Note di Rossanda al Presidente Prodi

Note al Presidente

di Rossana Rossanda

Signor Presidente del consiglio, ha ragione di preoccuparsi. Ho letto con attenzione quel che Lei ha risposto attraverso Liberazione e il manifesto alle sinistre che, ne conveniamo, meglio sarebbe chiamare popolari che radicali (ricordando, a scanso di equivoci, che si chiamano abusivamente «popolari» i partiti di destra detti una volta, e non per elogiarli, «moderati»). Ma lasciamo la filologia. Lei sa come noi dai sondaggi e dagli analisti che delusione e scontento corrono nella parte socialmente più debole del paese - quelli che cercano di vivere del proprio lavoro, quelli che devono vivere solo della pensione, quelli che in varia misura sono impoveriti o marginalizzati - e che tutti hanno votato per il Suo governo sperandone una sorte migliore. Questo «popolo» è poi quello che ha difeso il paese, varato la Repubblica e con i suoi figli ha costruito l'Italia dal dopoguerra a oggi.

Ora è un errore quando Lei scrive: tutti sanno che la priorità è il risanamento dei conti pubblici. No, non lo sappiamo tutti. Quel popolo non lo sa. Io non lo so. So che per chi da qualche tempo in qua non riesce più ad arrivare alla quarta settimana del mese, per i salari oggi assai più bassi di quelli dei tedeschi o dei francesi, per gli otto milioni di pensionati che non percepiscono 750 euro, l'80% dei quali non raggiunge i 500 euro, il primo obiettivo è riuscire a vivere. So che per i precari, che non sono affatto soltanto giovani, il primo obiettivo è che gli vanga rinnovato il contratto a termine, e anche questi sono milioni, non so se tre o quattro. Il paese può chiedere anche a loro dei sacrifici, non sono dei dementi e vi sono fin troppo abituati. Ma un governo con le sinistre lo può fare soltanto se ha messo in atto una inversione nella redistribuzione dei redditi, che dalla fine degli anni '70 in poi si sono divaricati in modo gigantesco. Lei lo sa. È diminuita la ricchezza pubblica, è cresciuta in modo esponenziale quella privata, ma non per tutti, per una classe medio alta che sbandiera consumi di spreco, mentre si sono impoveriti i ceti bassi e medio bassi.
Il governo Berlusconi ha svergognatamente favorito questa tendenza. Per questo è stato battuto. Ma il suo governo non ha invertito la rotta. Forse che i meno abbienti non lo vedono? A chi gli dice «prima mettiamo a posto i conti pubblici», obiettano: «Sì, ma perché cominciate da noi?».

Hanno ragione. Sono le sole categorie sociali investite come tali. Delle altre si persegue, se si becca, solo chi evade le tasse, reato neppur prevedibile per chi ha un reddito fisso. Anche questo Lei sa come me. Ma la sua filosofia è che il governo deve favorire chi più ha perché finalmente si risolva a investire nel nostro asfittico capitale produttivo italiano (a dire il vero, con la legge sul Tfr il suo governo obbliga a investire soltanto chi non ha). Non le attribuisco alcuna intenzione di dissanguare i poveri.

Ma la persuasione, propria della Banca Centrale Europea e della Commissione che Lei ha a lungo diretto, che solo iniettando sangue, cioè soldi, nelle imprese e garantendo minuziosamente il libero gioco del mercato si avrà una crescita economica, della quale, poco a poco, profitteranno tutti, i più disagiati inclusi.

Non sarebbe il caso di riflettere sui risultati di questa scelta, che ormai ha almeno quindici anni? Facciamo un bilancio. Una vera crescita non c'è stata. L'Europa galleggia appena attorno al 2,5 per cento, e l'Italia è quella più in basso fra i paesi industrializzati. In Francia e Olanda il progetto di trattato costituzionale, sottoposto a referendum, è stato bocciato e sarebbe successo anche in Italia, se non fosse passato silenziosamente al Parlamento. Dove si vorrebbe mandare quel che ne resterà. Le previsioni Sue, di Barroso e di Almunia non si sono realizzate. Non sarebbe il caso di trarne qualche conclusione? E di capire che c'è da diffidare della politica non economica ma monetaria che avete fatto, imponendo tagli pesanti su occupazione, previdenza, sanità e istruzione, mentre i detentori di capitali non investono in produzione ma nella speculazione, immobiliare e no? Questo è il trend. Non lo dico io, lo dicono gli Stiglitz e i Fitoussi, che non definirei massimalisti. Non ci ripeta, prego, l'elenco di quel che siete riusciti a fare, alzare di sì e no cinquanta euro le pensioni minime. Lasci dire a Fassino che lui «non capisce» come si possa essere scontenti, Cgil inclusa, del cosiddetto pacchetto welfare. A prova che non ha più idea di come la gente campi. Noi, viceversa, capiamo che i problemi che avete davanti sono grandi, fra l'incudine dei parametri europei e una ripresa che non vuole ripartire sul serio. Ma perché avete usato il tesoretto per rientrare prima nel debito, invece che alleviare il livello crescente delle vecchie e nuove povertà? Eppure Sarkozy ha dichiarato alla Ue: «Sapete? Rientreremo non nel 2008 ma nel 2012». E ha difeso Alstom e Eads soltanto per una certa idea di sé e del primato della sua nazione. Almunia non lo ha scomunicato. Forse proprio per questo, mentre sul lavoro mena botte da orbi? Perché Lei non si sente di difendere con altrettanta determinazione una moderata causa sociale in nome della quale ha avuto i voti? Noi, come Rc e Pdci e i Verdi, non auspichiamo davvero la sua caduta. È la destra della Sua coalizione che sembra sognare nuove maggioranze. Noi le diciamo che è la vostra politica tutta e solo monetaria che va cambiata.

Ragionevolmente. Non è né giusto né lungimirante logorare le sinistre popolari, o la Cgil come Lei ha fatto imponendo un aut-aut a Epifani. Crede che senza una Cgil forte un governo di centrosinistra reggerà? Non reggerà. Non ha davanti a sé molto tempo. Veda quel che è successo in Francia nel 2002, in Germania alle ultime elezioni, e succederà alle prossime in Gran Bretagna. La destra è abile nel populismo, e aspetta solo di fare strame dei ceti più deboli. Non li spinga alla disperazione. Non aspetto risposte né le chiedo. Ma ascolti quel che le segnalano con insistenza due giornali modesti e onesti, e le dirà la manifestazione di ottobre. Non sono in pochi a pensarlo.

il manifesto, 4/8/07