EQUITALIA
Terrorismo dall'alto, tramite Equitalia
Una busta contenente un proiettile, destinata al direttore di Equitalia a Torino, è stata intercettata nel tardo pomeriggio di ieri nel centro di smistamento delle Poste Italiane di via Reiss Romoli, a Torino.
Gli impiegati si sono insospettiti tastando la lettera e hanno chiamato la polizia. All'interno c'era anche un biglietto, che riportava soltanto la firma «Anarchia».
Abbiamo già affrontato il fenomeno delle “buste terroristiche”, e come giudizio generale non possiamo che ribadire la nostra opinione: si tratta di “terrorismo dall'alto”, ovvero opera di centri di potere. Non di qualche sbandato in cerca di una stagione irripetibile.
Ma dobbiamo notare come una precisa area dei media – quella schierata a sostegno del governo Monti “senza se e senza ma” - stia facendo levitare una campagna “antiterroristica” che sa molto di operazione costruita a tavolino, mescolando topos antichi (presi di peso dalla retorica “emergenziale” degli anni '70-'80) e sragionamenti tutti contemporanei.
Anche la sortita di Beppe Grillo, a un primo sguardo pseudo-ragionevole (“bisogna capire le ragioni oltre che condannare”), porta acqua alla campagna di cui Dario Di Vico, con “l'analisi qui sotto riportata, assume la “direzione politica”. Grillo è un personaggio che non ci piace, un confusionario a metà strada tra il cabaret e l'azione politica, qualunquista per definizione e populista come tanti altri cresciuti durante l'egemonia culturale berlusconiana. Il suo intervenire è quasi sempre un “rafforzare il potere” dando l'impressione di contrastarlo.
Che Equitalia sia un pezzo di Stato - delegato al “recupero crediti” forzoso, con metodi così sbrigativi da ricordare quelli dei “cravattari” - non c'è dubbio. Che l'ostilità popolare, interclassista come mai in queso caso, abbia individuato questo pezzo come il moderno “sceriffo di Nottingham”, anche. Ostilità motivata, argomentata e sacrosanta.
Che invece da qui abbia preso le mosse una “campagna terroristica” fatta di buste, noi pensiamo di poterlo contestare radicalmente. Le ragioni le abbiamo esposte in più editoriali (“Aria di provocazione”) e ci vengono confermate proprio dalla teoricamente opposta “campagna antiterroristica”. Non ci piace affatto questo gonfiare i pericoli inesistenti. Sappiamo per esperienza che quando il potere (di cui certo il Corriere della Sera fa parte a pieno titolo da oltre un secolo) “esagera” con l'allarmismo, ha un obiettivo preciso: anticipare e impedire il sorgere di un movimento di massa che risponda alla crisi e non intende pagarne il prezzo.
I metodi che il potere è solito usare, specie in questo paese, sono molto noti, stra-usati e li vediamo in azione anche oggi. Vanno dalle azioni violente senza possibilità di attribuzione certa (come la busta esplosiva che ha ferito il direttore generale di Equitalia e altre simili spedite a vari indirizzi), e quindi quasi sempre attribuite a sconosciuti “anarchici insurrezionalisti”. Fino all'impiego di agenti infiltrati in situazioni di movimento (da Mario Merlino in poi...), oppure anche dall'incentivazione di gruppi neofascisti “né di destra né di sinistra”. Un armamentario complesso, facile da descrivere come tipizzazione, ma sempre difficile da riconoscere “in situazione”. Specie quando, come oggi, ciò che si muove sul terreno antagonista è spesso privo di memoria storica, esperienza pratica, diffidenza politica.
Dante Barontini
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I silenzi allarmanti della politica su una vera campagna terroristica
Equitalia è un pezzo di Stato controllato da Agenzia
delle entrate e Inps, non un ente di riscossione privata
di DARIO DI VICO
Gli inquirenti hanno dichiarato di essere a buon punto e c'è solo da sperarlo. Perché la catena di attentati che ha come obiettivo gli uomini e le sedi di Equitalia si sta configurando come un vera e propria campagna terroristica. Che può avere un solo obiettivo: intimidire e disarticolare uno dei principali strumenti di lotta all'evasione di cui dispone lo Stato italiano. Sì, perché è proprio il caso di ricordarlo: Equitalia non è un'agenzia privata incaricata della riscossione ma è un «pezzo» della Repubblica italiana, giuridicamente controllato al 51% dall'Agenzia delle entrate e al 49% dall'Inps. Nasce a metà degli anni 2000 per ripubblicizzare un sistema di riscossione largamente inefficiente e chi ha scelto di bombardarla si è messo scientemente contro lo Stato e la legalità. Niente di più niente di meno della criminalità organizzata. Della camorra, della mafia e della 'ndrangheta.
La cosa singolare - e a suo modo preoccupante - è però un'altra: la solitudine nella quale sono stati lasciati in queste settimane gli uomini di Equitalia, come se combattessero una loro «guerra privata» e non fosse invece in discussione un pezzo di legalità repubblicana. Ci saremmo aspettati da parte delle forze politiche e delle parti sociali un clima di sostegno, manifestazioni di solidarietà (simbolica) nei territori, una perentoria presa di distanza dalle bande armate. Niente di tutto ciò è accaduto o comunque assai poco. Con il risultato che il campo è stato occupato nelle ultime settimane da messaggi ambigui e contraddittori che spesso hanno finito per presentare gli attentatori come dei moderni Robin Hood amici della piccola impresa. Il resto lo ha fatto Beppe Grillo che ha invitato gli italiani a comprendere le ragioni degli attentatori e ha chiesto al presidente del Consiglio Mario Monti di chiudere Equitalia. Se dovessimo dar retta a Grillo la Repubblica italiana conseguirebbe in un colpo solo due splendidi risultati: a) decretare il successo delle forze eversive; b) depotenziare la lotta all'evasione fiscale.
Sostenere in questo delicato momento Equitalia vuol dire essere totalmente d'accordo sulla normativa e sui metodi impiegati per la riscossione coattiva? Certo che no, siamo una società aperta e non dobbiamo avere nessun timore di discutere il merito e magari dividerci nel giudizio. Con il passaggio dalle banche ad Equitalia la riscossione cosiddetta «coattiva» è passata dal 3 al 10% e quest'incremento si è accompagnato all'emergere di tensioni. Le organizzazioni dei Piccoli sostengono che la normativa oggi è squilibrata (a favore dell'Agenzia delle entrate e a scapito del contribuente) e che serve un ripensamento complessivo. Il rischio maggiore è che l'azione di riscossione si indirizzi solo sui beni visibili di artigiani e commercianti e lasci invece sostanzialmente intatti gli interessi di chi porta capitali all'estero o si nasconde dietro dei trust. Il sistema oggi appare, ancora una volta, forte con i deboli e debole con i forti. E lo dimostrerebbero alcune metodologie applicate da Equitalia, come le aste al ribasso e il sequestro dei beni di produzione, che sono fieramente contestate dagli operatori economici morosi.
Il governo Monti sembra aver preso coscienza delle contraddizioni presenti nelle norme, oltre che della delicata situazione che stanno vivendo i Piccoli, e nella recente manovra ha adottato due misure che vanno giudicate con favore, l'allungamento della rateizzazione dei ruoli e la normalizzazione dei costi della riscossione. Ma è solo un passo e per orientare i successivi non c'è niente di meglio di una discussione pubblica sui metodi e gli obiettivi della lotta all'evasione fiscale. Una democrazia matura non teme i conflitti sociali ma sa che prima di tutto deve mettere a tacere i terroristi.
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