DISCUSSIONE CONTINUA: appunti per un confronto dentro e fuori il Prc - 6. Quale congresso, per quale Rifondazione?

Quale congresso, per quale Rifondazione?    di Franco Russo

 

 

 

Non poteva esserci reazione peggiore ai risultati elettorali di quella che stiamo vivendo in Rifondazione Comunista. Invece di elaborare il lutto attraverso l'avvio di una discussione, di un confronto, di una ricerca comune sui mutamenti sociali, politici, culturali del nostro paese, saltiamo a piè pari questo difficile compito scatenandoci alla ricerca del "nemico interno", che, infiltratosi nelle nostre file, prima è stato osannato come guida illuminata ora è messo all'indice come il "signore del male". Stiamo scambiando la lotta intestina per una svolta politica: è la ripetizione del già vissuto nella storia della sinistra, che fa dello scontro di fazioni, della divaricazione estrema delle posizioni, della lotta personale il cuore della politica. Nello scontro interno si "nominano" le classi e gli strati sociali ma non se ne rappresenta nessuno, e non so se quanti/e ci hanno votato vi si riconoscono: così si rischia che tutto si riduca a una lotta intestina. Se Rifondazione Comunista continua su questa via, sarà la sua dissoluzione: potrà rimanere un "nucleo di comunisti", ma completamente avulso dalle dinamiche sociali e politiche perché autoreferenziale. E' bene cambiare rotta, da parte di tutti/e, per avviare, con un Congresso a tesi, una serrata quanto lunga fase di ricerca, di resistenza, di mobilitazione per affrontare quelli che sono problemi di dimensione storica: la fine della sinistra nel nostro paese, e la condizione residuale della sinistra in Europa. Abbiamo commesso un grave errore nel costituire il cartello elettorale della Sinistra l'Arcobaleno, ma il tarlo della residualità della sinistra, compresa quella comunista, era già all'opera nonostante gli sforzi di innovazione compiuti da Rifondazione dopo Genova 2001. Non è il "nemico interno" ad averci sconfitto: è il capitalismo che prima ha travolto i paesi del "socialismo reale", e ora con la sua globalizzazione va demolendo gli argini politici e sociali che gli si oppongono. Argini peraltro eretti non tanto, e comunque non solo dai partiti comunisti e di sinistra, ma innanzitutto dai movimenti contro il neoliberismo, dal movimento dei movimenti (da cui Rifondazione Comunista si è allontanata).

Ci sarebbero almeno due punti su cui avviare un virtuoso confronto fra di noi: 1. Rifondazione Comunista è un bene collettivo che non può e non deve essere disperso, e, come ha ben detto Bocconetti ( Liberazione , 3 maggio), non deve essere nella nostra esclusiva disponibilità perché esso è un patrimonio comune da valorizzare per costruire la Sinistra politica in Italia; 2. esiste una rete variegata quanto ben radicata nelle realtà sociali di movimenti, associazioni, forze sindacali, organismi territoriali, di vasti gruppi per i diritti civili, di mezzi di informazione alternativi, di donne, di precari, di pacifisti che quotidianamente pensano e si mobilitano per contrastare le politiche neoliberiste. Come mettere in relazione questi due insiemi, diversi ma accomunati dalla ricerca di una nuova identità della sinistra, è il problema politico nel suo lato soggettivo, oggi fondamentale se responsabilmente vogliamo rispondere alla grave disfatta elettorale e politica. Quanti si illudono di non essere toccati da essa perché non partecipi del cartello elettorale, presto saranno richiamati dal principio di realtà a fare i conti con una società che alimenta le pulsioni più retrive, di chiusura localistica e corporativa. L'altro problema, ancor più drammatico, è quello sociale, che un tempo avremmo detto "oggettivo": le dinamiche sociali, che rivelano una presa egemonica della destra sintetizzabile nella questione "sicurezza". Ricordiamoci, come ben documentato da Burgio, che l'egemonia si realizza sempre prima nell'apparecchio economico, come lo chiamava Gramsci, e poi nelle relazioni sociali. La sicurezza, in ogni caso, nell'epoca del capitalismo globalizzante è quella causata dalla flessibilità del lavoro, nel mercato e nelle aziende, dalla riduzione dei salari, dalla perdita dei diritti, dallo smantellamento del welfare. La destra risponde indicando un ‘nemico': i migranti, che sono i moderni meteci come ha scritto A. Rivera ( il manifesto , 4 maggio). Con una differenza che nell'antichità essi erano talmente separati dal resto dai "cittadini" da non poter costituire una minaccia sociale, oggi i moderni meteci sono posti in concorrenza con i lavoratori indigeni, che, deboli nella risposta al padronato, si rivolgono contro i lavoratori migranti perché presunti colpevoli di essere concorrenti nel mercato del lavoro e nell'uso delle risorse pubbliche (casa, asili e servizi). Corre una grave frattura nelle classi proletarie dove si è aperto un conflitto tra strati e gruppi: la destra agisce per scaricare contro la parte più debole degli strati operai - quella costituita dai migranti - la sofferenza sociale degli ‘operai indigeni'.

Non è la prima volta nella storia che si è aperta una frattura così drammatica: nella Germania del Primo dopoguerra si ebbe una divaricazione tra quella che venne chiamata l'aristocrazia operaia professionalizzata e gli strati non professionalizzati esposti più facilmente alla disoccupazione, ciò che portò alla fine della Repubblica di Weimar. Negli Usa è ricorrente il fenomeno dell'avversione e divisione tra operai bianchi, neri e ispanici. Oggi viviamo un rivolgimento sociale indotto dal capitalismo totalizzante che fa della competizione, sempre e dovunque tra imprese, tra imprese e lavoro, tra lavoratori, tra uomini e donne il suo modo di essere. Impresa e mercato sono all'opera nel forgiare la "società commerciale" dove tutto è merce, inglobando ogni ambito del vivere associato, relazionale e finanche biologico. I limiti delle risorse naturali divengono stimolo per nuovi campi di profittabilità così come lo sono divenuti quelli dei beni sociali (pubblici o meritori), che il welfare state aveva sottratto al mercato.
Dinnanzi a fenomeni di questa portata, peraltro da noi scarsamente indagati, crediamo davvero che un cambio di segretario di Rifondazione Comunista possa avviare una nuova fase? Serve davvero analizzare il nostro Dna per verificare quanto siamo comunisti, credendo che gli antichi saperi siano la fonte della soluzione dei nostri odierni problemi?

Occorre far interagire Rifondazione Comunista con l'insieme della sinistra sociale, che prima sia pur sommariamente ho delineato, perché senza questa interazione non riusciremo neppure a formulare l'agenda, l'indice dei problemi, che rimarrebbero solo quelli interni al partito.

Rifondazione Comunista, come tutti i partiti in questa fase storica, accusa un deficit della base conoscitiva perché esso non è più rappresentativo della società o degli strati sociali a cui si richiama: essa vive una separazione tra autorappresentazione e rappresentanza, e scambia la prima con la capacità di essere rappresentativa della classe. Dalla sofferenza operaia e dei migranti, all'ambientalismo e ai diritti civili, dal femminismo alla questione della democrazia costituzionale, viviamo un deficit di informazione e conoscenza, che non è un dato semplicemente culturale ma l'indice del deficit di relazioni sociali. E senza relazioni con le soggettività che quelle domande esprimono noi ci ridurremo a una "narrazione rituale", presumendo e illudendoci che la nostra autorappresentazione sia in grado di "catturare", di comprendere e di esprimere la complessa realtà del conflitto e dei soggetti sociali. Chiamarsi "partito", definirsi "comunisti" non è sufficiente a rappresentare classi e soggettività di movimenti.
Conservare e difendere l'esistenza di Rifondazione Comunista è possibile solo trasformandosi in stretto contatto con, anzi coinvolgendo i soggetti sociali organizzati. Rifondazione deve intraprendere un cammino di profondo autorinnovamento che, al tempo stesso, deve includere le forze della "sinistra sociale", di movimento, interessate a darsi una dimensione politica.

Cambiamo noi stessi se vogliamo coinvolgere e cambiare gli altri: la forma partito va sottoposta a una decostruzione radicale per superare quello che è un partito centralizzato, verticale, che richiede un leader per potersi dare un'identità, bisognoso di grandi narrazioni ideologiche invece della conoscenza critica del reale. Del "partito guida", del "partito verità" non si ha più bisogno. Per costruire un soggetto politico del XXI secolo occorre ricercare e fare azione sociale, con il concorso di tutti/e, dentro e fuori Rifondazione.                                                              Liberazione, 06/05/2008