Intervista a Paolo Ferrero
Intervista di Frida Nacinovich a Paolo Ferrero
Sinistra, rischio scomparsa Ricostruiamola così...
Ministro la domanda può apparire un po’ banale ma è quello che molti si chiedono: riuscirà o no la sinistra italiana del 2007 - spesso e volentieri divisa e litigiosa - a metteresi insieme, quantomeno a trovare terreni comuni di azione?
Credo che la prima risposta a questo quesito risieda nelle forme che si sceglieranno per tale percorso, vale a dire se si cercherà l'unità attraverso un'idea pluralista di aggregazione che tenga dentro la ricchezza e le diversità che oggi esprime la sinistra. Parlo di pluralità pensando sia al piano delle politiche che a quello delle forme di aggregazione e partecipazione. Partiti, associazioni, collettivi, comitati e singoli individui devono potersi incontrare in una soggettività da intendere in termini ampi, dove ognuno si possa sentire a casa propria e non ospite a casa di altri. Dunque non abbiamo di fronte solo il problema della costruzione di un gruppo dirigente. Mi spiego: il nodo dei gruppi dirigenti è condizione necessaria ma non sufficiente. Un processo costituente effettivo deve essere in grado di coinvolgere anche chi oggi non fa politica. Faccio un esempio: meno del 10% dei delegati sindacali della Fiom di Torino è iscritto a un partito, il punto è riuscire ad arrivare anche all'altro 90%. Parlo di Mirafiori, ma potrei dire le stesse cose sui disoccupato organizzati di Napoli, sui no-tav della Val di Susa, i no-base di Vicenza. Penso a una sinistra plurale nel senso potente del termine, non solo perché unisce percorsi diversi. Una sinistra percepita come una casa politica utile. Plurale e pluralista, socialista, comunista, ambientalista. Su questo terreno ci sono poi anche dei segnali concreti che già vanno in questa direzione come la lettera che ho scritto insieme ai ministri Mussi, Pecoraro e Bianchi per chiedere al Governo un salto di qualità sulle politiche sociali.
Prima hai detto che la possibilità della sinistra si lega a doppio filo con il protagonismo del movimento operaio. Ma parlare di nuovo movimento operaio oggi, dopo tutto quello che è successo in questi anni, non è troppo ottimistico?
Non ho detto che sia facile e che non ci siano problemi. Penso si debba però riflettere e guardare alle fasi migliori della storia del movimento operaio, alla fine degli anni Sessanta, ma anche molto più indietro nel tempo alle esperienze della fase nascente del movimento dei lavoratori, esperienze che si caratterizzavano per forme plurali e partecipate. Rileggere le pagine della storia del movimento operaio che hanno indicato la possibilità di governare le differenze interne senza che diventassero spaccature, con un'attitudine all'ascolto delle diverse voci che si esprimevano. Alcuni grandi valori di riferimento sono la possibile base perché questo processo si metta in moto: la giustizia sociale, la libertà, la democrazia, la partecipazione, la laicità. Termini che si potrebbero usare anche per definire la sinistra di oggi. Un nuovo movimento operaio passa per la ricostruzione di un'idea di appartenenza, di comunità. Comunità che è poi fatta di tante cose: partiti, sindacati, comitati, esperienze diverse, differenti percorsi e sensibilità. Per questo insisto molto sul concetto di pluralismo.
Pluralismo è una parola bellissima, ma rischia di essere inflazionata, ferita dalle affermazioni identitarie, allungata come un elastico per giustificare atteggiamenti ben diversi.
Per essere molto chiari diciamo che tra un impianto bolscevico, centrato sulla nettezza della posizione (che è un po' quello che abbiamo usato tutti, anche noi nella discussione interna a Rifondazione), e un impianto ecumenico che accetta le differenze come fisiologiche, io scelgo l'impianto ecumenico. Proprio per questo penso che la nuova soggettività debba passare attraverso una confederazione di esperienze in cui non si chieda a nessuno di sciogliersi. Non si chiede ai partiti, non si chiede alle associazioni, ai comitati e via dicendo. Ecco perché ho parlato dell'esperienza dell'Flm per organizzare il processo unitario. Per questo, in prospettiva sono contrario all'idea del partito unico mentre credo che la strada sia quella di una soggettività politica che consenta il dialogo tra esperienze diverse in un processo unitario.Utilizzo la tua metafora: i partiti italiani riusciranno ad essere più ecumenici che bolscevichi?
Il punto è di pensare a un'aggregazione che cerchi la propria unità sul consenso e non nella formula classica di maggioranza e minoranza. Bisogna provare a costruire una soggettività politica che faccia i conti con la crisi della politica. Quindi la ricerca di unità sulle cose da fare deve essere sempre rispettosa della pluralità degli elementi che la compongono. Insomma, non vorrei fare solo un partito più grosso. Il problema è quello di individuare una formula politica che metta a valore la pluralità delle esperienze. Incorporare la pluralità, la confederalità come elemento costitutivo, questa mi sembra la risposta.
L'unità è un obbiettivo raggiungibile?
La scelta del percorso unitario è totale. Un'unità plurale non deve essere vissuta con disagio, ma come superamento di paradigmi novecenteschi sbagliati. L'idea che la lotta per la trasformazione sociale possa avere una forma politica di riferimento che non lavora per esclusione ma per inclusione è un salto di paradigma.
Però si parla di crisi della politica. E anche quando non se ne parlava ancora forse qualcosa si era già rotto nel rapporto fra governanti e governati.
Quanto dicevo sulla crisi del movimento operaio e sulle forme della partecipazione riguarda anche la crisi della politica. La ricostruzione di un'idea di appartenenza e di comunità rappresenta senza dubbio una prima risposta perché mette in gioco in prima persona gli individui, tutti, e non solo il ceto politico.
Cambiare certi meccanismi della politica significherebbe fare una sorta di "rivoluzione copernicana". Non è una missione quasi impossibile?
In altre fasi storiche certi fatti pesavano molto meno. Il grado di identificazione con il politico era molto più alto. Il problema non è solo della sinistra ma di un intero sistema. Per la sinistra è però fondamentale avere relazione con la propria gente, condividere. C'è una contraddizione di fondo tra le motivazioni che spingono un giovane ad aprirsi alla militanza politica e le modalità concrete che regolano la vita politica. Allora bisogna aprire una riflessione che non riguardi solo le nostre proposte in Parlamento, ma anche i codici che noi stessi ci diamo. Il fatto che sei ministro (auto blu, stipendio alto) crea distacco. Lo percepisci nella compagna o nel compagno che è d'accordo con te, ma resta nella sua testa un "sì, però quello ha un'altra condizione". La ricostruzione di una comunità passa anche per una scelta secca e una discussione vera sugli stipendi, sulla rotazione degli incarichi. Passa per una discussione sulla critica concreta alla separatezza della politica. Perché la scommessa è quella di riuscire a coinvolgere non solo chi fa politica ma anche quelli che non la fanno. Allora bisogna segnare una rottura antropologica con quello che è il politico nell'immaginario collettivo. Si deve pensare concretamente a una riduzione degli stipendi dei politici di professione.
Domanda secca: Rifondazione comunista deve continuare a esistere o ha esaurito la sua funzione nel panorama politico italiano?
Rifondazione deve continuare a esistere per oggi e per domani, non solo per ragioni di memoria, ma perché soprattutto non è esaurito il tema della rifondazione del comunismo che è abbiamo ancora davanti e non dietro di noi. Ma vogliamo declinare questa rifondazione del comunismo nel contesto della costruzione di una soggettività di sinistra e nel contesto della ricostruzione del movimento operaio. Perciò dico sì al processo unitario e ti ripeto: non ho il mito del partito unico. Penso ad una soggettività politica plurale, in relazione ad un'operazione larga di ricostruzione del movimento operaio. Rifondazione comunista deve stare fino in fondo nel processo unitario, ma in quanto Rifondazione. E per quanto mi riguarda non è un fatto identitario. Per altro, nel mio percorso personale, si incrociano la storia comunista, la sinistra socialista, elementi di storia anarchica, la fede evangelica, il cristianesimo eretico… Quindi non sto parlando di nostalgia, di appartenenza che non si riesce a superare. Per me l'idea della Rifondazione ha un punto importante: il problema non è solo la redistribuzione del reddito, ma la messa in discussione di come si produce la ricchezza. In questo senso io vedo l'elemento della radicalità. E da questa radicalità la messa in discussione dei rapporti di produzione, la questione ambiente, la divisione sociale del lavoro, la critica al patriarcato. La scelta della nonviolenza - che io considero strategica - è poi fondante. E acquista per me un significato molto profondo in quanto si lega alla scelta comunista. Quindi parti dalla radicalità del tuo anticapitalismo per proporre un percorso, una prassi e un modo di essere non violento. Le parole rifondazione e comunista danno significato l'una a l'altra. In questo senso la storia della Rifondazione comunista non è finita.
Il cammino di Rifondazione dunque è ancora lungo.
Ognuno sviluppa la sua ricerca, e tutti ne abbiamo una in corso, per portare quel patrimonio dentro la nuova soggettività. E' il motivo per cui scelgo la formula ecumenica e non quella bolscevica. L'obbiettivo che ti devi porre ora non è la presa del palazzo d'inverno ma ricostruire la sinistra. Perché parlo della federazione dei lavoratori metalmeccanici? Perché gli organismi dirigenti si riunivano in modo unitario, perché la ricerca di unità era vissuta come elemento fondante nella vita quotidiana. Parlo di un modo di lavorare che voleva dire Fiom, Fim e Uilm unite nella sede dell'Flm. E voleva dire organismi di base eletti su scheda bianca e riconosciuti da tutti gli iscritti, a prescindere dal fatto che gli eletti appartenessero alla Fim, alla Fiom o alla Uilm. Un punto decisivo di questo percorso sono i luoghi unitari nei territori. Certo, deve esserci l'impulso dei gruppi dirigenti a mettersi assieme. Ma è solo una metà del processo. L'altra metà sono l'allargamento e la costruzione dal basso nella quotidianità del lavoro comune.
Abbiamo parlato di classe, comunità e individuo. Iniziamo dalla classe. Ma nel 2007 esistono ancora le classi sociali?
Per ricostruire una pratica politica e un'identità della sinistra non si può che partire dalla classe. Mi spiego. A fronte di un'estensione della condizione di sfruttamento sul lavoro in forme gigantesche da parte nostra c'è stata una perdita di consapevolezza della centralità dello sfruttamento nell'accumulazione capitalistica. Inoltre per troppo tempo abbiamo pensato che lo sfruttamento si riduceva alla figura dell'operaio di fabbrica, questo mentre le forme dello sfruttamento stesso finivano per abbracciare l'intera società, tantissime figure dominate da forme di lavoro incredibile, talvolta vere e proprie nuove schiavitù. Il modo in cui si lavora oggi in Italia è spesso più simile a quello di inizio Novecento che a quello degli anni Settanta. Allora il problema è ridefinire la condizione di classe e tornare a chiamarla col proprio nome. C'è una frase di Marx perfetta al riguardo: "I lavoratori formano una classe nella misura in cui si riconoscono come contrapposti ad un'altra classe, per il resto sono l'uno contro l'altro come merci nella concorrenza". Ed è esattamente la cosa che avviene oggi. La destra usa la paura per dividere. E allora la competizione, il razzismo rendono difficilissima l'aggregazione dei lavoratori. E il patriarcato viene usato come una clava per rigettare le donne in una condizione di subordinazione. Abbiamo avuto il coraggio di tenerci stretta la parola "comunista" in anni in cui era complicato farlo, non dobbiamo vergognarci oggi a rimettere al centro della nostra azione l'analisi di classe. Tutto ciò con la consapevolezza che non significa sognare la classe operaia degli anni Settanta ma comprendere il nesso tra produzione e ambiente tra produzione e riproduzione sociale. Si tratta di rivisitare il complesso delle esperienze organizzative del movimento operaio, dal mutualismo al sindacato delle Camere lavoro e al sindacato industriale e non essere prigionieri di una sola forma. Allo stesso modo vanno rilette le pratiche autogestionarie che hanno attraversato la storia del movimento operaio e che ci parlano anche di molte forme di aggregazione politica e sociale dei giovani di oggi. Bisogna riprendere la nozione di classe rimettendo al centro le condizioni di lavoro e di sfruttamento degli individui. Un tema che ci chiede di rimettere assieme la lotta dentro il tempo di lavoro e quella contro le gerarchie dentro il lavoro, cosa abbandonata spesso a una sorta di sfera personale degli individui. Il fatto che oggi si discuta molto di mobbing, ci dice quanto un problema sociale sia vissuto in modo individuale. Assieme alla classe c'è il tema della rivoluzione del tempo di lavoro. Cercano di sottomettere tutta la vita al lavoro, alla centralità dell'impresa: tutto il tempo deve essere consegnato al lavoro. Dunque si sfruttano i bambini, rompendo una barriera che sembrava impensabile rompere e si attaccano gli anziani sulle pensioni.
Parliamo della comunità.
Le lotte di questi ultimi anni ci parlano spesso, basta pensare allo straordinario movimento cresciuto nella Val di Susa, di movimenti che si sviluppano in seno a un data comunità e che al contempo sviluppano con il loro stesso emergere un'idea nuova di socialità e "comunità", inventano forme di partecipazione, strumenti democratici di base, perfino linguaggi e forme di comunicazione politica. Altre pratiche, e penso in questo caso all'enorme diffusione del volontariato nel nostro paese, ci dicono di una volontà delle persone di agire in prima persona per costruire, e spesso ricostruire, vincoli di solidarietà con chi gli sta vicino. Si tratta con tutta evidenza di un'altra espressione di comunità che elabora relazioni e socialità nuove. E, inutile, dire che si tratta di forme comunitarie che rappresentano un sicuro antidoto alle comunità chiuse e minacciose che vuole creare la destra con le sue campagne di paura e di xenofobia. Di queste comunità aperte e solidali di cui parlavo è evidente come si faccia fatica a dare una giusta valorizzazione politica. Da questo credo si debba ripartire ora. In un mondo dove crescono le diseguaglianze, la gente si sente isolata, spaesata, in pericolo. In un mondo che cambia e ti fa subire i cambiamenti la paura è un possibile rifugio. Perciò la valorizzazione del volontariato, del tempo liberato al lavoro non dedicato ai ristretti familiari è decisiva nella costruzione della nuova soggettività e nella costruzione di nuovi legami sociali.
Resta da approfondire il tema della libera individualità.
L'idea di individuo nasce con la modernità, con la riforma protestante e con il capitalismo. Ma l'individuo di cui parliamo è solo il maschio. La cosa che ci ha insegnato il movimento delle donne è come si declina la nascita dell'individuo in un individuo sessuato. Ecco perché la lotta al patriarcato è un punto decisivo per l'emancipazione. Lo ripeto, ci sono tre nodi da sciogliere: classe, comunità, individuo nella sua valenza sessuata Sono una pura costruzione verbale di cui non c'è nessuna traccia nella realtà sociale? La mia opinione è che ci sia un'enorme domanda su questo versante ed un'altrettanto enorme incapacità di costruire un ragionamento che li tenga assieme. La domanda è fortissima ma rischia di essere fagocitata dall'ideologia populista, dal basso verso l'alto (che critica indistintamente l'imprenditore di destra e il ministro di Rifondazione comunista). Siamo di fronte ad una percezione della diseguaglianza che non è piccola, è forte. Ma non c'è consapevolezza del perché si è esclusi. Perciò non trovando forme di classe, questa rabbia può finire per esprimersi in forme populiste.
Che cosa hanno prodotto anni e anni di frantumazione sociale?
Il capitale gestisce la frantumazione autoritaria del conflitto sociale e induce la guerra tra poveri. In questo quadro emerge l'incapacità della sinistra a leggere la sconfitta avvenuta in questi anni e il rischio della creazione di una caccia al capro espiatorio da dare in pasto, da parte della destra, agli sconfitti. La produzione della paura è una modalità di controllo sociale che consiste nella spoliticizazione di massa. Quando le trasformazioni si subiscono, si è sballottati come un pugile, a noi è successo questo negli ultimi trent'anni. La critica al capitalismo si è ristretta e così, per molti, non si poteva dare un volto al responsabile del peggioramento delle proprie condizioni di vita. Sembrava come un temporale. La gente si è pigliata la pioggia senza capire chi era il responsabile di quello che stava accadendo. E poi con la costruzione del capro espiatorio si è gestita l'incomprensione di massa del perché si sta male. La destra costruisce un responsabile al tuo disagio che può essere di volta in volta l'immigrato, lo zingaro, il drogato. Non ne usciamo con un pensiero debole. Le cose si chiamano per nome e cognome: disoccupato, precario. Lotta al capitalismo.
A questo punto tiriamo le somme sulla "cosa rossa".
Bisogna fare un'aggregazione politica della sinistra senza aggettivi. Sono d'accordo con l'analisi di fase che ha fatto Fausto Bertinotti. Siamo di fronte ad una profonda crisi sociale, la sinistra rischia di sparire. Allora c'è la necessità di unirla. E bisogna farlo con urgenza. Ma bisogna essere chiari: la sinistra scompare, o rischia di scomparire, perché scompare il movimento operaio. Allora il problema è quello di ricostruire il movimento operaio. Il nuovo movimento operaio.Liberazione, 29/07/2007
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