DISCUSSIONE CONTINUA: appunti per un confronto dentro e fuori il Prc - 1. Per una seria riflessione, di marco sansoé.

Solo una riflessione seria sulle cause della sconfitta di tutta la sinistra di alternativa, in particolare de lasinistral’arcobaleno, può dare forza alla ripresa di un percorso politico che abbia come obiettivo la ricomposizione sociale per arginare  l’individualismo proprietario  e riaprire alla ripresa della conflittualità diffusa.

Lo strutturale spostamento a destra dell’asse politico ci impone tempi che non possono essere troppo lunghi.  Le difficoltà economiche crescenti, le incerte condizioni di vita quotidiane, il rischio che corrono le “minoranze” (sotto qualsiasi forma), l’attacco alle agibilità politiche e alle libertà individuali ci impongono di riflettere, scegliere e agire rapidamente anche se con rigore e profondità! 

 

 

La discussione avviata dentro il partito mi pare del tutto inadeguata.  Ancor più le soluzioni che si stanno prospettando per il Congresso di luglio.

Almeno che si pensi che la sconfitta elettorale sia determinata esclusivamente della nostra partecipazione al governo o dalla scelta de La Sinistra l’Arcobaleno (che pure sono concause) penso che occorra uno sforzo più coraggioso di analisi.

Credo che si debba riconoscere che questa sconfitta viene da più lontano e da più in fondo: è il risultato di una crisi della nostra strategia, del fallimentare percorso di radicamento sociale, del non risolto nodo del rapporto tra movimenti e istituzioni e della ostinata ricerca di una forma partito del tutto inadeguata.

Per questo “ricominciare dal Prc” mi pare insufficiente: perché ritrova, forse vago, un contenitore in assenza di contenuti; non individua gli elementi di crisi della società; rischia di nascondere gli errori del partito, adagiandosi sulla facile ricerca dei responsabili interni; non apre alla necessaria messa in discussione dei parametri politici usati finora; non coglie la portata della situazione; non ci dice per fare cosa dovremmo “partire da noi”.

In Rifondazione siamo tutti responsabili, perché le scelte sono state condivise (anche i vantaggi personali della presenza in Parlamento e negli Enti locali); dobbiamo cercare strade, non coprirle di cadaveri: tutti i gruppi dirigenti sono “dimissionati”, i fatti lo hanno già deciso!

 

Appare evidente il rischio che una esperienza politica che è giunta a meno del 4%, elettorale, si presenti al Congresso divisa in 4 o 5 posizioni che assumeranno le forme della “guerra per bande” (un film già visto!), incapaci di cogliere l’urgenza della messa in discussione di se stessa, fino in fondo senza reticenze!

 

L’imperativo diventa ri-costruire il rapporto con i bisogni concreti, la loro condivisione e l’uscita definitiva da velleità idealiste (e ideologiche):

  • dobbiamo capire come è cambiata la società, come sono cambiati i bisogni e la percezione degli stessi, come è cambiato il rapporto tra condizione e coscienza di classe, …cioè dobbiamo fare inchiesta;

  • dobbiamo favorire ora, subito, ed insieme ad altri, l’apertura di spazi di aggregazione secondo bisogni ed esigenze diversi; spazi di elaborazione collettiva di piattaforme rivendicative; spazi per offrire strumenti organizzativi per azioni di lotta locali;

  • dobbiamo favorire ora, subito, ed insieme ad altri, la costruzione di spazi per l’elaborazione e la diffusione della critica dell’economia politica, dell’organizzazione del lavoro, della democrazia rappresentativa, delle forme del controllo sociale, del pensiero scientifico, della cultura di massa, ecc...;

  • contribuire con altri alla costruzione di “aree liberate” nelle quali sia possibile dare vita ad azioni alternative sul piano della gestione dei servizi e dei consumi, della gestione della risorse e del territorio, delle pratiche educative e artistiche, ecc…

  • predisporre strumenti di “difesa e soccorso” per le persone “senza voce”, senza diritti, precari e/o marginali ed emarginate.
Per tutto ciò indispensabile non è tratteggiare la forma dell’organizzazione di partito, ma definire la pratica concreta dell’agire politico: le modalità di incontro con le persone, i soggetti sociali e i loro bisogni, le associazioni, ecc. 

Indispensabile è condividere con altri, con pezzi della società, l’elaborazione delle scelte e la costruzione delle azioni da intraprendere.

Dei Comunisti si può fare a meno, la storia l’aveva già detto!  Ora l’abbiamo scoperto tutti!

Da qui si può ripartire: ri-costruire una comunità che metta “in comune” non un progetto vago di società, ma ora, subito, la condivisione dei bisogni e dell’azione politica collettiva atta a soddisfarli. Non può essere questo il comunismo oggi?

biella, 25/4/2008

                                                                                                     marco sansoé

 

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Ritratto di Marco Sansoé

"Partito politico" o "partito sociale"? L'organizzazione del movimento operaio dal Novecento ai giorni nostri.

di Paolo Cacciari

Da dove trae linfa vitale (consenso) un partito politico? Dal marketing, se puoi contare su cospicui finanziamenti (ogni voto - in teoria - vale uno, ma costa diversamente). Dal carisma del capo, se sei ben piazzato nel palcoscenico della rappresentazione che la politica da di sé. Dal collante identitario, se ha un'idea olistica di società, in grado di dare una spiegazione al mondo e pensa di avere preconfezionata una risposta ad ogni cosa.
Viceversa una forza politica che persegua l'obiettivo della trasformazione della società non può che trarre la propria forza dai soggetti vitali che confliggono per trasformare la società. Un gioco di parole, tautologico che ci permette però di capire la lunga parabola dei tradizionali partiti politici di massa della sinistra, ma anche la possibile via di uscita.
Come descrive benissimo Pino Ferraris nel suo saggio "Politica e società nel movimento operaio" nell'ultimo numero di Alternative per il socialismo , la forma partito che il movimento operaio si è storicamente dato, non è sempre stata quella che conosciamo e che abbiamo continuato a praticare. Essa prevale con Kausky, Turati e Lenin e deriva da una idea di partito come strumento di conquista del potere statale, "organizzazione di combattimento" centralizzata, gerarchica, sovraordinata alle organizzazioni di massa (sindacati, associazionismo). Ai partiti operai nel corso del novecento vengono affidati i compiti di "mobilitazione controllata" delle masse, dalla partecipazione alla prima guerra mondiale alla mobilitazione nazionale per la ricostruzione industriale del "patto fordista" in una simbiosi sempre più stretta tra partiti e stato, con o senza la loro partecipazione diretta ai governi. Ferraris cita Katz a proposito della crisi dei partiti politici: "Associazioni di professionisti della politica che gestiscono agenzie parastatali". I partiti diventano i "partiti delle cariche pubbliche" e si allentano i legami con i ceti e i raggruppamenti sociali di riferimento.
Avrebbe potuto andare diversamente. Altri modelli di partiti operai erano in campo, ispirati all'esperienza comunalista e federalista della Comune di Parigi. Libere associazioni volontarie, solidali, orizzontali, mutualistiche, portatrici di una politicizzazione pervasiva delle masse e di una cultura dai forti contenuti etici. Federazioni di raggruppamenti economici e sociali, leghe di resistenza e cooperative che oggi potremmo chiamare di altra-economia. Dice sempre Ferraris: un modello di "partito sociale" che operava concretamente per realizzare elementi di "altra società" dentro la società. Al contrario del "partito politico" che si strutturava come uno "stato nello stato".
Tutto questo ha qualche cosa da dirci ancora oggi?
Siamo ad un tornante stretto della storia della democrazia. Sono riusciti a chiudere le porte dei parlamenti alle rappresentanze portatrici di idee di società alternative e di pratiche antagoniste. In Italia non ci hanno lasciato nemmeno il "diritto di tribuna"! Hanno bisogno di stabilità assoluta, di governance . Le assemblee elettive non sono più praticabili dai movimenti di massa per il cambiamento. Un'ipotesi di trasformazione della società non può che passare attraverso «processi di produzione di coscienza e di idealità dall'interno dell'esperienza sociale del lavoro e della vita e nel corso dell'azione diretta delle grandi masse» (Ferraris, p.55). L'azione dei comunisti deve quindi ricentrarsi, rovesciarsi nelle pratiche sociali, nel fare società, nell'autogestione dal basso, nella pratica dell'obiettivo, nella costituzione di elementi di un'altra società possibile. Questa rete di relazioni di resistenza e di democrazia diffusa devono trovare il modo di autorappresentarsi, di negoziare in proprio e di contendere ai poteri costituiti spazi pubblici e decisioni politiche. Servono forme e contenuti delle politica radicalmente nuovi «che siano in grado di far convergere, nel rispetto delle diversità, uno spettro arcobaleno di pratiche e culture sociali; forme che permettano di governare la tensione tra globale e locale con reti territoriali di cooperanti autonomie» (Ferraris, p.60). Un "partito sociale", forse. Sicuramente non più un partito separato dai movimenti e dalla società civile.

Liberazione, 22/4/08