Boicottiamo il 4 novembre! ...giorno della memoria per ricordare una strage e agire per la pace!

 


 

Contro la "festa della vittoria" che ricorda la guerra di aggressione dell'Italia contro l'Austria.  Contro un massacro che costò 260.000 morti italiani durante la guerra e più di 4.000 soldati italiani fucilati dai tribunali militari italiani o da precessi sommari.                  

Contro una cultura distruttiva che diede vita non solo agli orrori della Prima guerra mondiale ma anche a quelli dell'espansione coloniale in Libia e nel Corno d'Africa, che spianò la strada al Fascismo e ci gettò nella Seconda guerra mondiale.

Contra la cultura della guerra, che la nostra Costituzione rifiuta come "strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" (art.11).

Per liberarci dalle scorie nazionaliste e identitarie che dividono i popoli e le persone e li fanno concorrenti e avversari.

Per far crescere una cultura di pace che scelga la convivenza e il dialogo e non debba più "commemorare" l'aggressività e la violenza.

Commenti

Ritratto di Marco Sansoé

2 giugno, Festa della Repubblica, 4 novembre, Festa delle Forze armate (della Repubblica): metto di seguito queste due date che si tengono: infatti la protesta contro la celebrazione militare del 2 giugno è cominciata molto tempo fa e aveva portato fino alla sospensione della sfilata per le vie di Roma, ripristinata da Ciampi; quanto alle celebrazioni e discorsi per il 4 novembre si tratta di vedere se il loro carattere non contraddica appunto il carattere della Repubblica. Infatti le Forze armate non sono certo più quelle della monarchia sabauda, né quelle del regime fascista: debbono essere le forze armate di una repubblica democratica fondata sul lavoro e che ripudia la guerra come aggressione alla libertà degli altri popoli, ma anche come strumento di risoluzione di controversie internazionali, lo sappiamo dall'art.11 che nessuno propone di abrogare né di modificare. L'attuale ministro della difesa e coordinatore di Alleanza nazionale non si pone però questioni di adeguatezza - si direbbe - anzi! Vediamo dunque come si potrebbe delineare un concetto di difesa repubblicana (la Costituzione afferma che la difesa della patria è dovere "sacro" per ogni cittadino: l'aggettivo è poco laico e per nulla repubblicano, ma lasciamo perdere). Si è sempre inteso "difesa della patria" come difesa del suo territorio in caso di aggressione o invasione o occupazione da parte di altro Stato. Ma da qualche tempo è invalso l'uso di interpretare "difesa della patria" come "difesa degli interessi nazionali ovunque nel mondo anche con mezzi di intervento rapido". E' una definizione costituzionalmente corretta? Sono mai stati precisati gli "interessi nazionali"? Per esempio gli interessi dell'Eni sono direttamente interessi nazionali? E quindi mandare i Carabinieri a Nassirya a difendere i pozzi dell'Eni è interpretazione corretta dell'art.11? A prescindere dal fatto se poi lo spiegamento fosse o no adeguatamente sicuro (e molti carabinieri dicono di no e vorrebbero risposta). L'integrità delle discariche è un interesse nazionale? E chi attacca o contesta una discarica può essere ucciso come invasore? Oppure: gli interessi delle Acciaierie di Taranto o la diffusione di diossina dagli alti forni o di altri materiali pericolosi o amianto sulle navi o nelle fabbriche o sui treni deve ritenersi interesse nazionale più della salute delle persone? O la produzione industriale - magari di fabbriche di armi - vale come interesse nazionale più della produzione agricola? Ritardare l'applicazione delle misure europee sul clima quanta distruzione di pecore o latte o formaggi alla diossina comporta? E chi stabilisce che le auto valgono più dei formaggi quanto a interesse nazionale? E se le Università diventassero fondazioni private si potrebbero o no trovare scienziati che dimostrerebbero tutto? A me pare che la cosa più costituzionale che in materia sia stata fatta fu la sospensione della leva obbligatoria e l'avvio dell'esercito professionale, cioè militari di professione che sono - come amano definirsi - "cittadini con le stellette". Se sono cittadini, hanno tutti i diritti che ineriscono alla cittadinanza, per esempio il diritto a tutelare i loro legittimi interessi attraverso un vero sindacato e un patronato riconosciuto e attivo. Servirebbe a contrattare misure di sicurezza e ad applicare il principio di precauzione, a stare in giudizio collettivamente nei casi di riconoscimento di cause di servizio o di risarcimento di danni ecc. A che punto siamo in proposito? La richiesta di sindacalizzazione era forte anche tra i nostri militari e legata a Military Unionism , l'associazione che lega molti militari degli eserciti europei dotati per l'appunto di sindacati. Una proposta di legge di iniziativa popolare cominciò a raccogliere firme preso la Cgil con l'appoggio di militari delle varie armi e corpi. Io stessa quando mi occupai della commissione d'inchiesta sull'Uranio impoverito mi resi conto che il meglio - per evitare strumentalizzazioni partitiche o clientelari o residui di militarismo non democratico - era di considerare i militari per l'appunto cittadini soggetti alla Costituzione e titolari di tutti i diritti di chi è cittadino. Per quanto mi riguarda vedrei accettabile anche la richiesta del diritto all'obiezione di coscienza con caratteristiche adeguate al servizio (c'è nell'esercito germanico). Ciò che propone il ministro La Russa è invece in fondamentale contrasto con lo spirito della Costituzione e non rompe con le tradizioni non repubblicane e non democratiche. Fino a lasciar intendere che tra Difesa ed Esteri non vi è concordanza sul modo di stare in Afghanistan, se con ossequio alla Costituzione o se gli Usa ci chiedono di starci. Curioso concetto di sovranità nazionale! E anche gestione alquanto corporativa dei ministeri, la Difesa che rinfocola il nazionalismo (subalterno agli Usa beninteso) e gli Esteri legati alla trattativa e gestione diplomatica dei casi. Comunque sul 4 novembre fa fare passi indietro alla convivenza senza nemmeno rendersene conto. Non basta che D'Alema abbia fatto danni riconoscendo la secessione di quella parte del Kossovo che perciò vuol chiamarsi Kossòva e che a Bolzano ha rinfocolato la richiesta di autodeterminazione in varie forze politiche sudtirolesi, adesso si riparte anche col 4 novembre? Qui a Bolzano forse la prima manifestazione che vide insieme studenti di lingua italiana e di lingua tedesca fu un sit in in piazza Erbe, promosso da Alex Langer allora allievo del Liceo di lingua tedesca e da studenti e professori delle scuole in lingua italiana per dire che non si poteva fondare la convivenza sulla celebrazione della vittoria e la riconferma della sconfitta. Fu un grande evento civile che portò - negli anni - a ricordare il 4 novembre solo come memoria di tutti quelli che erano caduti nella prima e seconda guerra mondiale. Quanti anni ci sono voluti per ricordare civilmente la data dell'"inutile strage",come la definì Benedetto XV. Visto che si viaggia a scialo di "valori cristiani" cito la famosa frase di quel papa: poi per essere anche laica e repubblicana ricordo che a Rosa Luxemburg la prima guerra mondiale era apparsa come una enorme tragedia nella quale i due più maturi proletariati d'Europa, quello tedesco e quello francese, "travestiti da militari si spararono addosso agli ordini delle rispettive borghesie nazionali". Forse la cosa migliore sarebbe di proiettare Kameradschaft di Pabst e La Grande illusione di Renoir o una scelta della filmografia sulla prima e seconda guerra mondiale dei vari paesi, con le loro ambiguità critiche fino a Roma città aperta e Paisà , la Romana e Achtung! Banditi!, magari anche fino a S.Anna di Stazzema . Si può vivacemente discutere, ma a partire da una cultura appunto democratica e repubblicana. Lidia Menapace da Liberazione, 28/10/08
Ritratto di daniele

Leggendo l'articolo di Menapace che lega le due date, le due feste, non può non venire in mente la partecipazione di Bertinotti alla parata militare del 2 giugno di 2 anni fa. Non ha saputo, costretto nel ruolo istituzionale, differenziarsi, boicottare, ha solo costruito qualche alibi (la splilletta...!!) Occorreva allora boicottare Bertinotti ...ma su De Rica non si può, non ho letto da alcuna parte lo sdegno del segretario locale di rifondazione e del suo successore!! daniele
Ritratto di Anonimo

Il 4 novembre non è una festa!

Per "rielaborare" il lutto leggiamo la "Lettera ai cappellani militari" di Don Milani:                                                                        

http://www.ital-uil.it/italserciv/documentialtro/lettera-cappellani.pdf

Guardiamoci il film di Rosi "Uomini contro".

Puo essere un modo per non dimenticare e fare "critica della storia".

marco

Ritratto di Anonimo

Il Ministro della Difesa ha dato disposizione che il 4 novembre in duecento scuole superiori si tengano discorsi di persone inviate dall’esterno per celebrare quel giorno che sui calendari è segnato come il giorno delle Forze Armate, e nella retorica patriottarda viene definito come il giorno della vittoria. Davvero il 4 novembre è un giorno da festeggiare? C’è qualcosa di cui andare orgogliosi in quella orrenda inutile carneficina che fu la prima guerra mondiale? C’è qualcosa della partecipazione italiana alla prima guerra mondiale di cui andare orgogliosi? In quali condizioni quella guerra si svolse? Perché l’Italia partecipò a quella guerra? Perché l’Italia scelse di partecipare dalla parte dell’Inghilterra e della Francia piuttosto che dalla parte dell’Austria e della Germania, con cui aveva da tempo stretto un’alleanza? Quanti italiani morirono in quella bella guerra? E quali furono gli italiani che si arricchirono con quella guerra? E quanti degli italiani che si arricchirono presero parte attiva in quella guerra? Queste sono le domande alle quali il ministro della difesa Ignazio La Russa dovrebbe rispondere. Ma siccome sappiamo che il Ministro non risponderà, siccome sappiamo che gli esperti che il Ministero della Difesa mobiliterà non risponderanno, allora a queste domande dobbiamo rispondere noi. Quando, nel giugno del 1914 uno studente nazionalista serbo uccise l’arciduca Ferdinando, fratello dell’Imperatore d’Austria, l’Europa si trovò di fronte alla prospettiva di una guerra. Il continente era a quel tempo diviso in due schieramenti opposti: in uno di questi si trovavano la Francia la Gran Bretagna e la Russia. Nell’altro si trovavano la Germania l’Austria e l’Italia. Pochi giorni dopo l’assassinio dell’Arciduca l’Austria pose condizioni durissime alla Serbia, e la Serbia le accettò tutte, tranne una: gli austriaci avrebbero voluto entrare in Serbia per arrestare il colpevole, mentre la Serbia rispose lo arrestiamo noi ed effettivamente Gavrilo Prinzip, responsabile di quell’omicidio venne arrestato. Ma all’Austria non bastava, per cui l’Impero aggredì la Serbia. Dietro quella decisione c’era la fragilità dell’Impero austro-ungarico che cercava con una guerra di rinsaldare il suo potere declinante, e c’era soprattutto la pressione dell’imperialismo tedesco, che voleva modificare l’equilibrio europeo e si proponeva di umiliare la Francia, nemico da lungo tempo del Reich. La Francia e la Russia erano alleate della Serbia, per cui nel 1914 si delineava una guerra franco-tedesca a occidente e una guerra austro-russa ad oriente. Che c’entrava l’Italia? L’Italia era alleata dell’Austria, ma appena la guerra si presentò gli italiani si resero conto che non avevano nessuna voglia di combattere a fianco dei loro alleati. Il patto di alleanza li avrebbe costretti ad intervenire se la guerra avesse avuto carattere difensivo, ma siccome l’Austria aveva iniziato la guerra, ed era dunque il paese aggressore (anche se c’era stata una provocazione di cui la Serbia non era responsabile come stato). L’Italia aveva dunque buone ragioni per non intervenire a fianco dell’Austria. Semmai gli italiani avevano rivendicazioni da avanzare contro l’Austria, infatti l’Impero austro-ungarico manteneva il dominio dei territori del trentino e del triestino. Quando l'Austria dichiarò guerra alla Serbia, sapendo che gli italiani non avevano intenzione di seguirla, pensarono bene di evitare un tradimento completo degli italiani, e offrirono la garanzia che Trento e Trieste sarebbero state restituite alla fine della guerra se l'Italia si fosse astenuta dall'intervenire. La neutralità era dunque la condizione naturale per l'Italia, e Giolitti, che era allora Primo Ministro italiano, fece del suo meglio per difendere questa posizione, appoggiato dai socialisti e dai cattolici che non volevano che il paese venisse coinvolto in una guerra che si annunciava dura, sanguinosa e che per l'Italia sarebbe soprattutto stata inutile. Purtroppo esisteva in Italia una componente nazionalista che univa studenti esaltati desiderosi di menare le mani e borghesia industriale che sperava di poter guadagnare maggiori profitti dall'intervento che dalla neutralità. Inoltre un gruppo politico, guidato da un maestro elementare romagnolo di nome Benito Mussolini cominciò ad acquistare potere dall'incitazione quotidiana alla guerra. I nazionalisti accusarono Giolitti di essere un codardo e accusarono i socialisti di essere "panciafichisti". Solo partecipando alla guerra, secondo le loro menti irragionevoli, si sarebbe potuta realizzare una vera unità nazionale, e solo partecipando alla guerra l'Italia avrebbe conquistato il rispetto delle altre nazioni europee, e avrebbe potuto partecipare alle trattative per la spartizione post-bellica. Dirigenti politici italiani incontrarono a Londra dirigenti francesi e inglesi che promisero mare e monti se l'Italia avesse attaccato da sud l'Austria che fino al giorno prima era un alleato, e che aveva promesso di cedere su tutte le richieste in cambio della neutralità. Nel 1915, i nazionalisti riuscirono a imporre al Parlamento il rovesciamento delle alleanze. L'alleanza con Austria e Germania viene tradita a favore di un'alleanza con Francia e Inghilterra, e la guerra viene preparata apertamente. In parlamento solo i socialisti si oppongono. Filippo Turati dichiara: «Noi restiamo socialisti. Faccia la borghesia italiana la sua guerra, nessuno sarà vincitore, tutti saranno vinti». Ma ormai gli eventi precipitano, il tradimento è compiuto. Il 9 maggio Giolitti commenta le decisioni che si stanno prendendo in un Parlamento ormai succube dei fanatici con queste parole: «Spezzare il trattato adesso, passare dalla neutralità all'aggressione è un tradimento come ce n'è pochi nella storia». E l'imperatore austriaco Francesco Giuseppe dice in un messaggio al popolo, «Il re d'Italia mi ha dichiarato guerra. Un atto di infedeltà di cui la storia non conosce l'eguale è stato perpetrato dal regno d'Italia verso i suoi due alleati. Dopo un'alleanza di trenta anni durante la quale ha potuto accrescere il suo territorio e sviluppare un insospettato benessere l'Italia ci ha abbandonati nell'ora del pericolo e a bandiere spiegate è passata nel campo dei nostri nemici. Noi non abbiamo minacciato l'Italia non abbiamo toccato il suo prestigio non abbiamo intaccato il suo onore e interessi, noi abbiamo seguito i doveri dell'alleanza e abbiamo offerto il nostro scudo quando è scesa in campo. Abbiamo fatto di più: quando l'Italia ha spinto il suo sguardo avido oltre i nostri confini ci eravamo decisi a grandi e dolorosi sacrifici per mantenere la pace e salvare l'alleanza. Ma l'avidità dell'Italia non poté essere placata perché pensava di poter sfruttare il momento». Come negare che Francesco Giuseppe avesse qualche ragione? I nazionalisti italiani si resero in quel momento odiosi a chiunque non fosse indegno come loro. Odiosi agli austriaci e ai tedeschi traditi, ma anche odiosi per i francesi e gli inglesi, che usarono dei servigi militari (scarsissimi) che gli italiani poterono offrire, ma non li considerarono mai alleati bensì soltanto - qual erano - servi. E dimostrarono di disprezzare gli italiani quando, dopo la fine della guerra, al Congresso di Versailles, le richieste italiane vennero trattate con assoluta indifferenza da francesi inglesi e americani, che si consideravano ed erano i veri vincitori e consideravano gli italiani per quello che erano: degli utili traditori. Chi pagò per quella guerra? Ma chi pagò per quella guerra inutile? Come sempre nella guerra pagarono coloro che non c'entravano niente, coloro che non avevano nulla da guadagnare dalla guerra e che non l'avevano voluta: i contadini meridionali che non sapevano neanche cosa fosse l'Austria e gli operai che avevano manifestato sotto le bandiere pacifiste contro il nazionalismo. La conduzione della guerra fu un esempio di viltà di incompetenza da parte di coloro che avevano trascinato il paese nell'abisso. A Caporetto i morti italiani furono 11 mila i feriti 19 mila, i prigionieri 300 mila, 400 mila furono gli sbandati. Ancor più grave fu la battaglia di Gorizia, che costò 40 mila morti italiani. Nel frattempo però la Francia e l'Inghilterra combattevano contro i tedeschi sul fronte occidentale, e gli americani si preparavano ad intervenire, dopo che i russi, in seguito alla rivoluzione comunista del 1917, avevano deciso di abbandonare la guerra. L'intervento americano fu decisivo e accelerò i tempi della sconfitta degli austro-tedeschi. Non ci fu dunque nessuna vittoria italiana. Ci fu una vittoria degli alleati occidentali contro l'alleanza austro-tedesca. E i nazionalisti italiani- traditori che avevano sulla coscienza la morte di decine di migliaia di soldati, si fecero belli di una vittoria che non esisteva. Al Congresso di Versailles la falsità di quella vittoria imbecille risultò chiara. I francesi e gli inglesi si rifiutarono persino di stare ad ascoltare le richieste di Salandra e Sonnino, il nuovo primo ministro e il ministro della difesa del Regno d'Italia. Quei due rappresentanti di un paese straccione e codardo che aspirava ad essere un paese imperialista ed aggressore, volevano la Dalmazia, l'Albania l'Etiopia e chissà cosa d'altro. I paesi imperialisti e aggressori veri, coloro che nel crimine e nella sopraffazione erano dei professionisti risero dei dilettanti italiani e Salandra Sonnino lasciarono il Congresso senza neppure essere salutati. Nasceva così il mito della vittoria mutilata, da cui trasse energia il partito nazionale fascista fondato da Benito Mussolini sull'onda dell'umiliazione e del rancore.

Da Liberazione, 30/10/08

Ritratto di Anonima

Boicottiamo la festa del Vin Brulè! Che ne dici Robè!
Ritratto di roberto

Occorre non dimenticare che l’Italia entrò nella prima guerra mondiale del 1.915 - 1.918 grazie a una sciagurata decisione del governo e del re Vittorio Emanuele III negando la netta volontà della maggioranza dei parlamentari che si dichiararono contrari. Fu l’equivalente tragico di un colpo di Stato. Pensare che se si fosse concordato la neutralità con l’Austria e preso relativi accordi per via diplomatica quasi sicuramente territori come Trento e Trieste si potevano ottenere ugualmente, come pensava e voleva lo statista Giolitti. Purtroppo si preferì la folle scelta bellica esaltata e farcita da interventisti e volontari nazionalisti, ampiamente minoritari nella pubblica opinione e tra il popolo, dando il via al grande massacro. Tra imprese militari, atti di eroismo, censure, defezioni, umiliazioni, sofferenze, il fanatismo di molti ufficiali, ribellioni, il terrorismo degli Stati maggiori sostanziato al fronte da fucilazioni sommarie senza processo, decimazioni, ordini di offensive e sanguinosi assalti a linee e trincee nemiche che provocarono spesso ingenti perdite e irrilevanti risultati tattici. Fu una tragica guerra certo non di difesa che comportò pure un tradimento in quanto da alleati di Austria-Ungheria e Germania opportunisticamente ci schierammo con Russia, Francia, Gran Bretagna, convinti di ottenere molto di più in caso di vittoria finale come ci era stato promesso da loro, ma così non fu. Il conflitto deflagrò drammaticamente in tutta Europa con il nostro esercito, fino a ottobre 1.917 con la disfatta di Caporetto, comandato dal generale Cadorna poi sostituito da Diaz.. La “ Grande guerra “ al di là della interessata retorica militarista passata e recente risultò una catastrofica carneficina tanto che anche il papa Benedetto XV lanciò invano un accorato appello affinché si fermasse quella “ inutile strage “. Dove si usarono armi e tecnologie per allora potenti e moderne e scelleratamente i gas tossici, tutto per realizzare morti di massa. Dove si alimentarono odi, violenze, vendette, in nome di un becero patriottismo che tra risentimenti e rancori in seguito sfociò nelle tremende dittature fascista e nazista. Dove Rosa Luxemburg osservò come i due più maturi proletariati di Europa - quello francese e tedesco: “ … travestiti da militari si spararono addosso agli ordini delle rispettive borghesie nazionali classi dominanti “. Dove con orrore tra le immense distruzioni nei paesi coinvolti si contarono quasi dieci milioni di cadaveri. Dove il prezzo in vite umane pagato dagli italiani ( quasi tutti operai e contadini di cui molti analfabeti e mandati al macello come carne da cannone ) fu di circa 600.000 morti - 1 milione di feriti - mezzo milione di invalidi e mutilati - tra i cui caduti ben 2.388 furono i soldati biellesi. Questa l’amara realtà storica, spesso taciuta, rimossa o minimizzata. Per cui nelle celebrazioni della festa di stampo militarista del 4 novembre già istituita dal fascismo più che celebrare ed esaltare quella “ vittoria “ va messo in rilievo la fine di una oscena guerra imperialistica, funesta anche per Italia sia per il tributo di sangue versato che per la crisi economica e morale in cui a lungo drammaticamente la fece precipitare. Ricordando in ogni caso il sacrificio supremo dei combattenti caduti su tutti i fronti e rivolgendo loro una preghiera con sentimenti di umana pietà. Trasformandola in giornata della memoria. Riflettendo sulle barbarie delle guerre. Ribadendo l’impegno per la pace non soltanto ma anche in rapporto all’articolo 11 della nostra attuale Costituzione Repubblicana. Aldo Fappani
Ritratto di Anonimapresente

Blocchiamo con ogni mezzo la festa del 4 Novembre. No al MILITARISMO No all' INTERVENTISMO IMPERIALISTA
Ritratto di Aldissimo

Mi ha fatto pena e ho sentito nel cuore tanto dolore qunado il rinnegato Napolitano commemorava i milioni di persone andate al macello per il falso ideale della patria che spianò poi la strada ai fascisti, tanto tannto dolore, io che ho nel cuore un mondo di pace ed amore in cui ogni persona si stringa la mano al suo prossimo Aveva il tuo stesso identrico umore ma la divisa di un altro colore(De Andrè ) Sia guerra alla guerra( V.Lenin)Onore Comunista ai giovani di rifondazione per il pensiero di boicottare questi beceri anniversari.
Ritratto di Anonimo

Non è una questione che riguardi l'onore di qualcuno (dato o preso)..., è la volontà pacifista, antimilitarista e, per molti, non violenta. E' la volontà di dare voce alla storia senza falsificazioni ideologiche o di comodo! Non è una scelta dei Giovani Comunisti ma dell'insieme di Rifondazione Comunista ma che va oltre e ha trovato consensi ben più ampi. ciaociao marco
Ritratto di Daniele

Le scelte (tardive) di Rifondazione al riguardo sono sovente solo sulla carta, non hanno ricadute amministrative (l'ambito ove la politica si concretizza a livello locale). Le Amministrazioni Locali (Comuni, Provincia) hanno infatti partecipato diligentemente alla realizzazione della Festa delle Forze Armate mettendo a disposizione risorse ed organizzazione, con tanto di Sindaci o Delegati, commemorando morti ed esaltando, come da retorica, le nostre Forze Armate. Rifondazione ha posto interrogazioni, interpellanze per una diversa modalità (critica, diversificata) circa questa "festa", con dibattiti in Consiglio ? Ha chiesto ai sindaci di non portare solo la fascia tricolore ma anche il segno del lutto ? Ha chiesto che la memoria fosse affidata agli storici e non ai militari ? Ha chiesto, non risultandone l'obbligo, di non fare nulla ? Sventolare un "tema", senza radici, come la nonviolenza, senza azioni coerenti e coraggiose là dove si governa (è per quello che avete chiesto consenso all'elettorato), rimane esercizio fine a se stesso, se non mera foglia di fico. Tutto rimane sempre in subordine al mantenimento dello status quo. Daniele