Ex-Rivetti: ripartiamo cambiando il progetto

In queste settimane sono andato a rileggermi alcuni articoli che avevo scritto nel 2004 in merito agli ex-Rivetti. Insieme a questo da alcuni mesi ho osservato gli annunci immobiliari e molti cartelli che compaiono su palazzo Rivetti, per scrupolo ho anche telefonato, per capire le ragioni di un immobilismo del mercato, che interessava quell’area. Ho scoperto con una certa soddisfazione che ciò che rifondazione diceva tre anni fa, è esattamente ciò che si è verificato. Biella sarà pure la seconda città con il più alto reddito pro capite, ma trovare gente disponibile a spendere 5.000 euro a metro quadro per un palazzo ristrutturato, mi erano sembrati e mi sembrano tuttora, assolutamente fuori mercato.

Alcuni detrattori del centro destra potrebbero rispondere che quei prezzi, sono stati determinati dall’eccessivo carico degli oneri d’urbanizzazione che l’amministrazione comunale ha caricato sull’impresa. Io penso al contrario, che tutto il progetto legato a quell’area, sia un’inutile e ambientalmente insostenibile mostro edilizio. Una città che progressivamente ha spostato il suo asse commerciale verso sud, una crisi che comincia a lambire anche i cosiddetti “colletti bianchi”, una previsione sbagliata sull’aumento degli abitanti avrebbero convinto chiunque a limitare, o meglio ad inventare un diverso e migliore progetto di riqualificazione. Da questo punto di vista, in maniera molto più lungimirante, l’amministrazione Barazzotto ha predisposto un piano integrato di sviluppo locale (PISL), che sulle rive del Cervo sviluppi un’isola della creatività senza andare a modificare l’esistente, ma invece migliorando e ristrutturando i fabbricati di archeologia industriale sul modello, per esempio, dei Pria o della Fondazione Pistoletto.

Qualcuno potrebbe obiettarmi che sono in palese contraddizione se da una parte critico il progetto Rivetti e dall’altro apprezzo il PISL, inserendomi nella grave questione che si determinerà, soprattutto in termini di posti di lavoro, con l’annunciato fallimento della società SICER.

Voglio essere molto chiaro a proposito, credo e non da oggi che ci fossero e ci siano tutti gli strumenti possibili per modificare in meglio il progetto, eliminando le torri, riducendo drasticamente le volumetrie, ripensando le arre destinate al terziario. Ciò che non è accettabile, è provare a ragionare sull’emergenzialità (fallimento SICER), per nascondere la testa sotto la sabbia, rispetto ad un progetto sbagliato fin dall’origine.

Quest’occasione dovrebbe permettere agli amministratori della cosa pubblica, di riflettere ampiamente sui grandi progetti che trasformano l’ambiente urbano, il caso del CDA avrebbe dovuto essere un modello in negativo che non avrebbe dovuto avere repliche di sorta. Cito solo ad esempio il caso del sotto/sovrappasso, che avrebbe dovuto essere realizzato dalla società costruttrice ma che poi, perso nelle pieghe della burocrazia (e non solo), dovrà toccare all’amministrazione comunale qualora lo si volesse realizzare.

Uscire dall’emergenzialità oggi, vuol dire non solo, costruire tutti i tavoli di confronto e concertazione possibili, ma “sfruttare” quest’occasione per poter ridiscutere complessivamente dell’intero progetto e avviare in maniera partecipata, con l’intera città, un confronto sulla Biella del futuro, facendo tesoro degli errori del passato.

 

roberto pietrobon

capogruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra europea

Città di Biella