Confesso che questa guerra quotidiana contro la politica e i partiti mi fa tanta paura. Questo clima montante è insopportabile, e oramai non ha più argini né confini. Se ne nutrono televisioni, radio, giornali. Opinionisti senza opinione, comici che non fanno ridere, giornalisti al soldo di qualche potente, intellettuali troppo pigri per essere veri. Ne sono invasi la rete, i social network. È l’ideologia ufficiale del governo, composto da presunti tecnici salvatori della Patria. Addirittura se ne serve, per sistemare qualche conto in sospeso, qua e là qualche Procura della Repubblica.
Ed è un circolo vizioso, perché più la spari grossa, più eccedi in populismo e demagogia e più hai consenso, incroci il sentire comune. Facendo correre alla democrazia un rischio gravissimo, come insegna tristemente la nostra storia nazionale.
Il caso limite di questo vento infame è Beppe Grillo, che i sondaggi danno – di nuovo – in rapidissima e clamorosa ascesa. Recentemente è arrivato a sostenere che se tutti pagassero le tasse non farebbero alcun servizio al Paese (e all’onestà) ma semplicemente consentirebbero ai politici di rubare il doppio. Di fronte a follie del genere, che differenza c’è tra lui e Berlusconi? Nessuna. Neppure nelle dichiarazioni programmatiche. L’importante è prendere i voti dei furbetti, degli evasori, di quel popolo qualunquista e menefreghista che non ha mai fatto la fatica di pensare. Che non pensa durante tutto l’anno e non pensa neppure quando va a votare. A questa Italia peggiore bisogna – secondo Beppe Grillo – semplicemente lisciare il pelo.
A questa Italia peggiore è necessario, invece, ribellarsi.
Non perdendo la lucidità, mettendo in luce le storture e gli orrori di questo sistema politico e dei suoi partiti, ma difendendo con le unghie e con i denti la Politica e i partiti, il concetto cioè che la politica si possa fare anche attraverso le strutture organizzate, i partiti.
Ho detto e scritto più volte, anche in questo blog, che la sinistra va profondamente rinnovata. L’ho detto e scritto in maniera autocritica, pensando in primo luogo a Rifondazione Comunista e a quanto siamo anni luce distanti da quello che dovremmo essere e dalle persone in carne ed ossa a cui vorremmo parlare. E ho detto e scritto che è un problema di linguaggi incomprensibili, autoreferenziali. Di luturgie stantìe, di modi di concepire le riunioni, le assemblee, le manifestazioni, le iniziative pubbliche. Ed è anche un problema generazionale: di una generazione, quella che ci precede, che – con poche eccezioni – ha ormai fatto il suo tempo, perché ha fatto tanti errori e noi quegli errori li stiamo pagando troppo pesantemente. E che quindi, anche per colpa dei suoi errori, non è credibile, non può più candidarsi a rappresentarci, a parlare e decidere in nostro nome.
E tuttavia nulla di questo ha a che fare con la vergognosa campagna di delegittimazione che sta subendo la politica e sta subendo anche chi, come noi, non ruba, non fa affari con la criminalità organizzata, non utilizza il denaro pubblico e quello del partito per pagare diplomi taroccati né per comprarsi ville, gioielli, macchine sportive.
Io vorrei dire ai ragazzi che leggono questo post di andare a vedere il film “Diaz” al cinema in questi giorni. Oltre a vedere la violenza bruta che le forze dell’ordine di questo Stato democratico utilizzarono contro di noi undici anni fa, forse potranno capire di noi (e, io spero, di sé) qualcosa in più, che in pochi vogliono che si sappia. Per esempio, che esistono in Italia decine di migliaia di giovani che ogni giorno dedicano un pezzo della propria vita ad un sogno collettivo. Che lottano, con tutto l’amore che possono, perché il nostro Paese sia migliore di come è oggi.
E vorrei invitare tutti, anche chi non lo fa più perché magari è stanco dopo troppe delusioni, a vivere una giornata in un circolo di Rifondazione Comunista o dei Giovani Comunisti. In questi giorni siamo tutti impegnati a raccogliere le firme per difendere l’articolo 18, e cioè il diritto a non essere licenziati arbitrariamente dai datori di lavoro. Un diritto che la nostra generazione, nata e cresciuta nella giungla della precarietà e dei mille contratti a tempo, conosce spesso soltanto da lontano. Eppure noi ci mobilitiamo, scendiamo per strada a raccogliere le firme, e difendiamo il più delle volte i diritti dei nostri genitori e dei nostri fratelli maggiori. Perché abbiamo ideali giusti, puliti, facciamo Politica, quella con la “p” maiuscola, e molti di noi hanno deciso di farlo militando in un partito comunista.
Per tutti noi io vorrei rispetto.
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