TRATTO DA UAAR
Il ministro Profumo chiede a che serve l’ora di religione. Proviamo a spiegarglielo noi
Fa notizia che un ministro dell’istruzione si chieda a cosa serve l’insegnamento della religione cattolica a scuola. Il bello è che già un suo predecessore, Luigi Berlinguer, disse lo stesso nel 1999. Anzi, in maniera ancor più decisa, convinto che “a scuola si debba fare cultura e non catechesi” e ponendo una questione di laicità. Si attirò le ire dei vescovi e dei politici clericali. Che i ministri dell’istruzione non sappiano a cosa serva l’Irc è grave. Che pensino che abbia uno scopo educativo lo è forse ancora di più.
Il ministro Francesco Profumo è tornato ieri sul tema. “Credo che l’insegnamento della religione nelle scuole così come è concepito oggi non abbia più molto senso”, ha ammesso. E questa è senz’altro una buona notizia. Profumo ha tuttavia fatto leva sulla presenza ormai rilevante di alunni di origine straniera e nati in famiglie non cattoliche, che nelle classi arriva anche al 30%. Rilevante è ormai la percentuale di alunni che non frequentano l’ora di religione. “Sarebbe meglio adattare l’ora di religione trasformandola in un corso di storia delle religioni o di etica”, ha suggerito.
Il processo di secolarizzazione, con l’emergere dei non credenti e persone che non si riconoscono in chiese ‘istituzionali’, e la crescita di comunità di immigrati – specie di religione islamica, sikh o hindu – portano ormai a ridiscutere la posizione di privilegio che in molti paesi occupa l’insegnamento della religione cattolica. In Belgio ad esempio ormai è consolidato l’insegnamento di etica laica, alternativo alla religione. E in Francia l’omologo di Profumo, il ministro Vincent Peillon, sta pensando di introdurlo.
Le parole di Profumo hanno suscitato un putiferio. In questo caso è sceso in campo direttamente uno stato estero, il Vaticano, spalleggiato dai politici cattolici. Il viceministro vaticano all’Educazione cattolica, Angelo Zanni, per mettere in chiaro che l’ora cattolica deve rimanere così com’è, mette in guardia da due “estremi”. Ovvero “relativizzare ogni cultura” e dall’altro “favorirne una a discapito delle altre”. A patto che non sia quella cattolica, ovviamente. Perché l’Irc, ci tiene a precisare, “dà un importante contributo alla pacificazione e non all’esaltazione di un’identità”.
Checché ne dica Zanni, l’Irc è ben rispondente alle direttive della Cei e si traduce di fatto in una replica del catechismo, foraggiata dallo Stato. Per accorgersene, basta consultare i programmi. Diventa una marcatura del territorio, trasmettendo agli studenti l’idea che la religione cattolica – unica a disporre del privilegio di poter insegnare la propria dottrina – sia la religione di Stato. Ed è tutt’altro che pacifica: basti pensare alle tante testimonianze che ci arrivano sul trattamento riservato a chi non se ne avvale. O alle denunce dell’Unicef e del Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
Senza dimenticare la corsia preferenziale dei docenti di religione, che vengono assunti senza concorso pubblico. È sufficiente il placet del vescovo, che può anche ritirarlo se constata che la vita del nominato non è in linea con il magistero cattolico. L’Irc diventa quindi un modo che i vescovi hanno per far assumere fedeli, facendoli pagare dallo Stato. Una condizione privilegiata, che permette anche di entrare in ruolo, ancor più discutibile in un periodo di tagli e ridimensionamenti nella scuola pubblica.
Non ci sembra che l’Irc sia quindi uno strumento educativo, se per educazione si intende la trasmissione di un sapere critico che diventa patrimonio dell’individuo. Basta guardare la marcata e imbarazzante ignoranza degli italiani in materia di religione, dopo averla studiata anche per sedici anni.
Ma se da una parte valutiamo positivamente le dichiarazioni di Profumo, dall’altra anche noi ci permettiamo dicriticarlo, perché dimentica i non credenti: maggioranza assoluta tra i non cattolici, di gran lunga più numerosa rispetto alle altre confessioni di minoranza. Di cui la politica si è però sempre disinteressata. Occorre dire infatti che la presenza di stranieri è spesso un argomento politically correct, portato come foglia di fico per evitare di affrontare frontalmente certe questioni che riguardano la laicità e le discriminazioni che subiscono i non credenti a scuola come in altri ambienti. Spesso la macchina della politica inizia ad attivarsi, dopo anni di lamentele dei ’soliti’ laici, solo quando nella querelle arrivano religioni non cattoliche. Come accaduto ad esempio nel caso dell’imposizione del crocifisso negli uffici pubblici.
Da anni anche l’Uaar si impegna attivamente per promuovere il diritto di non subire un insegnamento impartito “in conformità alla dottrina della chiesa” (come recita il protocollo addizionale al Concordato) e fornendo informazioni e supporto anche legale (in particolare, scrivendo a soslaicita@uaar.it e info@oraalternativa.it). E riceve una valanga di segnalazioni da parte di genitori che lamentano come le scuole pongano ostacoli a chi non voglia seguire l’ora di religione. Ignorando sistematicamente atei e agnostici che non intendano seguire il catechismo di Stato, blindato dal Concordato.
L’Uaar ha anche avviato il progetto ora alternativa, in cui fornisce a genitori, studenti e scuole risorse utili sia per far valere i propri diritti nel caso di mancata attivazione dell’alternativa, sia spunti e strumenti per elaborare progetti nelle scuole. Se non è possibile abolire l’insegnamento religioso, quantomeno si fornisca una pluralità di corsi, rispetto al monopolio cattolico.
Ma l’insegnamento dell’ora alternativa, sebbene possa essere più utile, interessante e dinamico perché elaborato in base alle esigenze e alle capacità di insegnanti ed alunni, viene spesso boicottato. Dalle scuole che non vogliono avere problemi e che lamentano la carenza di fondi (sebbene il ministero sia tenuto ad erogarne ad hoc su richiesta per l’ora alternativa). L’associazione ha anche proposto che i docenti in esubero siano impiegati proprio per garantire nelle scuole l’insegnamento alternativo all’Irc.
Invitiamo il ministro, che viene dal Cnr e quindi sa cosa significa insegnare scientificamente, a dar seguito ai suoi dubbi, e a cominciare a intervenire seriamente. Di tutto hanno bisogno, gli studenti italiani, tranne che perdere tempo su una materia così inutile.
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