PARLARE L'ITALIANO DIVENTA BILINGUE PER LA GIUNTA COTA

ALCUNE RIFLESSIONI SULLA LINGUA DEI SEGNI APPROVATA  IN CONSIGLIO REGIONALE

  
 

Pensiamo che qualsiasi sociologo o antropologo possa confermare che una lingua non può essere imposta per legge (come dimostrano alcuni falliti tentativi ), ma nasce naturalmente secondo le esigenze di una comunità di individui”. Così scrive Fiadda (Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi) Toscana. Invece in Piemonte il Consiglio regionale ci prova. Da mesi, sulla base di una proposta di legge Lega-Pdl, si discute del riconoscimento della lingua italiana dei segni come lingua minoritaria.

E’ curioso che nel momento in cui le persone sorde possono imparare a parlare e quindi diventare libere rispetto ad una comunicazione limitata si richieda il riconoscimento del linguaggio mimico-gestuale. Nei tempi in cui i sordomuti non potevano parlare probabilmente non avrebbero desiderato lo status di portatori di una lingua minoritaria, ma l’accesso alla parola. Ora che l’accesso alla parola è possibile, in larga parte per i progressi tecnologici della protesica, c’è chi tra i sordi e tra i politici ritiene di riconoscere alla Lis lo status di lingua.

La nostra legislazione, ma ancora di più le nostre pratiche italiane hanno non soltanto riconosciuto i diritti delle persone disabili, ma adottato la fatica della integrazione nella scuola di tutti e del superamento della ghettizzazione.

Nel dibattito del Consiglio Regionale invece è stata portata come esperienza originale e innovativa la situazione di progetti di bilinguismo; si è parlato di bilinguismo facendo finta di non sapere che parlare con i segni e leggere la lingua italiana non sia essere bilingui. Ci si è affannati a un riconoscimento quando ogni giorno non si riconoscono i diritti già esigibili riguardanti le persone in condizione di disabilità; per questa esigibilità ci dovremmo impegnare, non per riconoscimenti di lingue minoritarie che non competono alla Regione ma allo Stato.

E’ stata un’operazione tutta politica di relazione tra alcuni gruppi consiliari e le organizzazioni di rappresentanza storiche della sordità, nonostante il tanto impegno che altre associazioni hanno condotto - congiuntamente a reti professionali - per indurre il Consiglio a una posizione determinata sui dati di evidenza. Non su petizioni di principio, tanto meno sulle rendite di posizione di chi non rappresenta più tutte le persone sorde perché queste fortunatamente apprendono l’uso della parola. Un buonismo melenso del tipo “ma che male si fa a riconoscere il linguaggio dei segni” ha indotto alcuni, più inconsapevoli, a votare questa legge; le buone e compassionevoli intenzioni hanno invece mascherato le determinate convinzioni di altri rispetto all’interesse politico di dare fiato e rappresentanza a una parte delle associazioni dei sordi. Spiace che nell’uno o nell’altro comportamento sia siano adagiati indifferentemente politici di centro destra e di centro sinistra.

Eleonora Artesio