"Se i penultimi odiano gli ultimi". Checchino Antonini intervista Marco Revelli su "Liberazione"
Gli italiani diventano violenti e vendicativi. In aumento le vendette e la giustizia fai-da-te: a Roma un condominio lincia un presunto pedofilo; un uomo getta un secchio di acido contro tre persone che chiacchierano sotto le sue finistre. Secondo il Viminale cresce la violenza a bassa intensità. E la Lega (il partito degli evasori) passa dalla rivolta alla rivoltella. Tutto ciò centra qualcosa con le sparate di Bossi?
Mettiamo in fila alcuni fatti recenti: un ex ministro, il capo della Lega Bossi, minaccia di far imbracciare il fucile ai suoi contro le odiate tasse. Qualche ora prima, un sessantenne romano ha rovesciato una bottiglia di acido su due-tre immigrati che chiacchieravano di sera sotto la sua finestra. Intanto, sui tg, come in loop, si replica all’infinito il calcio nel sedere che un allenatore di serie A ha tirato a un suo collega. Viene tenuta bassa, invece, la notizia del linciaggio di un peruviano, sospettato di pedofilia, da parte di una cinquantina di suoi coinquilini di un residence romano di estrema periferia. E un’occhiata al calendario restituisce l’orrore per l’omicidio, giusto un anno fa, di Renato Biagetti, ventisei anni, tecnico del suono, innamorato del reggae, accoltelato a freddo con un suo amico, da due dicottenni all’uscita da una festa in spiaggia, sul litorale della Capitale. Non ci sono state ferie, non ce ne sono da un pezzo, per chi compita il catalogo delle aggressioni xenofobe, fascistoidi, come gli incendi a moschee e campi rom. Fatti che si intrecciano spesso con la violenza spicciola della miriade di microconflitti di quartiere, di condominio. Esiste un filo conduttore tra queste vicende? Si può parlare di escalation inedita della violenza? Sono domande corrette?
«Sono domande correttissime», dice, dall’altra parte del cavo telefonico, Marco Revelli, sociologo torinese, studioso dei movimenti e della politica, che esordisce con «un’osservazione fuori contesto: non ancora sulla società ma sul sistema dei media» che usa «due pesi e due misure». «Immaginiamo cosa sarebbe successo se una frase del genere l’avesse pronunciata non dico un leader della sinistra ma un esponente del centro sociale Gramigna di Padova - si chiede Revelli - pensi i titoli! Oppure pensiamo a come viene rubricato con tolleranza il calcio dell’allenatore. Penso a Caruso, che ha avuto la sola colpa di nominare gli uomini e non le leggi. Ora veniamo all’odio, questa è la vera questione. E’ appena uscito il rapporto di una ong, Human Right First, sugli Hate crimes, i crimini di odio, contro i diversi, ebrei musulmani, gay. Pensiamo alla reazione dei commercianti livornesi contro il lutto cittadino per i bambini rom. E cosa sarebbe accaduto se fosse capitato, e poteva capitare, a una famiglia italiana, se fossero stati arrestati dei genitori italiani... Vedo un’inedita cecità ostentata nei confronti dell’altro, si arriva a negare perfino il dolore degli altri, c’è un’insensibilità per i corpi senza nome e senza volto ripescati nel Mediterraneo, fossa comune dentro cui non cade lo sguardo di nessuno. Allora sono indignato da Rutelli quando suggerisce di sottrarre i figli ai nomadi sospettati di negligenza. Cos’è se questa ferocia dei troppo buoni se non odio che acceca...Chi sarebbero i troppo buoni? Ad esempio quei sindaci che si fanno fotografare con in braccio i bambini rom ma poi ne deportano i genitori.
Da quale radice nasce quest’odio? Dalla miseria dell’opulenza, la miseria di chi crede di essere arrivato nella società dei primi, quella in cui è arrivato il miracolo di tutto tramutato in merce. E quello che non è merce è rifiuto. E’ sotto questo sguardo che si vede solo ciò che viene trasformato in valore di scambio: gli ultimi possono finire sotto i cavalcavia, possono sparire, possono bruciare, purché non disturbino venditore e compratore. Tutto ciò colpisce pure chi crede di esserci anche se non è vero: quelli che sono stati blanditi con il credito al consumo ipotecando i futuri stipendi anche dei loro figli. E’ un odio di mercato. Si potrebbe obiettare che fatti di violenza efferata ci sono sempre stati. Non c’è dubbio che l’istinto di Caino è l’archetipo di questa prova del sangue. Ma non dimentichiamo che Caino era uno stanziale che ha ucciso un nomade. La novità è che prima ci si illudeva che il mercato sopisse la violenza dettata dalla furia del sacro.
Invece? Intanto, per certi versi l’odio ha perso il carattere dell’eccezionalità. Torniamo al sistema dei media che seleziona le reazioni alla violenza, che ricodifica la violenza quella di cui val la pena dare conto, e la mette in scena, la spettacolarizza. L’omicidio di Garlasco è esemplare. C’è una violenza che ricorrentemente viene messa in scena e poi c’è l’infinita violenza che non viene messa in scena mai: le morti sul lavoro e le morti di quelli che cercano il lavoro. Nel 2006 i migranti morti tra il Canale di Sicilia e il deserto sono stati quasi dieci volte di più dei soldati Usa morti in Iraq. Una violenza che non ha nemmeno la dignità del furore del sacro, che è la piaga aperta in quel sottofondo di barbarie che caratterizza l’uomo e dovrebbe essere domato dall’incivilimento ma invece viene solo mimetizzato e riaffiora nei riti crudeli.Riaffiora in quelli che deifinite “conflitti orizzontali”? Sì, quei conflitti tra i “penultimi” e gli “ultimi”, che non sfiorano i quartieri bene, che avvengono nelle terre di nessuno, nelle zone di confine, nei luoghi delle ristrutturazioni. Lì si formano i grumi di odio, le frustrazioni, i risentimenti, le vite invivibili che sfogano su chi ha meno la frustrazione per la deprivazione, vite di persone che non hanno la forza di prendersela con i primi perché li vedono solo in tv. E’ una condizione semifeudale: non si vive più nella stessa società, si vive per corpi separati, con leggi diverse e redditi diversi.
Verrebbe da appellarsi alla politica, di cui si sente l’assenza.Poi, però, tornano in mente le fucilate di Bossi... Perché la patologia della crisi della politica si esprime vuotando la propria borsa ai peggiori sentimenti: la prova della sua crisi sono la domanda ossessiva di una sicurezza che seleziona il suo capro espiatorio, il motto “perché per noi no e per loro sì”, il bisogno del privilegio. Sono ormai moneta corrente nel mercato della politica.
Da dove cominciare per arginare l’odio? Una provocazione: spegnere la tv, vivere la strada con curiosità, ritornare a usare la parola per comunicare, ascoltare i racconti. Sarebbe una terapia straordinaria contro l’odio, diffidare dei demagoghi, ritornare a pensare di poter agire, di non essere impotenti, di poter fare...
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