CHE SARA' DI SEL
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Opa sul Pd e apertura all’Udc. Così Vendola “scioglie” Sel
di Checchino Antonini
“Commento off topic”. Sul sito di Sel le prime reazioni all’intervista di Vendola al Corriere, in mancanza di altri spazi, piovono in coda a un post sulla vittoria generazionale d Milano. Ma è una pioggia acida e i commenti vengono presto bloccati. Come fu dopo un altro scivolone del governatore delle Puglie che si diceva disposto ad allearsi con Fini. Chi li ha letti racconta di una voce incredula che si domandava più o meno: “Ma voi a sinistra non guardate mai?”. Perché, in effetti, ha del paradossale il leader di un partito nato spaccandone quattro per unire la sinistra quando annuncia – pochi mesi dopo la fondazione – di voler già andare oltre. Dentro al Pd. Quello di D’Alema, Veltroni, Ichino, di banche e cooperative, delle privatizzazioni, delle guerre “umanitarie” per contendersi dall’interno una possibile leadership. Perdipiù formulando un ambiguo rimprovero alla sinistra radicale sul fatto «che non si può tenere in piedi il vecchio welfare». «Mettersi in gioco», dunque, dentro il Pd e guardando all’Udc con cui vanta già alla Meli l’ottimo feeling a Bari e dintorni.
Non si tratta, dice in sintesi il presidente della Puglia a Maria Teresa Meli, di rioccupare lo spazio che fu della sinistra radicale ma di rifare una cosa grande e unitaria con il Pd, e forse anche con Di Pietro, “fuori dalle logiche e dai recinti dei vecchi partiti” «a cominciare dal mio movimento». Movimento o partito? Per chi ha aderito a Sel il dilemma ha senso, eccome. Ed ecco che sul sito del soggetto politico viene postato un pezzo del coordinatore nazionale, Claudio Fava, che subito si interrogga sulla « la retrocessione di Sel a un “movimento”, se la giornalista riporta correttamente le parole di Nichi». La forma partito, viene spiegato, «va ripensata, migliorata, superata in avanti. Ma chiudere Sel nell’astrattezza di un movimento è una soluzione riduttiva… Derubricare Sel a movimento, rinunciando anche a sperimentare il suo potenziale di innovazione politica, non è il cammino che ci eravamo dati». Ma a Fava non va giù l’idea di una fusione-confluenza nel Pd: «Non è questa la nostra ragione sociale… significa solo aggiungere una corrente di sinistra, organizzata e legittimata, al patchwork irrisolto che è stata fino ad ora l’esperienza dei Democratici». Si tratta di «passaggi sdrucciolevoli, se lasciati alle libere interpretazioni, è bene discutere senza l’ansia di arrivare ai titoli di coda della nostra storia», conclude Fava tenendo aperto uno spazio di discussione per l’assemblea nazionale di Sel del 18 giugno. Stavolta i commenti ci sono e sono tutti con Fava e spesso si lamentano per il verticismo spinto dell’organizzazione. Sembra così confermata la forte sofferenza dei quadri provenienti da sinistra democratica marginalizzati dal protagonismo vendoliano soprattutto dopo un risultato elettorale che forse non ha corrisposto le aspettative alimentate dai sondaggi e dalla “buona stampa” di cui gode il leader. Insomma, si teme che tutto il lavoro di questi anni si traduca nel progetto personale di Vendola che ha qualche sponda tra i democrat, da Bettini a Latorre. Mussi non conferma, né smentisce: «Fino a domenica parlo solo di referendum. Poi si ricomincerà a parlare di politica.
La sortita sul Corrierone, d’altronde, non sembra suscitare entusiasmi nemmeno nel Pd. Il “veltroniano” Fioroni chiede di fare una cosa per volta a partire dall’alleanza per il dopo Berlusconi; il lettiano Vaccaro bolla la suggestione «senza se e senza ma»; a Follini pare «surreale». «Non è il momento di giocare con le figurine – esclama la Debora Serracchiani – o prefigurare scenari esotici e fusioni improbabili».
Sintesi stringente quella di Paolo Ferrero, segretario Prc: «Nichi proprone un nuovo centrosinistra, come fece Occhetto. Noi proponiamo di ricostruire la sinistra». Il dibattito è aperto. L’impressione è che «Sel è a un bivio – come spiega Cesare Salvi di Socialismo 2000/Fds – e che Vendola trascuri l’esigenza di un soggetto politico della sinistra che indichi una prospettiva anticapitalista, tema fuori dall’orizzonte culturale del Pd. Anche le primarie sembrano in logica continuità col berlusconismo. Infatti il Pdl le copia. Ma così la partecipazione è ridotta alla chiamata per scegliere un capo». «Veltroni docet. All’intervista di Vendola preferisco l’articolo di Curzio Maltese sulla “piazza rossa” di Milano – commenta amaramente Rosa Rinaldi, della segreteria nazionale di Rifondazione – eppure Napoli e Milano dimostrano che c’è bisogno di una sinistra». «Il problema – aggiunge Eleonora Forenza, anche lei della segreteria del Prc – è che Sel non è mai stato il motore di una nuova sinistra o della riconnessione della politica con i soggetti del conflitto ma piuttosto il luogo della separatezza della politica, della passivizzazione attraverso le primarie». «Ma come – si domanda Giovanni Russo Spena, della direzione Prc – se la ricostruzione di uno stato sociale deve ripartire dal diritto al lavoro, dalla lotta alla precarietà, dal reddito di cittadinanza non credo siano sufficienti le primarie, nè l’alleanza con chi ha prodotto privatizzazioni e precarietà». «Penso che Vendola sia in difficoltà – dice Claudio Grassi, della segreteria del Prc – perché le primarie si allontanano nel tempo e perché il Pd e la sua leadershio Pd escono rafforzati da queste elezioni. Sarebbe il caso che anziché inseguire un big bang che non ci sarà mai desse un’occhiata alla sua sinistra per costruire una sinistra d’alternativa». «Quella che secondo Vendola è una nuova narrazione, invece è un politicismo totale – dice anche Manuela Palermi del Pdci-Fds – il che non significa che non puntiamo a un rapporto unitario ma questo passa per una politica di alleanze non per la scomparsa delle distanze».
Già, le primarie. Sembrano l’ultimo escamotage per tenere in vita il bipolarismo. La stessa ragione per cui il partito di Repubblica sembra spingere il presidente pugliese che, in cambio, offre la rinuncia a un progetto di polo autonomo delle sinistre.
Liberazione 9 giugno 2011
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