COSSUTTA UN COMUNISTA

Per Cossutta

di Maria Rosa Calderoni

Addio, Armando. In silenzio, appartato, fuori dal gorgo, se ne è andato a 89 anni, circondato da quella sua famiglia che aveva amato moltissimo. Se ne è andato con la discrezione che ha caratterizzato la sua vita personale. Armando Cossutta, una figura storica del comunismo italiano.

 Partigiano, dirigente nazionale del Pci, tra i fondatori di Rifondazione comunista e del Pdci. Comunista per sempre. E infatti volle dirlo alle ultime elezioni, quando votò Pd: <L’ho fatto da comunista>. Iscritto dal 1943, nel Pci percorse tutto intero il cursus honorum. Da subito collaboratore dell’organo del Partito, l’Unità; ininterrottamente parlamentare dal 1972 al 2008, molti furono gli incarichi da lui ricoperti nel Pci: consigliere comunale a Milano; segretario regionale della Lombardia,  membro della Direzione e della Segreteria nazionale.

Aveva un peso, Armando Cossutta. Allora, a “quel” tempo, c’erano gli amendoliani, i berlingueriani ed ebbene sì, i cossuttiani. Cioè i comunisti “duri e puri”, quelli che si ostinavano a voler vedere nell’Urss “lo Stato guida”. I bolscevichi italiani, gli antirevisionisti senza dubbi. E perciò fu lui, l’Armando, a dire no, con ribellione aperta e appassionata, al Berlinguer che, nell’81, l’anno drammatico della rivolta polacca, arrivò alla fatidica scomunica, quella che proclamava: <La spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre si é esaurita>. Fu un suo articolo, rimasto celebre, ad aprire il dibattito, forse il più aspro, dentro il Pci, il dibattito dello “strappo”.

Filosovietico per antonomasia. Ma non succube, anzi; lo fu da “comunista italiano”, attento, informato, disciplinato ma aperto. E anche capace, proprio di fronte ai sovietici ed ai loro alleati, di difendere le scelte di politica interna ed estera del PCI; e anche capace di condannare l’invasione di Praga: <I confini degli ideali socialisti non collimano con quelli degli stati socialisti”>.

Ebbene sì, il bolscevico Cossutta considerava l’Unione Sovietica un progetto incompiuto, non replicabile, ritenendo, con Luigi Longo, che <ogni testo deve essere calato in un contesto>.

 Ebbene sì. Il boscevico Cossutta era sì custode geloso della “diversità” e degli ideali del Pci, ma altresì ben consapevole delle ragioni del compromesso storico e persino dell’unità nazionale. Ciò che non potè mai accettare fu quella deriva politica ed ideologica che lui definì (profeticamente…) “mutazione genetica”. E fu lui, allora, a fare “lo strappo”.

Filosovietico disciplinato, tuttavia spezzò la liturgia ribellandosi alla indicazione del partito favorevole all’adesione del’Italia alla prima guerra del Golfo. E ribellandosi alla Bolognina, la scena del misfatto: il luogo del cambio del nome, ma soprattutto il simbolo della perdita dell’anima e della storia comunista.

E fu Rifondazione Comunista. Orgoglio, entusiasmo, una immensa bandiera rossa portata per le strade di Roma; sì, Rifondazione nacque sotto una buona stella e con begli auspici. Lui scelse di non ricoprire il ruolo di Segretario, non voleva che il suo nome e la sua storia potessero fare veto a quella sinistra dispersa che lui voleva riunire. Tenere insieme.

E infatti ci riuscì. Tenne insieme decine di migliaia di militanti che, dopo la fine del PCI, avevano perso il punto di riferimento di tutta la vita. Si ribellò al ferale “rompete le righe”, parola d’ordine del tempo. Rifiutò l’abiura proposta dal Pensiero unico trionfante.

Fu Rifondazione Comunista. Non é questo il momento di ripercorrere le tappe dell’ormai venticinquennale storia del Prc. Molta acqua e diversi segretari, anche varie scissioni, sono passati sotto i nostri ponti.

Quando Cossutta decise, quasi a sorpresa, di offrirgli il ruolo di segretario, Fausto Bertinotti era iscritto al Prc da nemmeno un anno; e fu in quel momento che proprio lui, che l’aveva fondata, deluse Rifondazione. Perché non furono pochi i circoli che proposero – e votarono- una mozione cosiffatta: “Non può essere eletto segretario chi non e iscritto al partito da almeno due anni”…

 Ci furono delle conseguenze, come si sa. Compresa la scissione, forse la più dolorosa della sua vita. E dopo venne il Pdci; dopo la rottura con Diliberto; e dopo ci fu lo straordinario fatto che Armando Cossutta, eterno uomo di partito, rimase senza partito. Mai più tessera, non volle più averne una. Tranne quella dell’Anpi, di cui fu vicepresidente nazionale.

Visse felice con la sua Emy, settant’anni insieme, fino a quando, nell’agosto scorso, la morte non gliela strappò. Visse felice coi tre figli e i quattro nipoti intorno.

Addio, Armando. Un comunista.

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