CI VOGLIONO SCHIAVI

La destra riscrive il diritto del lavoro. Con il sì dell’Udc

di Stefano Bocconetti

Piccolissime tracce sui giornali, qualcosina di più - ma parliamo sempre di poche decine di righe - sui siti Web di informazione. Che invece sono stracolmi di notizie e commenti sul lodo Alfano, sulle diatribe dentro la maggioranza. Eppure, l’altra sera - quando questo giornale aveva già chiuso in tipografia - la Camera ha approvato, in via definitiva, un disegno di legge destinato a cambiare profondamente la Costituzione. Destinato a cambiare le condizioni di lavoro di centinaia di migliaia di persone. Peggiorandole, e di molto. Lasciandole senza protezione.
Cos’è successo? E’ accaduto che la Camera ha approvato, in seconda lettura, il testo di quello che tutti chiamano ”ddl lavoro”. L’ha approvato a stragrande maggioranza, con un voto che ha rimesso insieme i pezzi della destra. Con in più - dato rilevante - tutti i deputati dell’Udc, nessuno escluso. Contro, solo i democratici e l’Idv.
Che però - a differenza di quanto hanno annunciato a proposito del Lodo Alfano - in questo caso non hanno promesso di fare «le barricate». E dire, invece, per usare le parole di Roberta Fantozzi, responsabile Lavoro del Prc, che si tratta di «uno degli atti più gravi di questa legislatura».
Tanto grave che il Presidente Napolitano aveva già mosso dei rilievi, a marzo, alla prima stesura del testo. La maggioranza di destra e il «centro» - in questa inedita alleanza che può contare, naturalmente, anche sul sostegno di Bonanni e Angeletti - l’hanno invece riproposto sostanzialmente identico.
Ma ecco di che si tratta, in pillole. La misura più allarmante è quella che introduce nuove norme sull’«arbitrato». Si limita - e notevolmente - la sfera di competenza dei giudici e soprattutto si introduce il cosiddetto «canale della conciliazione». Per essere ancora più chiari: d’ora in poi per le nuove assunzioni sarà possibile firmare una clausola in cui il lavoratore e azienda affidano le loro controversie ad un «arbitro» e non più ad un giudice. Un «arbitro» che potrà decidere anche in deroga rispetto ai contratti di lavoro. Tradotto: significa che le nuove assunzioni - è facile prevedere: tutte le nuove assunzioni, nessuna esclusa - avverranno con questa clausola. Che di fatto lascerà i nuovi occupati senza più alcuna tutela. Hanno riscritto lo Statuto, insomma senza neanche discuterne. E senza neanche troppi clamori.
E ancora, non è finita. Grazie ad un emendamento proposto dal deputato Cazzola, del Pdl, il pacchetto di norme arriva ad eliminare anche una delle poche - se non l’unica - realizzazione dei governi di centrosinistra: l’innalzamento a sedici anni dell’obbligo scolastico. Ora invece si torna indietro: già a quindici anni sarà possibile entrare al lavoro. Naturalmente, a patto, che tutto sia mascherato da «apprendistato».
Nel raccontare le norme previste dalla legge si usa il verbo al presente, visto che il ddl è stata approvato e sta per entrare in vigore. Forse però sarebbe meglio utilizzare il condizionale. Perché sono evidenti - un po’ a tutti, anche a molti ambienti lontani dalla sinistra - che le nuove norme contengono tanti aspetti anticostituzionali. Come il divieto - per i neo assunti che firmino la clausola ricattatoria - di poter poi ricorrere ad un giudice.
Ed è proprio sul terreno giuridico che la Cgil - che l’altra sera, appena s’è sparsa la notizia dell’approvazione, era già sotto Montecitorio coi cartelli di protesta - ha deciso di cominciare la sua battaglia. Fulvio Fammoni, segretario confederale, annuncia che la Cgil, da subito, procederà con un ricorso alla consulta. A cui seguirà un appello con firme di magistrati, costituzionalisti, per bloccare l’applicazione delle norme. «In ogni caso - dice Fammoni - sapremo come difenderci da queste norme».
Questo sul versante giuridico. Ma le organizzazioni dei lavoratori - la parte maggioritaria delle organizzazioni dei lavoratori - è decisa a condurre una battaglia politica e sociale per impedirne l’applicazione. Semplicemente perché - come sostiene ancora il dirigente della Cgil - «sovverte il diritto del lavoro, così come è esistito fino ad ora in Italia».
Su questa linea anche le opposizioni della sinistra fuori dal Parlamento. Paolo Ferrero, segretario del Prc, interpellato dai giornalisti a Bologna ai margini di un convegno della Fiom, ha detto che probabilmente lo schieramento contrario alla legge avrebbe potuto fare di più in Parlamento. «Ci si poteva svegliare prima - ha risposto il segretario - Per riuscire a farla rimandare alle Camere - ha aggiunto - ho dovuto fare uno sciopero della fame e chiederlo io a Napolitano. Forse si poteva fare di più». La battaglia, comunque, è appena cominciata.

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