La lezione tedesca. Dove la Sinistra unita vince!
EDITORIALE
da www.ilmanifesto.it | di Luciana Castellina
LA LEZIONE TEDESCA
Il voto tedesco di domenica - che ha visto una perdita oltre il
previsto della Cdu e la spettacolare crescita della Linke in due
laender dell'est e, ben più sorprendente, anche in uno dell'ovest (sia
pure patria del proprio Leader Oskar Lafontaine - si presta a qualche
considerazione più generale.
La
prima, che ci riguarda più da vicino: quanto in Italia non è riuscito
ai gruppi a sinistra del Pd (che pure è assai peggio della Spd), in
Germania ha funzionato.
Eppure le tradizioni culturali, e anche la
collocazione sociale, delle due principali forze che l'hanno costruita,
la Pds, erede diretta della certo non gloriosa Sed che ha governato per
quasi mezzo secolo la Repubblica democratica, e la sinistra di un
partito socialdemocratico (la Spd) e di un sindacato fortemente
anticomunista, non avrebbero potuto essere più lontane, ben più di
quelle che in Italia hanno cercato di dar vita all'Arcobaleno, quasi
tutte originariamente provenienti dal Pci. Espressione, l'una, di un
elettorato insediato all'est, e, l'altra, di un pezzo di movimento
operaio radicato nelle grandi fabbriche dell'Occidente. Sono riuscite,
certo non senza travagli, non solo a costruire un'alleanza elettorale,
ma addirittura un partito che ha ormai vinto più di una sfida negli
ultimi anni.
Varrebbe la pena che da noi il fenomeno fosse meglio
studiato e forse si vedrebbe che lì hanno giocato, diventando forza,
elementi che da noi sono debolezza: una generale e più radicata
identità di sinistra e, che al di là di storiche e tragiche divisioni,
nessuno - per la verità neppure la Spd - si è mai sentito di liquidare
con faciloneria in nome di abbagli nuovisti; un'attenzione centrale ai
problemi sociali del lavoro dipendente; l'impegno posto nel costruire
assieme una nuova cultura comune, un compito affidato essenzialmente
alla Fondazione Rosa Luxemburg, che conta ormai molte sedi anche
all'estero, e che svolge un ruolo prezioso nello stimolare nuove
analisi e nuove riflessioni collettive, un lavoro che somiglia assai
poco a quello delle proliferanti omologhe italiane.
Certo non
mancano neppure nella Linke settarismi, idiosincrasie, bisticci,
tensioni fra chi sta al governo, come nel land di Berlino, e chi
all'opposizione. Inevitabili quando a lavorare assieme si trovano
vecchi quadri sindacali, giovanissimi no-global (specie nella ex Pdf),
anziani abitanti della Repubblica democratica, vittime della
colonizzazione occidentale. Ma, fin d'ora, l'esperimento ha retto alla
grande.
La seconda considerazione riguarda la Spd che ha continuato
a perdere ovunque, sia pure senza che si verificasse il crollo che
tutti si attendevano. E però la crisi di questo partito non potrebbe
apparire più grave. Il suo leader Frank-Walter Steinmeier, vice della
Merkel nel governo di coalizione e a questa formula particolarmente
affezionato, l'uomo che ha sostituito il precedente presidente del
partito, liquidato per aver manifestato qualche apertura nei confronti
di una possibile alleanza di governo con la Linke in Assia, si trova
ora a gestire una situazione nella quale brandire il no a ogni
eventuale contaminazione coi «comunisti» gli sarà molto più difficile.
Ieri ha cantato vittoria, in nome di questa perdita che, sebbene minore
del previsto, resta pur sempre sostanziosa. Ma è ormai chiaro che
adesso non potrà fare a meno di fare i conti con la nuova sinistra,
cresciuta nonostante ogni tentativo di delegittimarla, compiuto anche a
costo - come è accaduto in Assia - di mandare in rovina la Spd di
questo Laender, imponendole di rinunciare al governo pur possibile e
così di aprire la strada alla rivinciata conservatrice.
Le elezioni
di domenica hanno reso esplosivo lo scontro già aperto nel partito,
anche se - a un mese dalle elezioni politiche federali - tutti si
guarderanno bene dal renderlo pubblico. Ma è quasi certo che nella
Sahr, nonostante gli anatemi del centro, il leader della locale Spd
finirà per fare un governo con Verdi e Linke; che in Turingia, invece,
questa coalizione non si farà perché è la Linke che avrebbe
eventualmente il diritto alla presidenza del land perché forte del 10
per cento di voti in più dei socialdemocratici. Ed è facile che, qui
come in Sassonia, si scelga alla fine l'impopolare riproduzione della
Grosse Coalition al potere a Berlino.
Questo zig-zag non indebolisce
solo il prestigio della Spd, la espone a una brutta avventura nelle
elezioni del 24 settembre: a livello federale più che un voto di scelta
partitica conta il voto per un'alternativa possibile. La Merkel, pur
bastonata dall'elettorato, nonostante i suoi tentativi di smarcarsi dal
conservatorismo del proprio stesso partito, un'alternativa ce l'ha: la
coalizione con i liberali che hanno aumentato considerevolmente i
propri voti. Non è una certezza, ma un'ipotesi credibile sì. È la Spd
che non sa che dire se rinuncia a priori a un progetto che unisca anche
Verdi e Linke. La conseguenza sarà che, di fronte alla posta in gioco
del governo federale, una bella fetta dell'elettorato tutt'ora rimasto
fedele alla Spd, e che però non vuol sentir parlare di una nuova
edizione dell'allenza con la Cdu, privo di ogni altra scelta, finisca
per non recarsi alle urne. Da trent'anni la proporzione delle
astensioni corrisponde in Germania a quelle che misurano la crisi
interna alla Spd, le sue incertezze e i suoi opportunismi. Gli elettori
socialdemocratici non tradiscono, ma si arrabbiano.
Da noi, com'è noto, tutto è meno lineare. Ma anche in questo le elezioni tedesche di domenica sono istruttive.
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