La morte di Stafano Cucchi è violenza di Stato

La morte di Stefano Cucchi è un fatto drammatico ma non insolito, è brutale e frequente, è gravissimo e accadrà ancora.

L’assassinio di Stefano Cucchi è una violenza di Stato!

E’ il sintomo duraturo di una forma di Stato che pratica la cultura della discriminazione e della violenza come forme di normalizzazione.

La separazione e l’isolamento di ogni comportamento giudicato “anomalo”, la repressione come pratica del consenso e manifestazione di efficienza, la violenza come strumento di punizione e segno di forza bruta sono i parametri con i quali lo Stato si impone.

Questo è uno Stato che si fonda sull’introduzione di nuovi reati allo scopo di discriminare (clandestinità) e di forme gerarchiche di giustizia (lodo Alfano).

Questo è uno Stato che si fonda sulla repressione nella società come strumento di manutenzione della normalità contro le devianze spesso artificiose e amplificate e sulla violenza tra le mura carcerarie e nelle sedi delle forze dell’ordine per punire e ricondurre alla normalità soggetti ribelli e/o anomali.

Stefano Cucchi è l’ultimo assassinato di questi anni, dopo Marcello Lonzi, Federico Aldovrandi, Aldo Bianzino, Stefano Brunetti, Mohammed, Francesco Mastrogiovanni e molti altri che non sono morti ma non hanno avuto la possibilità di denunciare i soprusi subiti a causa di una giustizia che non garantisce a tutti le stesse possibilità.

Quale rapporto costruisce uno Stato così fatto con i suoi cittadini?  Nessuno!   Così si allontana, fino a scomparire. 

Garantendo formalmente l’ordine, al solo scopo di tranquillizzare la gente normale, apre vuoti incolmabili nella sostanza del diritto, legittimando abusi e favorendo l’illegalità diffusa.

Alla repressione e alla violenza dello Stato, alla illegalità della criminalità organizzata si può rispondere con la costruzione di “comunità ribelli” disposte alla critica delle forme della politica, disposte alla disobbedienza civile e non violenta.

Vorremmo provarci usando gli strumenti della denuncia e della critica: denunciando il prevalere di una giustizia discriminante e di classe.  Rilevando il fallimento della democrazia rappresentativa e la crisi irreversibile delle forme attuali della politica.

Vorremmo lavorare per la ri-costruzione di forme diffuse di democrazia diretta e partecipata per favorire l’autodeterminazione e l’autogestione dei bisogni e, attraverso il conflitto, il loro soddisfacimento.

 

Marco Sansoè

Laboratorio sociale “La città di sotto"

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LA MORTE DI STEFANO E LA CONDIZIONE GIOVANILE

 

La morte di Stefano Cucchi non è solo un delitto di Stato ma ci rivela l’incapacità di questo Stato di affrontare i problemi relativi alla condizione giovale.

Incapace di capire e agire sui problemi, inscrive i comportamenti giovanili nel registro delle devianze e introduce nuove categorie (come il bullismo) per poter affrontare tali fenomeni soli in termini repressivi.

Il controllo del territorio messo in atto da Questori fanatici, più che zelanti, si trasforma ogni sera in una pratica discriminatoria contro i comportamenti giovanili che rassicura la “gente normale” ma non interviene sulle cause delle nuove violenze e del diffuso consumo di sostanze; aggrava le tensioni e induce molti comportamenti e divenire stabili e poi cronici, vissuti nell’isolamento disperato, distruttivo e autodistruttivo.

La criminalizzazione dei comportamenti è l’alibi che le Istituzioni si procurano per non intervenire sulle condizioni, sempre meno facili, dei giovani, costretti ad anni di lavoro precario e lunghi periodi di disoccupazione nell’incertezza per il futuro.

Queste Istituzioni sono lo specchio di una società nella quale il trionfo dell’individualismo proprietario ha creato solitudine, isolamento e discriminazioni.  La tranquillità dei “benpensanti normalizzati” è pagata da un mondo giovanile inquieto e disperato, alla ricerca di una via d’uscita immediata che spesso è solo effimero divertimento e sballo per uscire da una condizione disperante.

Non c’è soluzione fino a quando Istituzioni e apparati dello Stato, alla ricerca di una immagine di efficienza securitaria, svolgeranno una esclusiva azione repressiva (che spesso si nasconde dietro l’ipocrita definizione di “prevenzione”).

L’assassinio di Stefano ci dice che lo Stato è colpevole due volte e ci obbliga a reagire con la denuncia forte e irriducibile, ma anche con la proposta.

Ci vuole un progetto per una migliore qualità della vita che abbia come soggetti i giovani, anche se non votano anche se sono minoranza.

Cultura, scuola, nuovo mercato del lavoro e nuovi lavori: cura del beni culturali e ambientali, cura della persona, energie pulite e alternative; sarebbero le scelte prioritarie se la politica uscisse dalla semplice ragioneria, dal calcolo del beneficio d’impresa e dalla vocazione moralista e pettegola.

Ci vuole un progetto di società che uscendo dalla logica del profitto si prenda cura delle persone, della loro condizione, del loro futuro.  Se non ora quando?

 

Marco Sansoè 

 

 

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