezione, si è capito che Bergman non sarebbe apparso. Gli organizzatori ci avevano avvertito discretamente che «il maestro era affaticato, stanco» e che sarebbe rimasto nella sua casa, nella località di Hammars, un angolo sperduto dell'isola. In quelle giornate di fine giugno, un mese fa, nulla lasciava presagire che fossimo vicini alla morte del maestro del cinema internazionale. Bergman, si sussurrava nei corridoi dei seminari a lui dedicati, stava valutando la possibilità di accettare la proposta che gli era pervenuta di recente da Claudio Abbado: scrivere un libretto d'opera che il direttore d'orchestra avrebbe poi musicato. Sarebbe stato l'ennesimo ritorno sulle scene di Bergman, dopo l'ultimo film Sarabanda (2003). I fan erano del resto abituati alle rentrée del regista de Il posto delle fragole , fin da quando nel 1983 - dopo l'Oscar conquistato con Fanny e Alexander - aveva contraddetto più volte l'annuncio dell'abbandono del cinema per dedicarsi solo al teatro. Non sapeva vivere lontano da palcoscenici, sale di posa, cineprese, direzione degli attori, dimensione della rappresentazione come trasfigurazione della realtà. Quel progetto di lavoro con Abbado, aveva riacceso la mia speranza di poter avere un colloquio con Bergman finalizzato a un libro che da tempo sto scrivendo su di lui, dopo aver dato alle stampe Fårö,
Ingmar Bergman, secondo di tre figli, era nato a Uppsala il 14 luglio 1918 e risiedeva nell'isola di Fårö (Mar Baltico svedese) dalla metà degli anni Sessanta. Suo padre Erik Bergman era un pastore protestante, sua madre Karin Akerblom aveva origini olandesi. L'infanzia la trascorre tra un paesino svedese e l'altro, dove Erik Bergman è trasferito fino all'incarico di cappellano nella parrocchia di Hedvig Eleonora a Stoccolma. Non era infrequente, come punizione per le intemperanze da bambino irrequieto, che venisse rinchiuso nell'armadio di casa dove finiva per maturare l'avversione per il padre e la rigida educazione religiosa. A dieci anni riceve in regalo il primo, rumoroso proiettore («Quella zoppicante macchinetta fu il mio primo apparecchio di stregoneria», ha scritto Bergman). Ancora prima aveva inventato la sua "lanterna magica": una cassettina di metallo dove proietta immagini con la lampada a carburo (quella stessa lanterna compare in Fanny e Alexander ).
Laureatosi in Storia della letteratura con una tesi su August Strindberg, il padre del teatro moderno svedese, Bergman si impegna nel teatro studentesco di Stoccolma e a diciannove anni va a vivere da solo ribellandosi definitivamente al contesto famigliare. Dopo alcune esperienze come aiuto regista all'Opera di Stoccolma e in piccole compagnie teatrali, nel 1942 è assunto dallo Svenska Filmindustri come sceneggiatore e aiuto regista grazie al successo di una pièce teatrale ( La morte di Kasper ) scritta da lui stesso. Il primo film da regista è Kris (1945), accolto freddamente dalla critica e dal pubblico. Negli anni precedenti aveva collaborato con Gustaf Molander, Alf Sjöberg e Victor Sjöström, maestri del cinema di Svezia.
E' con Sorrisi di una notte d'estate (1955), premiato nel festival di Cannes del 1956, che esplode in tutto il mondo il "fenomeno Bergman", seguito a ruota da due capolavori: Il settimo sigillo (1956) e Il posto delle fragole (1957). Da quel momento in poi il regista diventa la pietra miliare del teatro e del cinema di Svezia, che pur vantando una tradizione di primo piano in Europa non avevano mai avuto una proiezione internazionale paragonabile all'opera bergmaniana.
Con stupefacente produttività, il regista alterna in tutti gli anni Sessanta e Settanta il lavoro invernale in teatro con quello estivo sui set cinematografici, teorizzando e praticando la commistione di generi (non rinuncerà mai a lavorare per la radio e la televisione, smentendo quanti teorizzano l'inconciliabilità tra teatro, cinema e televisione). La minuziosa ricostruzione cronologica della biografia e dell'opera bergmaniana si deve di recente alla svedese Birgitta Steene (professoressa emerita di Storia del cinema scandinavo presso l'Università di Washington), autrice del monumentale volume A reference guide (Amsterdam University Press, 2005) dove sono raccolti dati e riferimenti critici sull'intera produzione artistica bergmaniana in più di sessant'anni di carriera (teatro, cinema, televisione, radio, opera, letteratura).
Bergman è costretto a separarsi per lunghi periodi dalla Svezia tra il 1976 e il 1981. Il 30 gennaio 1976 il regista è al Dramatiska Teatern di Stoccolma. Sono iniziate le prove di Danza di morte di Strindberg. All'improvviso arrivano in teatro due poliziotti che gli impongono di trasferirsi in commissariato, dove apprende di essere indagato per "evasione fiscale". A causa di una profonda crisi depressiva, il regista è ricoverato per tre settimane nel reparto psichiatrico dell'ospedale Karolinska di Stoccolma. La querelle burocratica dura cinque anni, al termine dei quali Bergman si mette in regola come contribuente pagando 180 mila corone. Un disattento fiscalista, cui aveva delegato le dichiarazioni dei redditi, e l'inflessibile burocrazia svedese lo avevano costretto all'esilio volontario. Di qui il rapporto controverso tra Bergman e
Il lavoro di Bergman per il cinema si conclude provvisoriamente con Fanny e Alexander (1982), che segna il suo ritorno definitivo in Svezia, ma negli anni successivi il regista continua a produrre incessantemente per radio e televisione di Svezia oltre che per il Dramatiska Teatern di Stoccolma, dov'era entrato per la prima volta nel 1951 (nel 1963 è nominato direttore). Alcuni dei suoi film televisivi degli anni Ottanta sono proiettati anche al cinema ( Dopo la prova , Il segno ), mentre continua a scrivere racconti e sceneggiature per altri registi. Nel 2002 torna al lavoro per la televisione svedese con Sarabanda , girato in digitale a riprova della duttilità artistica e della continua ricerca tecnica di Bergman. E sempre nel 2002 Bergman si è concesso la soddisfazione di inaugurare a Stoccolma
Nei suoi libri biografici ( Lanterna magica , Con le migliori intenzioni , Immagini , Nati di domenica , Conversazioni private , Quinto atto tutti editi in Italia da Garzanti), il regista si è raccontato compiutamente dando innumerevoli spunti a biografi e studiosi per ulteriori approfondimenti. Sposatosi cinque volte, padre di nove figli, il regista ha avuto nella pianista Ingrid von Rosen la compagna di vita che ha saputo resistergli accanto più a lungo. Dopo il matrimonio celebrato nel 1971, hanno vissuto insieme fino al 1995, anno in cui il regista è rimasto vedovo.
Ultima annotazione. Perché un regista come Bergman, così attento ai tormenti dell'anima e alla relazione tra persone fuori da una dimensione collettiva o sociale, era molto amato anche dalla sinistra? E' facile rispondere: il suo lavoro artistico ruotava intorno a interrogativi su tutto ciò che la politica, pure quella della Svezia dalle nobili tradizioni socialdemocratiche, troppo spesso finisce per rimuovere in nome di un universalismo che banalizza i sentimenti e le aspettative individuali. Bergman ci ricordava che c'è un limite della politica, un territorio intimo dove solo ognuno di noi può agire.
Biografia di successi, tra genialità e sensi di colpa
Boris SollazzoCe lo immaginiamo seduto un po' scomposto, irriverente ma signorile, con quello sguardo obliquo ma penetrante, che scruta in faccia la morte. E la fa vincere, dopo averla raccontata per anni con le sue immagini: sbaglia apposta la mossa che lo mette sotto scacco. Dev'essere andata così a Ingmar Bergman nell'isola baltica di Fårö, come ne Il settimo sigillo (1956). Il maestro, il genio, che ha riscritto il cinema, ne ha reinventato l'immaginario riportandolo ai temi più classici e tragici, non c'è più. Ci ha lasciato all'età di 89 anni dopo aver vinto tutto il possibile e anche di più.«Peccato, confessione, punizione, perdono e grazia». Erano le parole d'ordine del suo cinema, anzi del padre, pastore protestante (il 14 luglio del 1908 Ingmar nasce in un convento a Uppsala) inflessibile guida e presenza costante, nella sua vita e nella sua arte sempre in bilico tra depressione e repressione. Lo seguì ovunque nell'infanzia, se ne liberò nel 1936 per scappare dal destino di sacerdote e cercare la realizzazione dei suoi talenti a Stoccolma. Lo rappresenterà in ben tre film: Fanny e Alexander (1982), che gli valse il terzo Oscar, Con le migliori intenzioni (1992), Conversazioni private (1996). Sapeva raccontare con epica semplicità, né retorico né minimalista: il particolare con lui diventava universale. Le reazioni alla sua morte ne riconoscono tutte il valore. Un regista straordinario. Per il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, «un protagonista indiscusso della cultura del nostro tempo». Un intellettuale con una grande «capacità di indagare a fondo e senza condiscendenze sui grandi interrogativi etici legati alla condizione umana».
Dopo un inizio difficile, personale e professionale, gli anni Cinquanta lo consacrano: ha già tre mogli e qualche insuccesso alle spalle. I suoi amori saranno anche le sue attrici feticcio, donne a cui dedicherà il suo cinema: Harriet Andersson, Bibi Andersson, Liv Ullman.Si circonda di un gruppo che diventerà storico, quello dello Stadsteater di Malmoe: Tunnel Lindblom, Max Von Sydow, Ingrid Thulin, Bibi. L'inizio dell'epopea bergmaniana, enciclopedia di umanità, comincia, forse, con Monica e il desiderio (1953) che dà scandalo per l'insolente sensualità dell'attrice Harriet Andersson. Nel 1955 realizza Sorrisi in una notte d'estate , Palma d'Oro, del 1956 è Il settimo sigillo , premio speciale sempre a Cannes. L'Orso d'oro al festival di Berlino e il premio della critica al festival di Venezia giungono grazie a Il posto delle fragole.Successivamente Alle soglie della vita e Il volto ricevono il premio come miglior regia rispettivamente a Cannes e a Venezia, mentre nel 1960 La fontana della vergine gli fa conquistare il suo primo Oscar. Nel frattempo si sposa una quarta volta, diventa direttore del teatro centrale di Stoccolma, si avvicina alla neonata televisione e realizza Come in uno specchio , primo capitolo di una discussa trilogia religiosa, o meglio spirituale: Oscar come miglior film straniero. Seguono Luci d'inverno (1962 ), premiato a Berlino e a Vienna e Il silenzio (1963 ), uno dei suoi film che diedero più scandalo. Nel 1964, colpito da una grave depressione, scrive Persona ed inizia una relazione con l'attrice norvegese Liv Ullman, dalla quale nasce Lynn ( 1966). Si lasceranno nel 1974. Nel 1978, lo splendido Sinfonia d'autunno lo vedrà dirigere l'ultimo film interpretato da Ingrid Bergman.Gli anni 70 sono anche quelli di Sussurri e grida (1972) e di Scene da un matrimonio (1973). Quasi ironico l'Oscar alla carriera del 1970: firmerà circa metà delle oltre 40 opere della sua filmografia dopo quella data. La morte dell'ultima moglie, Ingrid Van Rosen, nel 1995, nonostante i nove figli (tutti artisti e attori), lo fa cadere in depressione. Si ritira all'isola di Fårö. Questo non gli impedisce, nel 1997, di scrivere e dirigere lo splendido Vanità e affanni o di regalare la sceneggiatura de L'infedele alla sempre amata Liv Ullman (per lui ritirerà il Premio Fellini 2005 dalle mani di Felice Laudadio alla Casa del Cinema, struttura che dal 31 luglio al 5 agosto gli dedicherà un tributo diviso tra Sala Deluxe e Teatro all'aperto). Negli anni 2000, infine, lavora per il teatro e per la tv. Spicca Sarabanda (2005), seguito di Scene da un matrimonio e co-finanziato dalla Rai.«Non c'è nessuna forma d' arte come il cinema per colpire la coscienza, scuotere le emozioni e raggiungere le stanze segrete dell' anima», ha detto capendo profondamente quest'arte meravigliosa. E forse anche se stesso.
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