FERMIAMO LA FORNERO
Dopo avere distrutto le pensioni di anzianità e deindicizzato quelle al di sopra dei 1.200 euro netti (ma nel 2013 torneranno sotto la tagliola anche le rendite superiori a 700 euro), la signora Elsa Fornero, titolare del ministero che senza senso umoristico continua a chiamarsi del welfare, è passata alla fase due, nella quale il nuovo obiettivo del terrificante tiro a segno contro il lavoro è lo Statuto dei lavoratori o, per meglio dire, il suo architrave portante, quell’articolo 18 che tutela i prestatori d’opera dai licenziamenti intimati senza giusta causa.
Come per la crociata contro il regime pensionistico, di cui si è falsamente invocata l’insostenibilità economica, anche in questo caso, per dare alla crociata contro i diritti una parvenza di legittimità si ricorre alla menzogna. Che si regge sulla seguente premessa: le aziende vedrebbero compromesse le proprie chances competitive a causa dell’impossibilità di privarsi del personale eccedentario, mentre una maggiore flessibilità in uscita (quella in entrata si avvale già di un proflufio di regimi precari e a termine) restituirebbe elasticità ad un mercato del lavoro ingessato da troppi vincoli e rigidità.
Il ministro, sulle orme di Pietro Ichino, ripropone la bizzarra tesi secondo cui chi gode del “privilegio” di potersi opporre ad un sopruso, sarebbe responsabile di privare le nuove leve del diritto ad una occupazione. Insomma, il diritto al lavoro verrebbe garantito non già da una politica imprenditoriale rivolta all’investimento e ad una resuscitata propensione al rischio industriale, bensì dalla possibilità di cacciare chi si voglia, quando si voglia e per qualsivoglia motivo. Non certo, dunque, per ragioni legate a crisi aziendali, nei quali casi la facoltà di licenziare è già, come ognuno sa, ampiamente normata e praticata.
L’impianto che la coppia Fornero-Ichino vorrebbe tramutare in legge si propone, in apparenza, come un modello capace di superare il carattere duale della legislazione vigente, in base alla quale nelle imprese con meno di 16 dipendenti non si applicano le norme dello Statuto che operano soltanto al di sopra di tale soglia. In realtà, se questo fosse davvero l’obiettivo del governo, basterebbe estendere le tutele della legge 300/70 a tutti i lavoratori ed eliminare la stupefacente proliferazione di contratti “aticipici” che hanno trasformato il diritto del lavoro in un colabrodo e il mercato del lavoro in un supermercato delle braccia. Ma l’obiettivo è un altro, benché mascherato da nobili intenti. Fornero parla di un «contratto unico a tutele crescenti». Cosa significa? Il ministro spiega: un contratto uguale per tutti i lavoratori, dove si inizia facendo la gavetta con un salario basso e senza diritti, per poi vedere gradualmente crescere l’uno e gli altri. E per ammorbidire la botta Fornero, esattamente come Ichino, propone che i lavoratori in forza (i padri) mantengano la normativa in essere (ivi compreso l’articolo 18), mentre ai nuovi assunti (i figli) si applichi il nuovo regime, alla faccia della dichiarata intenzione di superare il dualismo normativo.
In realtà, come è facile intuire, la fase, diciamo così, di transizione, servirebbe a svuotare progressivamente la sacca dei lavoratori che portano “in dote” la tutela forte, per arrivare in rapide tappe all’estinzione del diritto per tutti. Sì, perché la parte più sconcia (e fraudolenta) del progetto sta proprio in quell’illusione di «tutele crescenti» a cui, nel nuovo regime, si accederebbe dopo un certo numero di anni trascorsi in balia del padrone. Infatti, ove il lavoratore fosse licenziato e trovasse occupazione presso un’altra azienda, il suo “tirocinio” precedente verrebbe azzerato, ed egli dovrebbe nuovamente passare sotto le forche caudine di una moratoria dei diritti: un periodo che potrebbe dunque protrarsi per sempre, in ragione delle vicissitudini lavorative di ciascuno.
Insomma, quello che stanno costruendo è un percorso ad handicap, un gioco dell’oca truccato, dove ad ogni intoppo si torna al punto di partenza ed al traguardo non si arriva mai, dove la sola certezza è l’unilateralità del comando d’impresa.
Questo è il colossale “pacco” in gestazione.
Pensate: contratti dettati dal padrone, espulsione dei sindacati sgraditi (secondo il modello applicato da Marchionne negli stabilimenti Fiat) e, dulcis in fundo, libertà di licenziare secondo gusto e capriccio.
Se il Pd si beve anche questa sarà difficile immaginarne una resurrezione politica domani. Sembra averlo capito la Cgil, a cui ora spetta il compito di guidare la lotta con mano sicura. Perché non c’è emergenza più grave di quella che sta portando alla sopraffazione del mondo del lavoro. Abbattere il totem intorno a cui danzano Elsa Fornero e il suo governo è divenuto una priorià assoluta per il Paese e la democrazia.
Dino Greco
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