Per "uscire dalla politica" 5. 15 tesi per la sinistra di Fausto Bertinotti

1.    Dopo la disastrosa sconfitta elettorale e la cancellazione della sinistra in Italia si è posta l'esigenza inderogabile della sua rinascita. Il rischio, in caso contrario, è la sua scomparsa dal panorama politico del paese per un lungo periodo.

2. Da allora, in pochi mesi, sono avvenuti eventi che hanno mutato profondamente la situazione, sia a livello mondiale, che del paese; sia nella sfera dell'economia, che in quella sociale, che in quella politica (seppure in questo caso lontano dall'Europa, come per la vittoria di Barack Obama). Ognuno di questi mutamenti, e tutti insieme reclamano una nuova, radicalmente nuova, presenza della sinistra in Italia e in Europa, rendendo persino più acuta l'esigenza, già emersa drammaticamente dopo il voto, di mettersi al lavoro per riempire un vuoto orribile.

3. Il precipitare della crisi, che ha investito il capitalismo finanziario globalizzato e che si estende dagli Usa al mondo intero, sottolinea duramente il vuoto di sinistra in Europa e propone, in tutta la sua portata storica, il tema della costruzione di una sinistra europea. E' stato detto giustamente che, se non sa mettere in campo, di fronte a questa crisi, una proposta di politica economica alternativa a quella dei governi, la sinistra non esiste.

4. La risposta alla crisi del capitalismo finanziario globalizzato è dunque un banco di prova obbligato, tanto più per le spaventose conseguenze sociali e di pesante ristrutturazione del lavoro che, in sua assenza, si produrrebbero. Una traccia di proposta è già presente nel mondo degli economisti critici. La necessità del sistema di ricorrere all'intervento pubblico porta la contesa sulla natura dell'intervento pubblico e del ruolo dello Stato. Una proposta della sinistra dovrebbe cogliere l'occasione davvero straordinaria per rivendicare un intervento pubblico nell'economia finalizzato ad una prima riforma di quel modello di sviluppo che ha generato la crisi attuale, per andare nella direzione di un modello alternativo di economia più equa, più ecologica e meno instabile. L'intervento pubblico dovrebbe perciò essere massiccio, quanto precisamente finalizzato. E' stato giustamente sottolineato che la sfida che si ripropone è sul cosa, come, dove e per chi produrre. E' concreta la possibilità di cogliere l'occasione della nazionalizzazione della finanza per rivendicare un piano del lavoro che faccia dello Stato il garante di una programmazione per il pieno impiego e un lavoro di qualità che superi la sua precarizzazione.

Alla sua base vanno individuate, e scelte, le grandi questioni irrisolte della società e i bisogni maturi e non soddisfatti. La guida di questa svolta nella politica economica sta nella organizzazione della domanda dove più stretta è la relazione tra le problematiche economiche, quelle della qualità e stabilità del lavoro e quelle ecologiche, per costruire delle risposte che sollecitino uno sviluppo qualificato della ricerca, della ricerca applicata, della tecnologia e di nuove forme di organizzazione del lavoro. La dimensione necessaria per questa riforma della politica economica è certo quella europea, ma già il livello nazionale va investito da una forte iniziativa politica e sociale. L'occasione è quella di una terribile difficoltà, ma anche quella propizia alla rinascita della sinistra, nel cimento su un passaggio così difficile. Si tratta ora di immettere questo schema di proposta con forza nel dibattito e nello scontro politico. Su questa traccia va contemporaneamente messa all'opera una comunità scientifica allargata, all'esperienza sociale in primo luogo, da cui nasca una proposta condivisa che possa entrare in relazione con tutti i fronti di lotta.

5. Il movimento di lotta di queste ultime settimane di straordinaria mobilitazione nella scuola ha dimostrato quel che si doveva già sapere, che nessun consenso di opinione mette al riparo i governi dall'insorgere del conflitto sociale, ma, contemporaneamente, ci fa scoprire una nuova dimensione possibile del conflitto, quella della sua indipendenza dalle forze politiche e della sua irrappresentabilità. Si tratta di un movimento del tutto inedito, assai diverso non solo da quelli del '68 e del '77, ma anche da quello della Pantera, un movimento diverso per composizione, organizzazione e forme di crescita anche dal movimento altermondista. Esso promuove l'azione collettiva della popolazione di un comparto della società, qui la scuola, sulla base della denuncia della lesione di un suo diritto condiviso. Avevamo già visto che senza la sinistra non c'è opposizione politico-sociale, ora impariamo che neppure l'opposizione sociale rimette più in piedi la sinistra. Si sono consumate tutte le rendite di posizione della politica. Senza un'idea di sé, del suo rapporto con i movimenti e con la società la sinistra non esiste e non rinasce.


6. Il lavoro sarà investito da una nuova fase di ristrutturazione promossa dalla crisi, e sulla base della recessione e dell'attacco all'occupazione. Il padronato si prepara a gestirla facendola precedere da un a-fondo sul sistema contrattuale con lo scopo di ridurre non solo il lavoro, ma anche il sindacato a variabile dipendente della competitività aziendale. Sebbene possa sembrare troppo radicale ed estremista, l'obiettivo confindustriale è proprio quello di cancellare l'autonomia rivendicativa e contrattuale del sindacato per sostituirlo con la sua istituzionalizzazione neocorporativa: un cambio della sua natura per sottomettere "definitivamente" il lavoro all'impresa e al capitalismo. Cambiano, anche assai profondamente, i cicli economici e la composizione del lavoro, ma il lavoro, la contesa sul lavoro e la soggettività delle lavoratrici e dei lavoratori, cioè il concreto manifestarsi delle lotte di classe, torna come uno degli snodi decisivi per l'esistenza della sinistra. Non c'è nessun automatismo né alcuna esclusività da proporre, né alcuna collocazione gerarchica da rivendicare rispetto ad altre contraddizioni, prima tra tutte quella ambientale. Semplicemente senza una sua politica su questo snodo la sinistra non esiste. La stessa questione sindacale acquista un peso del tutto particolare sia rispetto alla questione sociale che a quella politica. Se la Cgil si sottrarrà all'esito voluto dalla Confindustria e dal Governo niente rimarrà come è stato dal 1992 ad oggi, e comincerà una nuova seppur difficile storia del sindacato e del conflitto di lavoro in Italia.


7. Sia che si guardino le già grandi novità intervenute, dopo la storica sconfitta, dal punto di vista strutturale che dal punto di vista dei processi politici, si vede emergere quale tema prioritario, connesso con la questione delle proposte sulla natura del nuovo intervento pubblico nell'economia, quello dell'efficacia dell'opposizione ai fini di impedire che il cerchio si chiuda, con l'irreversibile cancellazione per l'intero medio periodo della sinistra e con la sistematica separazione tra il sociale e il politico, tra la vita delle persone e la politica. La qualità e l'ampiezza dell'opposizione debbono porsi all'altezza di un disegno regressivo di restaurazione che vede progressivamente soppiantare la Carta fondamentale della Repubblica da una costituzione materiale che ne rovescia il senso, facendosi accompagnare da una rivoluzione conservatrice guidata dalla nuova destra. L'esito di un "regime leggero", a fondamento di un assetto a-democratico della società, può essere impedito solo da un'opposizione di sinistra, popolare, di massa e capace di risalire, per metterle in discussione, alle cause strutturali del disagio sociale e della crisi economica. Ripensare a fondo l'agire collettivo, attivare tutte le forme della democrazia partecipativa, andare a lezione dai movimenti emergenti, rivoluzionare la grammatica dei rapporti tra forze politiche e movimenti, scegliere i tempi e i modi di proprie campagne di mobilitazione e di lotta che facciano venire alla luce potenzialità latenti, far coesistere esperienze diverse solo disposte a riconoscersi reciprocamente, rileggere le esperienze di democrazia diretta a partire dall'uso mirato del referendum, costituire autonomi comitati di scopo, sono solo alcune delle pratiche necessarie di un piano di lavoro politico che associ chiunque ci stia sulla base della selezione politica operata unicamente dalla condivisione dell'obiettivo.

8. Era già evidente dopo la sconfitta che la rinascita della sinistra sarebbe dovuta essere in realtà un cominciare da capo. Tutto ciò che accade avvalora questa tesi. Il rinnovamento nella continuità, che sarebbe stato possibile fino a ieri è oggi impossibile. Lo sarebbe stato, con particolare forza, di fronte ai grandi passaggi storici mancati, come la primavera di Praga, il '68-'69, lo stesso '89, per lo straordinario accumulo di storia e di esperienze fin lì a disposizione e che avrebbero potuto permettere un'uscita da sinistra dalle crisi del movimento operaio. Allora sarebbe stato possibile quel che oggi non è più possibile. Ancora, in tutt'affatto diverse condizioni, di fronte al costituirsi del movimento altermondista, un'estrema possibilità si era venuta proponendo alla politica. Ma oggi, dopo la sconfitta storica e la scomparsa della sinistra politica come forza attrattiva, questa ipotesi di lavoro non è più possibile. Quel che resta vivo dei tentativi, anche coraggiosamente tentati di fronte ai precedenti passaggi critici, è l'esigenza di fondo, quella di un'uscita da sinistra dalla crisi del movimento operaio. Ma ora è necessario che sia un'uscita da sinistra capace di essere praticata da nuove grandi organizzazioni politiche. La sinistra di cui c'è bisogno è perciò una sinistra di società, cioè capace di essere portatrice di una rinnovata critica del modo di produzione capitalistico e di un'alternativa di società e, contemporaneamente, per forza organizzata, capace di influenzare il corso generale in atto e le scelte della politica: una forza politica di cambiamento e di trasformazione.

9. Ricominciare politicamente da capo per ricostruire la sinistra in Italia e in Europa non vuol dire contrarre la malattia del nuovismo che è un'apologetica dell'innovazione che ora si fa addirittura grottesca di fronte ad una realtà come quella attuale che fa dire come scriveva Gorz "Non è un capitalismo in crisi, ma è la crisi del capitalismo che scuote profondamente la realtà". Essa genera a sua volta una crisi di civiltà e un rischio per l'umanità tutta. Un'adesione all'attuale modernizzazione è semplicemente insensata. Né vuol dire essere dimentichi del passato. Il movimento operaio del '900 è il mondo da cui veniamo. Delle tre grandi direttrici su cui si è sviluppato, la prima è morta nella tragedia, ed è quella che, sulla rottura rivoluzionaria, ha fondato la costruzione dello stato e di ciò che è stato chiamato il comunismo reale; la seconda è molto, molto malata, ed è quella che, in tutta la seconda metà del secolo, specie in Europa, ha continuato a porsi il tema della trasformazione della società capitalista diventando protagonista del compromesso democratico dei 30 anni gloriosi; la terza è ancora vitale (anche per la conferma, seppur anche spiazzante, che le viene dalle grandi mutazioni di cui il capitalismo è capace per riconfermarsi) ed è il nucleo forte della critica al capitalismo proprio dell'impianto marxiano. Proprio in ragione della sua vitalità convince ancora la tesi propagata da grandi intellettuali marxisti già alla fine del secolo scorso di andare oltre Marx, tesi che pretende una duplice opposizione, sia nei confronti di chi ne propone l'abbandono, sia di chi ne propone una acritica nuova adozione. Si può pensare di mettere a frutto la vitalità della teoria, consapevoli anche della sua maturità, proprio cercando la relazione con due contraddizioni altrettanto decisive nella critica al nuovo capitalismo totalizzante, quella tra ambiente e sviluppo e quella di genere. Un forte spirito di ricerca nella teoria critica del capitalismo dovrebbe alimentare una tendenza culturale e politica necessaria, insieme ad altre, alla rinascita politica della sinistra.


10. Il movimento operaio del Novecento vive dal '17 agli anni '80 su ciò che è stato definita l'alleanza, o la fusione, tra la classe operaia e una teoria, quella marxista-leninista. Per averne conferma basti pensare soltanto al fatto che il partito comunista dalla storia nazionale forse più autonoma di ogni altro, il Pci, modifica, nel suo statuto, il riferimento al marxismo-leninismo solo nel 1979. Il peso dell'alleanza in questo movimento operaio, quello del '900, quand'anche in esso siano cresciute esperienze diverse, è forte e innegabile. Ma questa non è la sola storia del movimento operaio possibile. Né è stata la sola. Ce ne sono state di diverse già nel corso della storia, si pensi al ciclo che precedette la Comune di Parigi, e dunque altre ce ne potranno essere, sempreché lo sfruttamento esistente sia considerabile politicamente significativo. Ad un nuovo movimento operaio la sinistra dovrebbe lavorare, nel tempo di una nuova rivoluzione capitalistica, anche modificando i contraenti l'alleanza e la sua stessa base teorica. A richiedere un soggetto capace di proporsi, su scala mondiale e in un processo storico, il superamento del capitalismo è la natura di questo capitalismo totalizzante, sono le forme concrete di sfruttamento e di alienazione che esso genera e la sua attuale proprietà di fare innovazione e contemporaneamente di produrre crisi di civiltà e di umanità. A questa ricerca non può essere estraneo il processo di costruzione della sinistra in Europa e in Italia che, tuttavia, deve disporre di un'autonoma fondazione politica, quella della definizione di un programma fondamentale in cui possano riconoscersi una molteplicità di soggetti e una pluralità di culture politiche, capace di costituire, come insieme, il fatto nuovo nella politica.


11. In politica è certo importante come chiamarsi. I simboli, i segni di una comunità scelta parlano di un'identità, di un'appartenenza. In questo nostro tempo l'identità, se vuole contrastare, anche in sé, il codice dell'esclusione che è quello oggi prevalente nella società (basti pensare, per la sua presenza nefasta e corruttiva, al riemergere del razzismo), deve essere aperta e formarsi in progresso, fermo solo il punto di avvio. I grandi nomi definitori dei partiti sono indistinguibili dalla loro storia. Parlano il linguaggio della politica solo quando sono riconoscibili ai grandi numeri, alle persone comuni e sanno trasmettere il senso dell'appartenenza ad un'impresa comune, ad un campo significativo di forze. Non è la stessa cosa dichiarare di militare personalmente per una causa o fare di essa il programma di un partito. Comunista è una parola molto impegnativa, da maneggiare con cura e misura. Essa è insieme troppo e troppo poco per definire, oggi e qui, un nuovo soggetto politico. Troppo, perché se il programma del comunismo è, come è, la liberazione del e dal lavoro salariato esso non può trovare posto (seppure possa illuminarne la ricerca) nella dimensione storica concreta a cui deve rispondere il programma fondamentale della sinistra, che non può che essere, realisticamente, ma anche ambiziosamente, quella della ricerca sul socialismo del XXI secolo. Troppo poco, perché quand'anche dichiarata l'ipotesi finalistica comunista, non potrebbe dirci granché delle ragioni, concrete, sempre quelle del qui e ora, per cui deve costituirsi la sinistra oggi, dopo la distruzione. Altro è stato, e sarebbe, il caso dell'intervento sul nome di formazioni già esistenti dove il rispetto della storia, delle storie che l'hanno animato e la loro costituzione materiale, danno conto direttamente e storicamente di un percorso e delle sue aperture, basti pensare a quello del Pci. Altro è dar vita ad un nuovo progetto politico. La sinistra è stata l'origine della politica di libertà e di giustizia nella storia moderna, cosa che consente la rammemorazione sempre necessaria per prendere il nuovo slancio. Ma è contemporaneamente anche la riaffermazione, nel presente, di un clivage, senza il quale non c'è più la politica, non c'è più scelta, il clivage tra destra e sinistra. La sinistra parla di una famiglia politica potenzialmente così ampia da poter comprendere tutti coloro che vogliono costituire una forza politica capace di tornare a declinare, in Europa, nel secolo XXI, di fronte al capitalismo totalizzante del nostro tempo, i temi di libertà e eguaglianza e che sanno che, dopo la sconfitta, si tratta di cominciare da capo. Non sarà casuale che dopo la caduta delle dittature militari in America Latina, nel rinascimento della sinistra latinoamericana, nessuna grande formazione politica che lì ha condotto alla vittoria, nei diversi paesi, la sinistra e i popoli del continente si chiami comunista, nessuna dal Ptt di Lula al Mas di Evo Morales, pur avendo tutte al loro interno socialisti e comunisti. 


12. Nessuna forza politica in Italia ha in sé oggi la forza e la cultura politiche sufficienti per questo necessario big - bang da cui possa rinascere la sinistra. Il Pd non è sinistra, e non per la composizione della sua base sociale, ma per la natura intrinseca del partito e del suo progetto politico. I partiti che hanno dato vita all'arcobaleno di sinistra lo sono, ma, separati, non hanno la massa critica necessaria per l'impresa, e, dopo la sconfitta, sono imprigionati anche rispetto alla capacità di innovazione da pesanti derive neo-identitarie. Il tema del tutto inedito, nel nuovo ciclo politico e che prende forza dall'esigenza di uscire da questo quadro impotente, è quello della ristrutturazione delle forze oggi di opposizione per dar vita ad una nuova grande sinistra di alternativa, unitaria, plurale, fondata imprescindibilmente sulla democrazia della partecipazione. La situazione, prima caratterizzata dall'esistenza di due sinistre in competizione, conflitto e possibile alleanza tra loro, è stata sostituita da una nuova situazione senza più sinistra. Sulla base dell'analisi di fatto la priorità delle priorità diventa perciò la rinascita della sinistra. Ma bisogna riconoscere che, ancora sulla base dell'analisi delle soggettività politiche in campo, quest'ipotesi, matura come grande esigenza per le forze di cambiamento e per la democrazia, è immatura soggettivamente. Ciò non toglie che debba essere indicata come meta da perseguire, non già con qualche scorciatoia politicista, per altro impossibile, ma attraverso la messa in campo di una ambiziosa e complessa operazione sociale, culturale e politica, di cui il primo passo possa essere la rottura degli steccati per cimentarsi con realtà dure e difficili come le questioni del lavoro, della scuola e della risposta da dare alla crisi, alla recessione e all'attacco all'occupazione.


13. Per affrontare questa sfida non solo vanno evitate le scorciatoie politiciste, ma ci si deve altresì precludere la via alla ricerca di un assetto delle forze di opposizione che non solo non costituirebbe uno stadio intermedio rispetto alla ristrutturazione e alla rinascita della sinistra, ma ne contraddirebbe l'ispirazione di fondo. E' l'ipotesi secondo la quale, alla crisi del centro-sinistra degli ultimi 10 anni, si dovrebbe sostituire il rapporto tra l'attuale Pd e una forza alla sua sinistra che assuma il compito di condizionarne le politiche e per riaprire, su questa base, la prospettiva di governo. Questo esito, che rappresenterebbe nient'altro che uno sviluppo moderato dell'attuale situazione di vuoto, è da contrastare nettamente. Esso ha una sola verità interna ed è che, nella attuale immaturità della ristrutturazione, deve essere perseguito l'obiettivo della costruzione da subito, si potrebbe dire da ieri, di una forza di sinistra. Ma questa nuova forza di sinistra per esistere deve disporre di un progetto autonomo, capace di delineare, per un intero ciclo, il suo compito nella società italiana ed europea. L'ispirazione della sua azione deve essere proiettata nel futuro (la rinascita della grande sinistra di cui costituisce la prima tappa) e non risucchiata nel passato del centro-sinistra. Il centro-sinistra è finito, ed è finito insieme alla sua tormentata, speranzosa ma, al fondo, fallimentare stagione. La cultura prevalente che l'ha promossa - governare la globalizzazione attraverso un corpo di regole e una classe dirigente moderna - non solo è all'origine del fallimento dei due governi Prodi, ma è stata sepolta dall'esplodere della crisi del capitalismo finanziario globalizzato. Certo il tema del governo va ripensato invece che abbandonato, ma per farlo bisogna ripartire dalla sinistra, dalla sua forza nella società, dalla sua capacità di produrre egemonia, senso comune, da un progetto riformatore della società, dell'economia e della democrazia capace di essere condiviso da grandi masse.


14. La costruzione di una forza politica unitaria e plurale della sinistra, così com'è oggi possibile, mettendo insieme e portando a unità, in un'impresa da costruire insieme, le forze e le persone che sentono fortemente questa esigenza, è un passaggio difficile quanto necessario. Necessario, prima che il quadro politico del paese si chiuda nel soffocante bipartitismo che avanza. Questo processo costituente di una forza di sinistra sarebbe la prima tappa di un cammino ancor più ambizioso, ma intanto indispensabile per non morire tra moderatismo, da un lato, chiusura identitaria, da un altro, ed esodo dalla politica, da un altro ancora. La realtà sociale del paese è ancora viva, anche se, in parte assai considerevole, drammaticamente depoliticizzata. Nei corpi intermedi della società italiana, sindacati, associazioni, centri sociali, volontariato, vive un patrimonio di esperienze e saperi che parla le lingue della sinistra, quand'anche questa sia, come oggi, muta. Nei movimenti puoi assistere a fenomeni imprevisti, del tutto imprevisti, anche fino a pochissimo tempo dal loro manifestarsi, come quello della scuola. Nell'intellettualità del paese, negli operatori di cultura, arte e spettacolo, in alcuni giornali di sinistra c'è il deposito di resistenze, spesso condannate alla solitudine, eppure non trascurabile. Se si riuscisse a profonderle tutte e ognuna in un'impresa comune, da questa nascerebbe la sinistra di oggi e di domani. Allora questo va fatto, rompendo gli indugi. C'è una sola condizione che tutte e tutti coloro che sentono il bisogno di sinistra hanno il diritto di porre per poter prendere parte paritariamente al processo costituente ed è la certezza della democrazia. La sinistra, per esistere, deve ora essere irriducibilmente democratica. Occorre qui una discontinuità secca col suo passato lontano e anche recente. Non c'è più la legittimazione che nei precedenti gruppi dirigenti, quelli usciti dalla Resistenza, consisteva nella loro storia; ogni cooptazione diventa arbitraria e divide; ogni intesa oligarchica diventa un ulteriore fattore di ulteriore distacco della politica dalla società e dai soggetti in essa attivi. L'impegno deve quindi, su questo terreno, essere irrevocabile: ogni funzione dirigente, ogni funzione di rappresentanza, fin dall'inizio del processo, deve essere attribuita con la partecipazione di tutti i rappresentati con voto segreto, su scheda bianca, tutte e tutti elettori ed eleggibili e tutti revocabili: inesorabilmente e rigorosamente una testa un voto.


15. La sinistra deve avere l'ambizione di essere anche una comunità scelta, un insieme di luoghi e di relazioni che fanno accoglienza e cura della persona. In essa devi poterci stare bene. Devi poter avere voglia di partecipare. La pratica della nonviolenza deve improntare le sue relazioni sia esterne che interne. La creazione di forme di autogoverno e di partecipazione deve costituire, in essa, il suo modo di essere e deve investire i vari aspetti del vivere, del produrre, del consumare, del convivere e del fare politica. C'è, a questo fine, da conquistare una sorta di precondizione, la rottura dell'individualismo competitivo che ha investito tutte le nostre relazioni individuali e collettive per sostituirlo, se non con un comportamento altruistico, almeno con uno improntato all'"egoismo maturo", cioè alla consapevolezza che o ce la si fa insieme o non ce la si fa. Si potrebbe cominciare, nei rapporti interpersonali, nei luoghi di confronto politico e di formazione delle decisioni, col sostituire il troppo abusato "non sono d'accordo" con il "sono d'accordo, ma…". Alla riforma della soggettività da investire nell'impresa bisogna, affinché si possa produrre e sia efficace, una altrettanto riforma strutturale del modo di essere della sinistra. Il centralismo romanocentrico, figlio non più dell'esigenza nazionale di una formazione compatta di combattimento, bensì della "governamentalità" e della centralità delle istituzioni nella politica, va spezzato in radice, dalle fondamenta. La sinistra deve saper avvolgere la dimensione nazionale in due altre dimensioni strategiche, in alto, quella europea (dove continua ad essere preziosa l'esperienza del partito della sinistra europea) e in basso, ma fondativo, il territorio. Il territorio, non già nella sua cattiva lettura basista o peggio nella sua pessima lettura populista, ma la contrario come terreno culturale, civile, di storia e di esperienza (l'Italia delle cento città) che può indurre la politica a ricominciare dalla messa in discussione dei concreti e differenziati manifestarsi di un modello di sviluppo la cui contestazione è la ragione prima della rinascita della sinistra. Perciò va fatta, nell'organizzazione della politica della sinistra, la scelta di un modello federativo partecipato, fondato sulla parificazione dei ruoli dirigenti tra autonome strutture regionali (la sinistra sarda, campana, lombarda, toscana, pugliese, etc.) e la direzione nazionale che deve essere da esse compartecipata. La rinascita della sinistra dai territori, in un disegno nazionalmente condiviso, è la via maestra per dare vita al suo primo compito ai fini di sconfiggere l'egemonia nella società conquistata dalla nuova destra. La realizzazione della riforma della società civile mediante la produzione di culture, di pratiche sociali, di luoghi e forme di convivenza, di organizzazioni civili, sociali ed economiche che contengono una critica vissuta al primato dell'impresa e del mercato, è parte decisiva di questo compito storico. E' anche da qui, dalla rottura culturale e fattuale con ogni centralismo, che rinasce la sinistra.


Liberazione, 13/11/2008

 

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Commenti

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Altro che tesi? Basta imbroglioni politici!
Ritratto di Anonimo

Bastya imbroglioni, la politica la facciano i cittadini
Ritratto di roberto

Sì va bene. Ma x imbrogliare non bisogna mica essere politici...tipo postando lo stesso messaggio due volte...;-)
Ritratto di Anonimo

Discutere delle "cose", mi piacerebbe che fosse questa l'ipotesi di lavoro, indipendentemente da chi le dice (forse liberarci un po' di noi non sarebbe male!). Nella rubrica "per uscire dalla politica" ci sono contributi diversi e contraddittori, così com'è la sinistra italiana tutta (quella di classe e quella no). Oltre i personalismi, oltre l'affermata superiorità della teoria, oltre i richiami all'idealismo (che è sempre borghese), oltre la presunta superiorità della prassi, oltre i facili appelli alla morale (anche questa, qui e oggi, è borghese), ...anche solo saper leggere (e studiare) e avere il coraggio di tacere se non si hanno cose interessanti da dire. ...e poi discutere delle cose per ri-trovare alcuni percorsi possibili, coniugabili con il presente, per guardare avanti! Lavoriamoci tutte e tutti, ciascuno di noi e tutte/i insieme abbiamo bisogno dell'intelligenza e delle sensibilità di tutte/i!

marco sansoé

Ritratto di Anonimo

Bertinotti regalami la tua collezione di scarpe che le vendo in Via Italia a Ronco Scarpe. Compagna Lella moglie di compagno Fausto regalami le tua pellicce che sono rimasto senza casa e dormo all' aperto e ho tanto freddo La Legge è uguale per tutti ma alcuni sono più uguali degli altri( G.Orwell)
Ritratto di roberto

Beh x uno che dorme all'aperto avere una connessione internet è proprio una fortuna...Sapessi quanti che t'invidiano...ma come fai? Risata

PS

Sulle pellicce puoi stare tranquillo Lella non le ha mai avute. E' un'animalista convinta! Linguaccia

Ritratto di Anonimo

La Ballata di Franco Serantini Pino Masi Canzoniere del proletariato.......... compagno Roberto mi connetto tramite l' HOMELESS , il nuovo sistema internet.non sei aggiornato compagno Roberto e inoltre i tuoi sottoposti si mettono in cerchio davanti al dumo per far arrabbiare i corvi con la veste nera.
Ritratto di roberto

L'unico sottomissione è quella del cervello che decide di non funzionare. Quindi decidi tu chi sottomette e che cosa...per il resto l'ironia truce sui senza casa le lascio a te come le improbabili citazioni della Ballata di Franco Serrantini ...comunque a star fermi e criticare solo gli altri non si sbaglia,giusto? Di questo sono certo e credo lo sarebbe anche il buon Serrantini!
Ritratto di Allegria!

L'Ironia truce è il sale della vita Roberto(se non si è è capito scherzavo=..... ai clochard dò volentieri quel che posso quando ho qualche soldo in più visto che vivo di lavoro precario.a proposito ho apprezzato molto la vostra iniziativa(foste i primi) di far apporre una targa per commemorare l' assasssinio fascista di Augusto Festa Bianchet. Il cervello smette di funzionare qunado ci si sottomette al sistema capitalistico fascista e oppressivo , quello attuale lo è in particolar modo..... quindi è bene ribellarsi ma imbracciando la canna del fucile non imbracciando le damigiane di Barolo. La Ballata di serantini la puoì trovare su Canzoni di Lotta in biblioteca Marxista. Per ritornare all' ironia truce ha più onore un barbone e preferireì diventare io stesso un clochard IN QUESTI TEMPI DELLA FINE che un parolaio e poltronaio politico che inganna le masse(non è il tuo caso ma si dice per parlare)---------- Per imparare a nuotare bisogna tuffarsi nell' acqua( Comunardo di Shangai o per parcondicio Shangay)...Sempre skerzando se è è ankora ammesso
Ritratto di Anonimo biellese

Comunque fate bene a disturbare i corvi neri del duomo.... okkupate anke la chiesa tanto è sempre vuota.....tranne qualcuno che parla da solo guardando verso il cielo con le mani giunte per avere una donna il sabato sera e q, fate attenzione ai servizi segreti della potentetissima diocesi di biella. Gli Occhi di(Mon)Signor Mana sono dapperttutto----------- Cosa fa la Sinistra borghese per togliere i privilegi al clero cattolico? VISITATE MILLENNIO MESSIANICO BLOGSPOT Siamo davvero alla frutta-(niente Uva eh!) Ps: Come fate a fare le faccine che fà il compagno Pietrobon Responsabile del Soviet di Via Bertodano? Qulacuno me lo spiega?
Ritratto di Soggetti Vari 2

millenniomessianico.blogspot.com Se vi và visitatelo Passare la sera da soli è un buon modo per temprare la proprio coscienza proletaria(Bela Kun) In Fondo l' onorevole di tutti i soviet Pietrobon è una persona simpatica e acculturata ma un pò misteriosa......
Ritratto di Anonimo

Per concludere ora vado a dormire ti dico solo una cosa compagno roberto.la chiesa nel millennio dovrà ancora purificarsi(ragionaci sù e fammi sapere che ne pensi------- Buona Domenica nel Signore a tutti. Un Comunista non può non essere Cristiano e un Cristiano non può non essere comunista( come diceva Marcello Squarcialupi eretico fiorentino del 1500 circa)...
Ritratto di roberto

Buona domenica anche a te. Nel riposo e nella meditazione.

PS

x le faccine mi spiace ma è un "privilegio" solo degli amministratori del sito sorry!Pianto

Ritratto di Chouenlai

Giusto per precisare Roberto ricorda che l' Homeless in genere è coluì che sceglie liberamente e merita rispetto, credo che anche purtroppo a Sinistra si veda la figura del clochard come una persona sfortunata e da compatire, diverso è il discorso di chi va a finire in strada contro la sua volontà...... perchè rimane senza lavoro....o altri motivi Infatto ho apprezzato la condanna del vile attentato fascista al clochard calabrese di Rimini. Credo che anche il Prc locale abbia espresso la sua ferma condanna Sarò anche folle ma io credo che una soluzione per il futuro dell' umanità in risposta al capitalismo e al materialismo sia quello di diventare clochard in massa. O una riscoperta dell' vita rurale e contadina..... non vedo altre vie di uscita da un vuoto enorme come quello di oggi.vuoto spiritaule-morale ed etico per dirla con Kropotkin. Il clochard vive libero, ricordiamocelo sempre. Libero dalle gabbie che la società borghese impone ai suoi sudditi. In quanto ......... Bertinotti come altri non tocchiimo più il tasto perchè il mio giudizio su di loro non potrà che essere sempre drasticamente negativo come quello sui politicanti di mestiere.in generale La politica non è un mestiere(Mao Tse Tung) Poi che ognuno la pensi come vuole.... Ho usato forse un termine errato sottoposti. volevo dire essendo tu segretario Prc i giovani sono sotto di te nell' organizzazione. E visto che dico le cose in faccia non nego che molti di loro non mi stanno particolarmente simpatici .... Ma anche quì è un punto di vista personale, potreì sbagliarmi, com diceva il comapgno Mao la realtà delle cose può mutare a seconda delle occasioni. In qunato invece all' ironia truce devo possederla per soppravvivere a questo mondo malvagio.l' importante èessere caritatevoli nella realtà. Grazie per i corrisposti auguri di Buona Domenica Aldo.
Ritratto di Anonimo

dunque per essere di sinistra, secondo il "compagno" bertinotti, bisogna sorpassare marx, sorpassare il comunismo...(aggiungerei unione sovietica tutta merda, perchè c'è). vorrei aggiungere alle bestialità dette dal sopracitato: il prossimo passo è la creazione di unbel partitello moderato, alternativo al pd, che collabora con le forze controrivoluzionarie per schiacciare quel che resta di decente a sinistra in questo paese e poi si mette d'accordo con i padroni per spartirsi il bottino. sarebbe un'idea coerente alle sopraelencate "tesi"? compagni non facciamoci prendere per il culo dagli pseudointelletuali buoni per i salotti che sperano di convincere i comunisti che la rivoluzione è la via sbagliata. tutti buoni a parlare di sinistra, ricostituzione di sinistra e cazzate varie ma nessuno che scende dal piedistallo e viene a discutere con chi il comunismo non lo vuole abbandonare, con chi non pensa che l'unione sovietica sia stato un percorso di errori e orrori, con chi non lascia i compagni a marcire nelle galere, con chi è convinto che l'unica strada sia la rivoluzione. vi saluto e spero che abbiate il coraggio (parlo ai veri compagni di rifondazione e giovani comunisti) di mandare a cagare lui e gli altri in intelletuloidi in stile bascetta, vendola e compagnia. un saluto fraterno luca
Ritratto di Anonimo

Caro Luca, solo per chiarezza: "andare oltre Marx" non vuol dire "sorpassare Marx" ma fare come Marx, cioè partire dall'analisi della società (che cambia) e adeguare teoria e pratica politica. Marx (per sua ammissione) non ha mai voluto costruire una teoria politica ma la strumentazione per costruire una pratica politica in grado di abbattere la società presente! Non ha mai progettato, definito o immaginato una società socialista (o comunista)lui non è un idealista! Per quanto riguarda l'URSS il discorso merita una "conversazione" più lunga, io sono disponibile! Ma se Lenin non fosse andato "oltre Marx" non avrebbe fatto la rivoluzione. Mi permetto di dirti che non è corretto fare il processo alle intenzioni, che non è bello trattare gli altri da traditori... Potrei dirti che Bertinotti è un comunista ma so che tu non mi crederesti... eppure. ciaociao marco PS marx era un'intellettuale, non ha mai fatto un lavoro nel quale si fosse sporcato le mani. Chissà forse avresti nutrito diffidenza e fastidio nei suoi confronti visto che chiami tutti "intellettualoidi".
Ritratto di roberto

Crisi o fine del movimento operaio? Risposta alle 15 tesi di Bertinotti. Intervengo anch'io per punti. Stiamo rielaborando una materia difficile, in parte ostile. Puntualizzare serve a chiarire e porta ad approfondire. Scelgo dal testo di Bertinotti, molto esteso orizzontalmente, solo alcuni temi, che ritengo essenziali e forse preliminari. La tesi 8, densa e chiara, contiene una formula felice: occorre un'uscita da sinistra dalla crisi del movimento operaio. D'accordo. Ma ci sono delle differenze di sfumature, non superficiali, che avrebbero appunto bisogno di un approfondimento. Crisi o fine del movimento operaio? Ci sono macro-fenomeni in atto, e cioè macroscopici processi di industrializzazione in paesi che si chiamavano in via di sviluppo e che oggi, congiuntura permettendo, sono ad alti ritmi di sviluppo. Che rapporto si stabilirà tra industrializzazione e proletarizzazione? Le tendenze che riusciamo a scorgere ci dicono che la crescita quantitativa degli operai non si rappresenta come emergere di una classe operaia, cioè non si dà le forme storiche del movimento operaio, organizzazione sindacale e politica più ideologia socialista. Io credo che l'idea di sinistra dovremmo farci capaci di cominciare a declinarla non solo a livello nazionale ed europeo, ma a livello mondo. E in questo senso non si tratta di rinascita ma di nascita. E francamente non la metterei come "un ricominciare da capo". Perché, messa così, è difficile non contrarre la malattia, l'epidemia, del nuovismo. Hanno fatto più danno i nuovi inizi che le vecchie chiusure. Va messo in campo invece il tema dell'eredità. La sinistra-mondo si fa erede del movimento operaio internazionale, che ha avuto nel Novecento il più alto, e il più complesso, grado di sviluppo storico: a cui non ha corrisposto il più alto e più complesso grado di sviluppo teorico. E questo è un altro bel problema da mettere a tema. La mia idea è che nel nostro secolo passato, la rivoluzione conservatrice ha prodotto più pensiero della rivoluzione operaia. E questa è stata non ultima causa, non della fine del movimento operaio, che forse era segnata dalle oggettive leggi di movimento del capitale, ma dalla sua cattiva fine, molto al di sotto della sua grande storia. Rinnovamento nella continuità sono d'accordo che è formula non più utilizzabile, legata irrimediabilmente ai tentativi falliti di riforma del socialismo. Ma è nostra necessità rimetterci nell'onda della storia di lunga durata, che è poi la storia eterna delle classi subalterne, che con l'irruzione della classe operaia ha fatto un salto di coscienza, di lotta e di organizzazione, che sta dietro di noi come memoria e sotto di noi come radice. La tesi 6 pone il tema del lavoro correttamente come momento di analisi e come soggetto di iniziativa. E'un punto decisivo. La stessa attuale crisi di fase capitalistica tenderà a scaricare sui lavoratori il peso delle sue difficoltà. Se è vero che il passaggio di ciclo porta con sé una sorta di rivincita dell'economia reale, con le sue regolate rigidità, contro un eccesso di finanziarizzazione selvaggia, allora il conflitto di lavoro riprenderà il posto che gli spetta nell'agenda politica. Non avverrà automaticamente, perché si cercherà di imbrigliarlo, prima che esploda. Gli accordi separati, e non solo, servono a questo. La sensibilità del sindacato soggetto politico ha già colto questo mutamento di scenario. Bisogna far sentire a questa Cgil che se è isolata nel Palazzo proprio per questo non lo è nel Paese. Scuola e lavoro è un tema che non è necessario portare dall'esterno nel movimento degli studenti, perché c'è già in esso più che implicitamente. Gli slogan: non pagheremo noi la vostra crisi e riprendiamoci il futuro fanno qualcosa di più che un accenno a questo. Il giovane di liceo e di università ha capito che lo aspetta un destino o di non lavoro o di lavoro precario. Compito della politica della sinistra è amplificare questa condizione, portare la critica non solo sul governo ma sul modello di società che esso gestisce e rappresenta. Il 12 dicembre è una prova, su cui investire molto. Operai e studenti uniti nella lotta, si diceva negli anni Sessanta. Non siamo a quei livelli, ma il passaggio di crisi montante giustifica un grido come "studenti e lavoratori uniti nella lotta". Io penso che nell'idea e nella pratica della Sinistra il lavoro abbia, e debba avere, una sua centralità. E' questo un altro motivo di continuità con la storia del movimento operaio. Anche se oggi, centrale più che il mito del lavoro è l'esistenza del lavoratore e della lavoratrice. E questo forse è un fatto di discontinuità. Quante volte ci siamo detto che occorreva parlare al lavoratore in carne ed ossa. A volte un pesante armamentario ideologico ce lo impediva. Ma oggi l'armamentario ideologico di cui ci dobbiamo soprattutto liberare è quello che hanno subito tutte le sinistre riformiste, nell'ultimo trentennio del ciclo neoliberista, quello della deriva dal lavoratore al cittadino, e poi al consumatore, e poi magari al telespettatore, e che ha fatto annegare lo specifico dei lavoratori nel mare indistinto della "gente". Riportare il lavoro al centro dell'agenda politica vuol dire saper far girare tutte le altre contraddizioni intorno al lavorare, in modo differente, dell'uomo e della donna, nella condizione della propria giornata, sia esso lavoro delle braccia o della conoscenza, materiale o immateriale, dipendente o autonomo, precario o fisso, e così via. Il primato egemonico del mercato ci ha messo in testa che lavoratori è una parola vecchia e chi la pronuncia vive nel maledetto Novecento, quando i lavoratori erano una forza. Va rovesciato questo senso comune. Ho idea che ci aiuterà il capitalismo in crisi al recupero di questa parola. Le tesi 12 e 13 sono importanti. E' vero: dalle due sinistre siamo finiti in nessuna sinistra. E' una situazione drammatica. Nichi Vendola la dice con la formula efficace: noi predichiamo il cambiamento, ma il cambiamento non ci riconosce. E non illudiamoci, come siamo soliti spesso fare: non sarà un Obama, dagli States, a risolvere i nostri problemi. La parola change è catturata dall'oggettività dei processi, non sta più nelle mani dei soggetti. L'associazione per la sinistra è un passo avanti, soprattutto nel senso in cui la dice ancora Vendola, "luogo di ri-tessitura di relazioni socialmente e culturalmente necessarie a far vivere il ‘senso' della parola sinistra". Non è un approdo, è un passaggio: a vari, pazienti, stadi. L'altro paradosso è che non abbiamo molto tempo, eppure dobbiamo muoverci a piccoli passi. E' urgente una piccola sinistra, e poi è necessaria una grande sinistra. Se non fossi così contrario a mischiare morale e politica, direi che è un imperativo etico, per noi oggi, dare a quel mondo dei lavoratori una seria adeguata meritata forza politica. Perché se no, che ci stiamo a fare? Dovremmo tutti responsabilmente metterci intorno a un tavolo per fare il primo di quei piccoli passi. C'è l'occasione delle elezioni europee, sbarramento o no, si vota col proporzionale, è una conta non truccata, non c'è il pericolo di Berlusconi al potere, perché ci sta già saldamente, grazie a magistrali operazioni anche lì di nuovo inizio, c'è in giro un mare di pentiti per essersi lasciati infinocchiare dal ricatto del voto utile, c'è un movimento di lotte nel sociale, destinato a crescere di qui a primavera, c'è un grande sindacato in campo deciso a raccogliere la spinta del malessere, dell'insoddisfazione, della rivendicazione, diffusa nel paese: che cosa d'altro dobbiamo aspettare per presentare una proposta unitaria della Sinistra? Non ci deve frenare lo scacco dell'Arcobaleno. Ci deve spingere la volontà di rovesciare quello scacco. La sinistra scomparsa deve ricomparire. Bisogna "far vedere" che nel paese c'è un popolo della sinistra: in campo e deciso a far pesare la propria soggettività. Una lista di coalizione "Unità della Sinistra" mostrerebbe una realtà ed evocherebbe un bisogno, che c'è per l'oggi e che guarda al domani. Gli assetti organizzativi si vedranno dopo, ma allora si potrà ragionare sulla base di un consenso reale. Tutt'altra condizione da ora, quando mi sembra che a volte parliamo di una cosa che non c'è.
Ritratto di Anonimo

Sulla promiscuità del falso cristainesimo non si fà nessun corteo
Ritratto di ChouEnLai

Ci Mancava solo un calendario di universitarie nude(per non chiamarale col loro vero nome) Pro Gelmini. Eliminare la promiscuità Eliminare il Berlusconimso. Vivere pregare sperare. -Aldo-
Ritratto di roberto

Pagando il Berluska tutto è possibile. Anche le finte universtiarie in strip. Mi fa venire in mente l'Etero Pride dell'anno scorso dei fascistelli di Biella. Per esprimere le proprie idee si usa come una merce il corpo delle donne. Una vera schifezza che farà piacere solo a certi maschi in forzosa astinenza...una tristezza che si somma ad altra tristezza.
Ritratto di roberto

Le tesi che Bertinotti ha presentato in questi giorni (cfr. Matteo Bartocci sul manifesto del 13/11) tentano di superare la collisione tra le due anime di Rifondazione comunista. Lo scoglio su cui urtano non è soltanto loro. E' un punto diventato problematico per tutte le sinistre, moderate o radicali, negli anni '70 e '80, e precipitato con la caduta del muro di Berlino: l'implosione del «socialismo reale» non rende obsoleto il paradigma marxiano della lotta di classe? Esso aveva sorretto tutto il movimento operaio e pareva confermato dalla rivoluzione del 1917. L'implosione dell'Urss e il capitalismo divenuto sistema unico mondiale davano per finito anche il conflitto sociale. Fine è parola gravida di emozioni. Non alludeva a una attuale impossibilità, ma alla verificata insostenibilità di un errore del concetto stesso che aveva innervato la lotta politica in Europa per oltre cento anni. «Fine della storia» proclamava Francis Fukujama negli Stati Uniti, «Fine di un'illusione» scriveva Francois Furet in Europa, fine del Novecento hanno scritto in molti, e non solo come del «secolo breve» ma come venir meno delle idee che lo avevano retto, prima di tutte l'affermazione marxiana secondo la quale la libertà politica di ogni cittadino non è possibile finché ne restano disuguali le condizioni. Al contrario, non pochi si sono spostati a sostenere che la libertà di impresa, luogo di condizioni disuguali per definizione, sarebbe la sola garanzia di tutte le libertà. Non sarà mai sottolineata abbastanza l'influenza che questa ottica, in forme più o meno sottili, ha esercitato su tutte le sinistre. Tanto più che la messa in dubbio del conflitto di classe si dava mentre emergeva la percezione di altri conflitti, due dei quali innovativi: il femminismo, che andava oltre l'emancipazione e l'ecologia come scoperta della devastazione del pianeta ad opera dello sviluppo industriale. Erano due percezioni di sé e del mondo su piani affatto diversi, che di comune hanno soltanto la contemporaneità (sulla quale varrebbe la pena di riflettere) e lo sfondamento rapido di un minoritarismo; risuonavano immediatamente sul reale. E non si aggiungevano al movimento operaio, lo accusavano di averle ignorate pretendendo la sola sua centralità; l'uno nega le altre e viceversa, inclinando ciascuno a porsi come «la» contraddizione principale. Attaccate nella loro base sociale dall'offensiva liberista, incerte nel cogliere l'evolvere dell'organizzazione capitalista della proprietà e del lavoro, colpevolizzate dall'accusa di non avere inteso i nuovi conflitti, le soggettività di origine operaia o si sono irrigidite o hanno dubitato delle proprie ragioni. Tutti i filosofemi sul Novecento, per quanto diversamente conditi, affermano la fine della loro ragion d'essere. Paradossalmente il capitalismo si è esteso, è il sistema unico dominante, l'ineguaglianza dentro alle singole società e fra paesi dominanti e dominati, nord e sud, non sono mai state così grandi e percepite, ma i motivi di opporvisi non ci sarebbero più. O almeno non gli stessi. Addio al proletariato scriveva una ventina di anni fa un amico scomparso, André Gorz. Qualcosa di analogo si può dire per le molte ricerche sulle innovazioni che sarebbero intervenute nel capitalismo rendendo obsoleto il conflitto di classe; ancora di recente uno dei nostri più stimati compagni, Marcello Cini, è tornato a insistere sul «luogo» di accumulazione del capitale, negando con buone ragioni che essa avvenga ormai soprattutto sul tempo di lavoro, ma scordando che non è sul dilemma di dove si formi ma sulla mercificazione della forza lavoro, la sua spersonalizzazione e riduzione a cosa, che è cresciuta la rivolta del proletariato industriale. E questa mercificazione si è estesa, se mai, ben oltre il secolo scorso e il fordismo, sull'insieme della produzione, materiale e immateriale, su gran parte della riproduzione e sul complesso dei rapporti umani. In Italia il problema è esploso su Rifondazione comunista dopo il disastro delle elezioni. Già era del tutto scomparso dall'orizzonte del Partito democratico, che neppure più si definisce di «sinistra» e non certo perché il termine è diventato equivoco, ma perché al conflitto sociale ancora in qualche modo allude. Del dilemma che ancora agita i socialisti francesi, ancorarsi alla questione sociale o al centro, il Pd ha scelto il secondo corno fin nella sua composizione. Mentre è diventato dirompente in Rifondazione. E non poteva non esser così per un partito che si era proposto di «rifondare» il comunismo, recuperando lo spazio che il Pci aveva lasciato deserto, ma non superava mai una soglia assai minoritaria di ascolto e di colpo non ne raggiungeva, istituzionalmente parlando, più nessuna. Al Congresso di Chianciano, la vecchia robusta minoranza è diventata maggioranza accusando la dirigenza di Bertinotti e poi la mozione Vendola di dismettere ogni lotta sociale con la prospettiva di finire prima o poi nel Pd; mentre la mozione Vendola accusava la linea Ferrero-Grassi di arroccarsi su una inerte ripetitività del passato. Negli articoli di Paolo Ferrero e Nichi Vendola sull'ultimo numero di «Alternative per il socialismo» (che, per essere stati scritti a settembre, non percepiscono le mutazioni della scena internazionale, né la crisi apertasi nel capitalismo) le posizioni restano immutate. Ferrero, preso dall'angoscia che tutti conosciamo, del venir meno d'una soggettività sociale punta a ricostruirla «in basso e a sinistra», cioè come esperienza diretta degli individui ora atomizzati attorno a un bisogno ravvicinato da affrontare assieme. E insiste sui simboli, nome del partito e falce e martello come salvagente per non precipitare in grembo al Pd. Vendola, nell'appassionata mappa dei conflitti e sofferenze del presente - con la sensibilità umana rara e che gli è avvalsa la vittoria in Puglia - stenta a dare una collocazione alla lotta di classe, una delle molte ferite della società. E anche lui insiste, in altra direzione, sulla priorità del simbolico. Ora il simbolico, quando venga assunto a sua volta come piano principale o unico, può essere devastante del «materiale reale». I due piani o si tengono stretti, diciamo così, per il bene e per il male, o si mutilano. Adesso Bertinotti interviene affermando, con ragione, che non esiste sinistra senza il conflitto sociale, mentre il movimento degli studenti gli suggerisce, ed è discutibile, che può darsi il contrario. Nega sia l'autonomia del sociale sia quella del politico. La proposta di Ferrero è povera, quella di Vendola stenta a individuare i nessi, conclude chi legge, che aveva individuato già, in una sua più vasta analisi della disaggregazione delle soggettività, Maria Luisa Boccia (in sintesi anch'essa in «Alternative per il socialismo»). In verita tutta Rifondazione comunista si dibatte, da quando esiste, sul bandolo dal quale afferrare la matassa dopo il 1989. Esponendosi agli scacchi: alcune affermazioni che egli ora giustamente discute sono derivate dalla sua iniziativa. Non penso tanto alla scelta di stare o non stare nella maggioranza di governo, quanto all'aver puntato sulla Sinistra Arcobaleno come a qualcosa di più che una coalizione elettorale, il nucleo di un partito «plurale». Che una opposizione al berlusconismo e al centro raccolga culture e sensibilità differenti mi pare d'obbligo, ma che la stessa possa costituire un partito nel quale il conflitto di classe sarebbe un optional è un altro paio di maniche. Ne sono derivate reazioni opposte e assai dubbie, come il disinvolto articolo sul comunismo di Rina Gagliardi su Liberazione e, all'opposto, l'accusa di liquidatore indirizzata a Vendola. Le tesi di questi giorni dovrebbero far giustizia delle battute avventate e costituire una trama sulla quale lavorare. Esse hanno dovuto aggiornarsi sulla realtà aperta negli ultimi mesi; che modifica le carte del mondo come si presentavano un anno fa. Danno fin troppo ragione a chi si opponeva alla «fine della storia» e all'autosufficienza del mercato come ordinatore dell'economia e della società. Ma, nuovo paradosso, gli apologeti dell'una e dell'altra, davanti alla cui protervia non si poteva aprir becco senza essere dileggiati, chiedono affannosamente aiuto all'intervento pubblico, mentre la sinistra non sa che dire davanti alla crisi, non solo «finanziaria», nella quale il capitalismo si dibatte. Noi, sinistre critiche, sembriamo un gatto nella notte, abbacinato dai fari d'un camion di cui preconizzavamo l'arrivo ma che ci prende di sorpresa. C'è molto da rivedere nella nostra cassetta degli attrezzi e anche nelle nostre rivendicazioni. Come avanzare un piano o un partito del «lavoro», quando è il sistema che sta traballando? Certo non possiamo attardarci nelle beghe fra noi. La rivoluzione non è all'ordine del giorno ma un corto circuito del liberismo è in corso. Non dovremmo avere qualcosa da dire? Almeno sulle misure di intervento, quante, come, destinate a chi e da parte di quale «pubblico»? Se non l'abbiamo, la nostra scomparsa da contingente rischia di diventare definitiva.
Ritratto di Anonimo

Sinistrati di tutt' italia uniamoci!
Ritratto di roberto

Sai...il cuore batte a sinistra!