ACCORDO INFAME

Ferrero: Marchionne ha la forza ma non il consenso

''Nonostante il ricatto mafioso della Fiat, gli operai di Mirafiori hanno dato una grande lezione di dignita' bocciando il dictat di Marchionne. Solo gli impiegati hanno permesso ai si' di avere la maggioranza''. Lo afferma Paolo Ferrero di Rifondazione Comunista-Federazione della sinistra, che attacca: ''Come la mafia, Marchionne, ha la forza ma non il consenso''.

A Marchionne un no chiaro ed inequivocabile

di Giorgio Cremaschi

 Con le lacrime agli occhi, di gioia stavolta, i lavoratori italiani hanno accolto il voto di Mirafiori. Al di là di qualche piccolo escamotage dell'ultima ora oramai è chiaro che la maggioranza degli operai non ha detto sì a Marchionne e che la netta maggioranza di coloro che subiscono il più duro attacco alle condizioni di lavoro, gli addetti ai montaggi e alla lastroferratura ha detto un no chiaro ed inequivocabile. Il sì passa sostanzialmente per la valanga di voti favorevoli degli impiegati che, come da tradizione in Fiat, hanno deciso che era giusto che gli operai lavorassero a condizioni che essi non subiranno mai.
La portata immediata di questo voto è enorme. Questo vuol dire che il disegno di Marchionne di cancellare la libertà e l'autonomia del lavoro in fabbrica è, allo stato attuale, privo del consenso e della forza necessaria per affermarsi. Le tante mosche cocchiere politiche e sindacali possono anche affrettarsi a dire che ha vinto il sì, ma Marchionne sa perfettamente di avere perso. Ora si apre la via per mettere in discussione questo accordo. C'è il tempo necessario anche perché ai lavoratori a cui è stata chiesta una rinuncia preventiva a tutto, spetta ancora un anno di cassaintegrazione. Altro che i 3.500 euro in più.
Bisogna costruire una risposta sindacale, politica e giuridica, vista la quantità di violazioni di leggi e diritti che sono contenuti nelle clausole capestro dell'accordo. Ma ancora più grande è la portata di fondo di questo voto. Il no degli operai di Mirafiori ci dice che la politica del lavoro usa e getta, la negazione di piani industriali seri e credibili, l'assenza di reali programmi per il futuro, non possono più essere spacciati come la modernità che risolve la crisi.
Si è creato lo spazio oggi per costruire un programma economico e sociale alternativo a quello di Marchionne e del liberismo selvaggio e per sostenerlo con un grande movimento di lotta.
Il no degli operai di Mirafiori parla a tutto il mondo del lavoro che non vuol più piegare la testa, parla ai giovani e agli studenti, a tutti i movimenti. Questo no dice a tutti che è possibile respingere il ricatto e incrinare quel regime di ingiustizie e sopraffazione che solo sul ricatto fonda la sua forza. Il no degli operai di Mirafiori parla alla Cgil e le chiede con chiarezza di mettersi a fianco di tutti i movimenti di lotta e di programmare finalmente quello sciopero generale che è oramai nell'ordine delle cose. Infine questo no parla alla politica. Le anime morte della sinistra che hanno spiegato al mondo che come operai di Mirafiori avrebbero votato sì, oggi si identificano solo con il voto degli impiegati. La sinistra che non capisce più gli operai e la questione sociale e che si innamora di ogni Marchionne che le vende modernità a basso costo, ha finito il suo percorso nel nostro Paese. Gli operai di Mirafiori chiedono di essere rappresentati da altro.
Infine è giusto che tutti e tutte noi ringraziamo i militanti della Fiom e del sindacalismo di base, le loro Rsu che a Mirafiori, contro tutto il regime mediatico e tutte le intimidazioni, hanno creduto in questa battaglia. Certo grandi sono i meriti della Fiom, e provo orgoglio nel ricordarli. Ma so anche che il merito principale di questa organizzazione è quello di essere in sintonia con quella parte crescente del nostro Paese che non ha più voglia di piegare la testa e che considera che il regime del ricatto nel nome del profitto non sia più socialmente e moralmente tollerabile.
Così il no degli operai di Mirafiori accompagna un'altra grande buona notizia. Il successo della prima rivoluzione del ventunesimo secolo: quella dei giovani e degli operai tunisini che hanno travolto la dittatura che li opprimeva. Proprio in queste settimane la Tunisia, assieme alla Serbia, era diventata uno di quei paesi utilizzati per spiegare agli operai italiani che debbono rinunciare a tutto altrimenti lì va a finire il loro lavoro. Come si vede anche questi ricatti alla fine hanno una prospettiva corta perché tutto il mondo comincia a ribellarsi al supersfruttamento dell'economia globalizzata. E proprio in questi giorni, anche in Serbia, gli operai stanno scioperando contro i ricatti della Fiat. Grazie operai e operaie di Mirafiori, con voi oggi ci sentiamo tutti più liberi e un po' più forti. Ci ritroveremo subito tutti assieme in piazza il 28 gennaio

Un risultato straordinario. La partita è aperta alla Fiat e nel paese.

 

2326 uomini e donne che hanno detto no in una condizione di ricatto estremo, sono un risultato assolutamente straordinario. Sono un dono di libertà che le operaie e gli operai hanno fatto a tutto il mondo del lavoro e a questo paese.

 

La partita ora è aperta per rimettere in discussione l’accordo della vergogna. Sul piano giuridico, dove sono evidenti le illegittimità dell’accordo e gli aspetti di incostituzionalità.

Sul piano delle mobilitazioni a partire dalla piena riuscita dello sciopero del 28 gennaio, con un risultato che rafforza la domanda di sciopero generale e la connessione tra le lotte in campo. Quelle dei lavoratori, degli studenti, di quanti si battono per un diverso modello di sviluppo.

 

Il coraggio degli operai e delle operaie di Mirafiori richiede risposte anche dalle forze politiche della sinistra che si sono espresse contro l’accordo. E’ necessario costruire la più ampia convergenza unitaria per dare forza alle lotte e perché dalla crisi si possa uscire garantendo i diritti del lavoro, lo stato sociale e la democrazia.

 

Roberta Fantozzi

Segreteria Nazionale Rifondazione Comunista - Federazione della Sinistra

Ecco l'Italia che non si piega

di Claudio Grassi

 Ieri le operaie e gli operai di Mirafiori hanno scritto una pagina che lascerà una traccia nella storia di questo paese. La vittoria numerica dei "sì" - che pure va giudicata molto negativamente per le conseguenze che comunque avrà sui lavoratori, non solo di Mirafiori - non deve però far velo alla considerazione che la vittoria politica, per certi versi inaspettata, è certamente quella del fronte del "no".
Sappiamo bene in quali condizioni è maturato e si è svolto questo referendum. Marchionne e Berlusconi (e con loro i vari Cota e Chiamparino) hanno alimentato un clima di vero e proprio ricatto nei confronti dei lavoratori: o voti sì o perdi il posto di lavoro. Senza contare la stucchevole retorica dei giorni scorsi contro la Fiom, accusata di essere incapace di fare i conti con la "modernità" e con lo "sviluppo", in grado di "dire solo dei no", laddove la Fiom ha fatto la sola cosa che deve fare un sindacato degno di questo nome, difendere gli interessi e i diritti dei lavoratori contro un attacco così arrogante e vergognoso, condotto contemporaneamente da azienda, Confindustria, Governo, mass media.
In questo contesto le operaie e gli operai di Mirafiori, che in molti e da più parti hanno cercato in tutti i modi di umiliare e di intimidire, hanno dato una splendida lezione a tutti. Una lezione morale, politica, anche di orgoglio, rivendicando implicitamente e con forza la dignità del proprio lavoro. Operaie e operai a cui veniva chiesto di rinunciare al diritto di sciopero, alla malattia, alla pausa pranzo, agitando lo spettro della chiusura della fabbrica.
Ebbene, queste lavoratrici e questi lavoratori hanno ancora una volta dimostrato che c'è un'Italia che non si piega, che resiste e reagisce. Da un lato infatti c'è l'Italia degli eversori, quella di Berlusconi e di Marchionne, eversori delle leggi e della Costituzione: un'Italia arrogante, menzognera, padronale, che non si ferma di fronte a nulla pur di battere la resistenza di chi rivendica diritti e giustizia sociale.
Dall'altro lato c'è un'Italia che alza la testa, che non accetta i ricatti, che pretende di ragionare in termini di giustizia e diritti, che si ostina - disperatamente, inaspettatamente - a non considerare "naturale" che il cosiddetto "sviluppo" passi per l'umiliazione della vita dei lavoratori e della dignità del lavoro.
L'esito di questo referendum va perciò considerato un importante punto di ripartenza dopo la già decisiva manifestazione del 16 ottobre. Intanto per riaprire una nuova stagione di rivendicazioni e di lotte, in nome della riconquista dei diritti perduti. Il referendum di Mirafiori ci dice che è possibile. Al fianco della Fiom e delle lavoratrici e dei lavoratori, per ribadire che non si può immaginare di governare una fabbrica come Mirafiori contro le operaie e gli operai, e che dunque, alla luce del voto di ieri, è necessario riaprire la trattativa fra le parti. E allo stesso tempo per impedire che qualcuno provi a estendere il modello Marchionne altrove. La prima tappa di questo percorso sarà lo sciopero indetto dalla Fiom per il 28 gennaio. Un appuntamento che oggi diventa ancora più importante e decisivo. Anche per questo auspichiamo che la Cgil faccia quello che ormai è improcrastinabile: indire lo sciopero generale, trasformare la giornata del 28 gennaio in uno sciopero generale. Se non ora, quando?
In secondo luogo l'esito del referendum sottolinea la distanza che dobbiamo purtroppo ancora registrare fra la forza di chi è in grado di agire il conflitto (oggi le operaie e gli operai, ieri studenti e ricercatori) e la debolezza della sinistra di alternativa nel suo complesso, divisa e frammentata, fuori dal Parlamento, ancora incapace di offrire una sponda politica all'altezza della sfida e dello scontro.
Come si vede, l'importantissimo e positivo esito della consultazione di Mirafiori parla al paese intero. A parlare è un pezzo di quell'Italia che ancora resiste. Ad ascoltare, fra gli altri, dovremmo esserci anche noi, per rilanciare la loro sfida, affiancarli ancora nella loro lotta, costruire con ancora più efficacia insieme a loro la prospettiva per una nuova stagione di conflitto.