Confronto tra Michele De Palma e Luca Casarini. Dialogo o rottura?

Lettera aperta a Luca Canarini sei anni dopo Genova 2001

Vogliamo ricominciare a cercare insieme?

Michele De Palma

Caro Luca, ho deciso di scriverti questa lettera dopo la manifestazione che abbiamo vissuto insieme a Genova, sabato scorso (con altre decine di migliaia di persone). Gli anni che sono passati da quel luglio 2001 sono stati di incomunicabilità, di separazione progressiva, mentre tutto intorno cambiava. La mia lettera per te è il modo che ho scelto per provare a riaprire una discussione pubblica su quello che sta accadendo: mettendo a severa critica i nostri percorsi e provando a immaginare nuovi spazi.

Il movimento dei movimenti non è più nelle condizioni di scrivere l'ordine del giorno della politica, almeno nel nostro paese; e anzi, senza le lotte comunitarie e ambientali, e senza grandi momenti di mobilitazione - come quello di Vicenza, lo scorso inverno, o come il 20 ottobre - potremmo dirci con grande sincerità che la generazione politica nata nelle strade di Genova non è stata capace di rispondere alle domande di partecipazione e radicalità con cui aveva sfidato la zona rossa del potere. La reazione al movimento globale è stata violentissima sul piano repressivo. Non so cosa pensi tu, ma ho sentito come parte del mio stesso cammino i monaci e l'opposizione birmana che hanno messo in discussione uno dei regimi più autoritari del pianeta.

Oggi, dinnanzi agli interessi economici dell'Occidente, i diritti politici, civili e umani sono solo una petizione di principio da utilizzare in casi ben scelti per muovere guerra e sanzioni che si scaricano sui popoli. Punto e basta. Un clamoroso esempio è la Palestina di Yasser Arafat. Ricorderai quando insieme al movimento pacifista di mezzo mondo portammo solidarietà ad Arafat, mentre era assediato dai carri armati israeliani. A qualche anno dalla morte del Presidente, la società palestinese è divisa, chiusa tra muri e oscurantismo religioso, mentre le organizzazioni internazionali e gli Usa intentano processi senza il consenso delle popolazioni. Potremmo parlare della situazione in Kurdistan, della deriva autoritaria di alcuni paesi dell'est Europa o di altri che provano a diventare satelliti militari dello scudo spaziale Usa. Il neoliberismo ha sviluppato gli anticorpi al movimento globale, la continua destabilizzazione, il ritorno almeno all'apparenza del ruolo degli Stati, mentre in realtà continua a dettare legge il potere nelle mani delle multinazionali.

Di fronte a questo quadro, che ho ppena accennato, Luca, è vero o no che noi dobbiamo indagare la frammentazione tra le realtà politiche, sociali e culturali della sinistra? Chiedo: hanno ancora senso riedizioni posticce delle divisioni nate negli anni '70? Lo spazio pubblico della sinistra è in crisi, e nelle scuole come nei quartieri delle città cresce una destra estrema del "buon senso", della sicurezza. La nascita del Partito Democratico - che prova ad annichilire categorie come destra e sinistra - ha rotto il recinto della politica e costruisce una idea di società in cui la politica è ancella delle lobby economiche e delle religioni. La reazione non restaura quello che c'era, ma propone un ordine nuovo in cui le persone spariscono come protagonisti della storia. La verità è che noi siamo stati di pensiero debole e ci siamo fatti prendere dal just in time dei media. Qualche anno fa, quando eravamo alla marcia della dignità in Chiapas, ci dicemmo che avremmo tolto le tute bianche perché il mondo aveva mille colori e ragionammo su quello che Giacomo Marramao chiama "universalismo delle differenze".

Mentre scrivo, le donne sono in corteo qui a Roma, e noi non abbiamo mai pensato che la differenza di genere fosse centrale quanto la rivolta alle multinazionali. Non abbiamo mai colto la radicalità del movimento lgbtq e la forza straordinaria d'idea di società che portano nei nostri tempi neomedievali. In ultimo, Luca, penso che abbiamo perso troppo tempo a dividerci tra lavoristi e redditisti mentre la precarietà consuma diritti acquisiti e diritto al futuro.
Ora rischiamo di scivolare verso la solitudine degli anni prima di Genova, con l'aggravante dell'americanizzazione del rapporto tra politica e società. Caro Luca il 15 dicembre ci incontreremo alla manifestazione di Vicenza contro la base e ancora una volta dovremo garantirci la libertà di movimento, ma il giorno dopo dobbiamo, insieme a tutti quelli che vogliono, riprendere a discutere a partire dalle parole di Marco Revelli (nel libro "sinistra destra, l'identità smarrita"). Le ragioni della famigerata contrapposizione tra destra e sinistra sono ancora tutte lì, sul tappeto globale, per certi versi potenziate e ingigantite dall'unificazione dello spazio planetario. Quello che manca, drammaticamente, sembrano le soluzioni e i soggetti politici disposti a farsene carico. Vogliamo cercarli insieme?

Liberazione, 25/11/2007

Risposta alla lettara di De Palma. Possiamo cercare insieme?

Caro Michele, la verità è verità e la politica non può ignorarla

di Luca Casarini


Ho indugiato un po' di fronte allo schermo del computer prima di riuscire a rispondere alla tua lettera di domenica. Come si dice "non sapevo da che parte cominciare". Non per la quantità di tempo e di accadimenti che stratificano la nostra lontananza da dopo Genova. Non solo, almeno. Il vero problema, per me, è che senso dare ad uno scambio, una discussione, che come tu dici deve essere pubblica, cioè, aggiungo io, non può essere "falsa". Credo che lo spazio pubblico slegato dalla verità, possa essere definito come quello che produce, oggi, la politica ufficiale, quella dei partiti. Sarebbe troppo semplice dare la colpa alla deriva mediatica, all'americanizzazione come tu la chiami, dell'azione politica. Anzi, nella società digitale e simbolica questo non ha alcun senso. Il nodo invece è la mutazione del "pubblico" che la crisi della rappresentanza produce per poter giustificare sé stessa. E' appunto un pubblico divergente dalla verità. Potremo anche dire che è per questo, come diceva qualcuno, che la verità può essere solo rivoluzionaria. Perché costruisce attorno a sé uno spazio pubblico che non è quello della politica dei partiti, anzi, è la sua negazione. Allora, se vogliamo che questo scambio tra due che si conoscono da tempo, e che non si parlavano da tempo, possa forse avere una qualche utilità "pubblica", è meglio dirsi le cose come stanno, semplicemente. Ho voluto partire da questa premessa per affrontare subito una questione: io vedo il mondo esattamente al contrario di come lo vedi tu. E' sintomatico che tu scriva di "incapacità dei movimenti di rispondere alle domande di partecipazione e radicalità", mentre sfila a poca distanza dal tuo ufficio una manifestazione delle donne carica di partecipazione e radicalità. Mentre sto scrivendo io, scorrono le immagini della Francia, dall'Università alle banlieues, e tutto si può dire meno che sia una situazione pacificata. Nomini le lotte per la difesa dei beni comuni, contro la guerra, come fossero eccezioni che confermano l'assenza di movimenti, e invece io credo che quelle siano il movimento. Il mondo esplode, è pieno di contraddizioni, e il neoliberismo è costretto sempre più a divenire guerra per tentare di governarle.

Come sappiamo questo non significa che per i movimenti di cambiamento sia tutto facile, ma anche per il moderno capitalismo globale, che cerca il rapporto virtuoso tra produzione da espropriare e vita, la situazione non è eccellente. Nemmeno dove esso stesso ha assunto fino in fondo la contraddizione, facendo diventare "governo" e "stato tendente al socialismo" i vari Chavez, Lula, Morales. Nemmeno lì le contraddizioni globali, l'insopprimibile spinta alla liberazione che viene dal basso, e l'esigenza di sperimentare forme di governance, anche con le bandiere rosse, permette che tutto sia pacificato. Ora, mi sono chiesto, ma com'è che tu non vedi questo? Ti confesso che la tentazione di dire che sia per giustificare tutto quello che il tuo partito sta facendo, è stata forte. Le donne che hanno manifestato a Roma, ce l'avevano con il vostro governo, con il vostro pacchetto sicurezza, con i vostri ministri. E quelli che sono scesi in piazza con voi il 20 ottobre, dopo la debacle sul welfare e il vostro voto di fiducia, con chi dovrebbero prendersela? Ma è troppo facile pensare che la tua sia solo "miopia interessata". Secondo me ha a che fare con una pericolosa mutazione antropologica, di cui ti segnalo i rischi perché mi preoccupa, che porta i partiti a produrre soggettività che non è più in grado di leggere con gli occhi della verità/rivoluzione, e anche della speranza, ciò che ci circonda. Credo di poter trovare tracce di tutto questo nelle risposte, incredibili, che Lidia Menapace dava pochi giorni fa ad Alex Zanotelli sul manifesto, in alcuni scritti di Marco Revelli, persona che stimo ma che anch'esso, travolto dall'impossibilità di far combaciare spazio pubblico e verità nella politica ufficiale, reagisce attribuendo ai movimenti la "sconfitta". E comunque, mutazione o no, di fronte ad un mondo come questo, bisogna scegliere. Come si fa a scegliere? Ti ricordo il discorso di Marcos su ciò che ci portiamo nello zaino quando intraprendiamo una strada sconosciuta: la bussola. Potrai dirmi che di politica, quella vera, io non capisco niente, e ne sarei felice perché significherebbe che i miei anticorpi per fortuna funzionano, ma la bussola non ti diceva che chi votava la guerra in Afghanistan, quella bomba Nato che ieri ha trucidato 25 civili, l'ha sganciata pure lui? E questo, assumere questo, ti produce per forza due cose: o te ne vai, ti ritiri a pensare a cosa hai dentro e a che cosa vuoi dalla vita, o giustifichi e cominci a diventare qualcos'altro, qualcuno che vede il mondo più dall'alto di quel caccia che dalla strada dove lavoravano quei poveri operai afghani.

La bussola, al di là delle strategie, ci fa dire subito che la direzione presa da questo governo, e dalla cosidetta sinistra radicale, è disastrosa, inaccettabile. I Cpt, primo fra tutti quello di Bari, nella Puglia di Niki Vendola, le leggi razziali, le promozioni dei poliziotti di Genova, l'uso del reato di terrorismo perfino con gli ultras, la precarietà…

Dire che tanto sarebbe successo comunque, è ancora peggio. E' la vera antipolitica dei nostri tempi. Giustificarsi con lo spauracchio che sennò torna Berlusconi, non è nemmeno più possibile, ed era sbagliato anche prima.

Comunque tu mi chiedi se possiamo cercare insieme una strada. C'è solo un modo: trovarsi in luogo comune, il movimento. Per farlo bisogna ascoltarlo, mettersi a sua disposizione, esserne parte e subordinati allo stesso tempo. E quindi ti propongo di parlarci di verità. La base americana a Vicenza è un'operazione voluta da questo governo, il vostro. Non è un'eredità di nessuno. Dovete assumere fino in fondo questa responsabilità, dentro il vostro partito e questo devono fare tutti gli altri partiti della cosa rossa. E poi scegliere. Se Prodi vuole la base americana, calpestando i movimenti, dovete aprire la crisi. Togliere il vostro voto di sostegno al governo. Tutto il resto sono chiacchiere. E' così che avrebbe senso partecipare a Vicenza da parte vostra. Annunciando, prima di venire, che avete preso questa decisione. Non basta, Michele, che tu dica che sei d'accordo con i blocchi ai lavori: il problema è dentro il governo e in parlamento, e lo sai bene. Se sarete capaci di fare questa scelta, seguendo quello che vi chiedono i movimenti, allora penso che una speranza di incontrarci c'è. Sennò noi incontreremo i carabinieri, e non è una novità, e voi non incontrerete più nessuno.
Beninteso, lo dico con nessuna arroganza o superficiale massimalismo: ne sono veramente convinto. Come sono convinto che tutto può ancora succedere, e questo è vero sempre. Le differenze profonde, l'incomunicabilità e la separazione, non hanno mai lasciato spazio, per quanto mi riguarda, a nemicità ideologiche assolute. Che sono proprie più della casta dei "rappresentanti", ovunque essi si trovino e qualsiasi cosa vogliano rappresentare, che dei movimenti. I quali invece sono fatti di relazioni, dissensi, cambiamenti, discussioni, rotture e ricomposizioni. Ed eresie, rottura dell'ortodossia. Uno deve poter discutere, innanzitutto, perché è giusto farlo, è umano direi, al di là di ogni logica di giochi politici, tattiche, strategie. Difronte a tutti gli interrogativi e i dubbi con cui ci sommerge la vita, sarebbe assurdo non confrontarsi. A meno che uno non pensi di avere già tutte le risposte. E allora non chiede niente a nessuno, a cominciare da sé stesso. Anche questa è una mutazione antropologica, molto meno moderna dell'altra, ma sempre in agguato.

Un'ultima nota la devo mettere: qualcuno potrebbe pensare che questo scambio di lettere pubbliche riveli in realtà logiche da "rappresentanti", o leader o cose del genere. Forse c'è questo rischio, e bisogna evitarlo. Per cui caro Michele, quando avete deciso, comunicatelo a tutti, in primis a quelli di Vicenza. Io lo verrò a sapere lo stesso.

Liberazione, 30/11/2007

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