Ha vinto Obama, ma l'America è davvero così democratica?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

04 Novembre 2008, Barack Houssein Obama diventa il 44° presidente degli USA, ma in questa giornata che tutti si affrettano a definire come la fine totale della segregazione razziale nei confronti delle persone di colore, esplode la rabbia e la convinzione che il razzismo abbia solo cambiato faccia e obiettivo, in nessuno degli Stati, dove unite alle elezioni presidenziali, venivano presentate le proposte di legge a favore dei diritti delle persone GLBT (gay, lesbiche, bisex e trangender)  e nonostante il supporto di celebrità hollywoodiane, della musica e della politica, nessuno Stato ha approvato alcuna di queste proposte.

Naturalmente ci si chiede fino a dove la crisi economica e la disgraziatissima gestione Bush abbiano cambiato le profonde radici razziste di un popolo che da quando è nato è continuamente in guerra con qualcuno e ci si chiede se è giusto affidare a tutti le questioni che riguardano una minoranza.

Concordiamo sul fatto che Obama sia la scelta migliore che gli americani potessero fare, ma quando in uno stato, la California, i diritti degli animali superano quelli degli esseri umani…beh! Scusateci, ma c’è qualcosa di sbagliato, di assurdo, di incomprensibile.

Quel che ci consola e che consola, almeno un poco, i gay e le lesbiche americani sono le parole che Obama ha detto nel suo discorso dopo la vittoria: «Sono contrario ai matrimoni gay ma la nostra Costituzione di solito estende la fascia dei diritti, non la restringe.»

Allora non ci resta che aspettare, dopo la fine del razzismo contro le persone di colore (sempre ammesso che sia vero) prima o poi finirà anche quello contro le persone GLBT d’altronde anche qui da noi la musica è la stessa, vedi Binetti e i suoi sproloqui su omosessualità e pedofilia.

Quello che nessuno mai ricorda è che non c’è nessuna differenza razza, colore, credo politico e religioso, identità sessuale o identità di genere siamo solo e semplicemente uomini e donne e abbiamo tutti lo stesso cuore che gioisce o si dispera a seconda di come ci sentiamo considerati e tutto ciò che noi vorremmo è di essere trattati da esseri umani, non solo obbligati agli stessi doveri, ma parte integrale degli stessi diritti.

 

 

 

Adriano Guala

Responsabile Diritti

Segreteria PRC – SE Biella

Ritratto di Aldissimo

Aldilà di qualche presunto miglioramento per i diritti civili GLBT e per un impostazione più umana della sanità che Barack Obama ha detto di avere in mente non ci sono osstanziali differenze rispetto all' amministrazione bush. Pena di Morte rimane Esercito occupante nell' afghnanistan Rimane Le Basi NATO Usa in italia rimangono Purtroppo non è certo che una visione del mondo comunista- www.cpusa.org Partito Comunista degli stati uniti.
Ritratto di roberto

Il discorso della vittoria di Barack Obama: il cambiamento è arrivato Ciao Chicago! Se ancora c’è qualcuno che dubita che l’America non sia un luogo nel quale nulla è impossibile, che ancora si chiede se il sogno dei nostri padri fondatori è tuttora vivo in questa nostra epoca, che ancora mette in dubbio il potere della nostra democrazia, questa notte ha avuto le risposte che cercava. La risposta sono le code che si sono allungate fuori dalle scuole e dalle chiese con un afflusso che la nazione non aveva mai visto finora. La risposta sono le persone, molte delle quali votavano per la prima volta, che hanno atteso anche tre o quattro ore in fila perché credevano che questa volta le cose dovessero andare diversamente, e che la loro voce potesse fare la differenza. La risposta è la voce di giovani e vecchi, ricchi e poveri, Democratici e Repubblicani, neri, bianchi, ispanici, asiatici, nativi d’America, gay, eterosessuali, disabili e non disabili: tutti americani che hanno inviato al mondo il messaggio che noi non siamo mai stati un insieme di Stati Rossi e Stati Blu. Noi siamo e sempre saremo gli Stati Uniti d’America. La risposta è ciò che ha spinto a farsi avanti coloro ai quali per così tanto tempo è stato detto da così tante persone di essere cinici, impauriti, dubbiosi di quello che potevano ottenere mettendo di persona mano alla Storia, per piegarla verso la speranza di un giorno migliore. È occorso molto tempo, ma stanotte, finalmente, in seguito a ciò che abbiamo fatto oggi, con questa elezione, in questo momento preciso e risolutivo, il cambiamento è arrivato in America. Poco fa, questa sera ho ricevuto una telefonata estremamente cortese dal Senatore McCain. Il Senatore McCain ha combattuto a lungo e con forza in questa campagna, e ha combattuto ancora più a lungo e con maggiore forza per il Paese che ama. Ha affrontato sacrifici per l’America che la maggior parte di noi nemmeno immagina e noi oggi stiamo molto meglio anche grazie al servizio reso da questo leader coraggioso e altruista. Mi congratulo con lui e con la governatrice Palin per tutto quello che hanno ottenuto, e non vedo l’ora di lavorare con loro per rinnovare nei prossimi mesi la promessa di questa nazione. Voglio qui ringraziare il mio partner in questa avventura, un uomo che ha fatto campagna elettorale col cuore, parlando per le donne e gli uomini con i quali è cresciuto nelle strade di Scranton … … con i quali ha viaggiato da pendolare ogni giorno per tornare a casa propria nel Delaware, il vice-presidente eletto degli Stati Uniti Joe Biden. Io non sarei qui questa sera senza il sostegno continuo della mia migliore amica degli ultimi sedici anni… … la roccia della mia famiglia, l’amore della mia vita, la prossima first lady della nazione… … Michelle Obama. Sasha and Malia… … vi amo entrambe moltissimo e … vi siete guadagnate il cucciolo … che verrà con noi alla Casa Bianca… E mentre siamo qui e lei non è più con noi, so che mia nonna ci sta guardando, insieme a tutta la famiglia che ha fatto di me ciò che io sono. In questa sera così unica mi mancano tutti, e so che il mio debito verso di loro non è neppure quantificabile. A mia sorella Maya, mia sorella Alma, tutti i miei fratelli e le mie sorelle, voglio dire grazie per il sostegno che mi avete dato. Vi sono veramente molto grato. Al manager della mia campagna David Plouffe… … il protagonista senza volto di questa campagna che ha messo insieme la migliore campagna elettorale - credo - nella Storia degli Stati Uniti d’America. al mio capo stratega David Axelrod… … che è stato mio partner in ogni fase di questo lungo cammino… proprio il miglior team di una campagna elettorale mai messo insieme nella storia della politica… … voi avete reso possibile tutto ciò, e io vi sarò eternamente grato per i sacrifici che avete affrontato per riuscirci. Ma più di ogni altra cosa, non dimenticherò mai a chi appartiene veramente questa vittoria: appartiene a voi. Io non sono mai stato il candidato più ideale per questa carica. Non abbiamo mosso i primi passi nella campagna elettorale con finanziamenti o appoggi ufficiali. La nostra campagna non è stata pianificata nelle grandi sale di Washington, ma nei cortili di Des Moines, nei tinelli di Concord, sotto i portici di Charleston. È stata realizzata da uomini e donne che lavorano, che hanno attinto ai loro scarsi risparmi messi da parte per offrire cinque dollari, dieci dollari, venti dollari alla causa. Il movimento ha preso piede e si è rafforzato grazie ai giovani, che hanno rigettato il mito dell’apatia della loro generazione… … che hanno lasciato le loro case e le loro famiglie per un’occupazione che offriva uno stipendio modesto e sicuramente poche ore di sonno; ai non più tanto giovani che hanno sfidato il freddo pungente e il caldo più soffocante per bussare alle porte di perfetti sconosciuti; ai milioni di americani che si sono adoperati come volontari, si sono organizzati, e hanno dimostrato che a distanza di oltre due secoli, un governo del popolo, fatto dal popolo e per il popolo non è sparito dalla faccia di questa Terra. Questa è la vostra vittoria… So che quello che avete fatto non è soltanto vincere un’elezione e so che non l’avete fatto per me. Lo avete fatto perché avete compreso l’enormità del compito che ci sta di fronte. Perché anche se questa sera festeggiamo, sappiamo che le sfide che il futuro ci presenterà sono le più ardue della nostra vita: due guerre, un pianeta in pericolo, la peggiore crisi finanziaria da un secolo a questa parte. Anche se questa sera siamo qui a festeggiare, sappiamo che ci sono in questo stesso momento degli americani coraggiosi che si stanno svegliando nei deserti iracheni, nelle montagne dell’Afghanistan dove rischiano la loro vita per noi. Ci sono madri e padri che resteranno svegli dopo che i loro figli si saranno addormentati e si arrovelleranno chiedendosi se ce la faranno a pagare il mutuo o il conto del medico o a mettere da parte abbastanza soldi per pagare il college. Occorre trovare nuova energia, creare nuovi posti di lavoro, costruire nuove scuole. Occorre far fronte a nuove sfide e rimettere insieme le alleanze. La strada che ci si apre di fronte sarà lunga. La salita sarà erta. Forse non ci riusciremo in un anno e nemmeno in un solo mandato, ma America! Io non ho mai nutrito maggiore speranza di quanta ne nutro questa notte qui insieme a voi. Io vi prometto che noi come popolo ci riusciremo! Yes we can! Yes we can! Yes we can! Ci saranno battute d’arresto e false partenze. Ci saranno molti che non saranno d’accordo con ogni decisione o ogni politica che varerò da Presidente e già sappiamo che il governo non può risolvere ogni problema. Ma io sarò sempre onesto con voi in relazione alle sfide che dovremo affrontare. Vi darò ascolto, specialmente quando saremo in disaccordo. E soprattutto, vi chiedo di unirvi nell’opera di ricostruzione della nazione nell’unico modo con il quale lo si è fatto in America per duecentoventi anni, ovvero mattone dopo mattone, un pezzo alla volta, una mano callosa nella mano callosa altrui. Ciò che ha avuto inizio ventuno mesi fa, nei rigori del pieno inverno, non deve finire in questa notte autunnale. La vittoria in sé non è il cambiamento che volevamo, ma è soltanto l’opportunità per noi di procedere al cambiamento. E questo non potrà accadere se faremo ritorno allo stesso modus operandi. Il cambiamento non può aver luogo senza di voi. Troviamo e mettiamo insieme dunque un nuovo spirito di patriottismo, di servizio e di responsabilità, nel quale ciascuno di noi decida di darci dentro, di lavorare sodo e di badare non soltanto al benessere individuale, ma a quello altrui. Ricordiamoci che se mai questa crisi finanziaria ci insegna qualcosa, è che non possiamo avere una Wall Street prospera mentre Main Street soffre: in questo Paese noi ci eleveremo o precipiteremo come un’unica nazione, come un unico popolo. Resistiamo dunque alla tentazione di ricadere nelle stesse posizioni di parte, nella stessa meschineria, nella stessa immaturità che per così tanto tempo hanno avvelenato la nostra politica. Ricordiamoci che c’è stato un uomo proveniente da questo Stato che ha portato per la prima volta lo striscione del partito Repubblicano alla Casa Bianca, un partito fondato sui valori della fiducia in sé, della libertà individuale, dell’unità nazionale. Sono questi i valori che abbiamo in comune e mentre il partito Democratico si è aggiudicato una grande vittoria questa notte, noi dobbiamo essere umili e determinati per far cicatrizzare le ferite che hanno finora impedito alla nostra nazione di fare passi avanti. Come Lincoln disse a una nazione ancora più divisa della nostra, “Noi non siamo nemici, ma amici, e anche se le passioni possono averlo allentato non dobbiamo permettere che il nostro legame affettivo si spezzi”. E a quegli americani il cui supporto devo ancora conquistarmi, dico: forse non ho ottenuto il vostro voto, ma sento le vostri voci, ho bisogno del vostro aiuto e sarò anche il vostro presidente. A coloro che ci guardano questa sera da lontano, da oltre i nostri litorali, dai parlamenti e dai palazzi, a coloro che in vari angoli dimenticati della Terra si sono ritrovati in ascolto accanto alle radio, dico: le nostre storie sono diverse, ma il nostro destino è comune e una nuova alba per la leadership americana è ormai a portata di mano. A coloro che invece vorrebbero distruggere questo mondo dico: vi sconfiggeremo. A coloro che cercano pace e tranquillità dico: vi aiuteremo. E a coloro che si chiedono se la lanterna americana è ancora accesa dico: questa sera noi abbiamo dimostrato ancora una volta che la vera forza della nostra nazione non nasce dalla potenza delle nostre armi o dal cumulo delle nostre ricchezze, bensì dalla vitalità duratura dei nostri ideali: democrazia, libertà, opportunità e tenace speranza. Perché questo è il vero spirito dell’America: l’America può cambiare. La nostra unione può essere realizzata. E quello che abbiamo già conseguito deve darci la speranza di ciò che possiamo e dobbiamo conseguire in futuro. In queste elezioni si sono viste molte novità e molte storie che saranno raccontate per le generazioni a venire. Ma una è nella mia mente più presente di altre, quella di una signora che ha votato ad Atlanta. Al pari di molti altri milioni di elettori anche lei è stata in fila per far sì che la sua voce fosse ascoltata in questa elezione, ma c’è qualcosa che la contraddistingue dagli altri: Ann Nixon Cooper ha 106 anni. È nata a una sola generazione di distanza dalla fine della schiavitù, in un’epoca in cui non c’erano automobili per le strade, né aerei nei cieli. A quei tempi le persone come lei non potevano votare per due ragioni fondamentali, perché è una donna e per il colore della sua pelle. Questa sera io ripenso a tutto quello che lei deve aver visto nel corso della sua vita in questo secolo in America, alle sofferenze e alla speranza, alle battaglie e al progresso, a quando ci è stato detto che non potevamo votare e alle persone che invece ribadivano questo credo americano: Yes, we can. Nell’epoca in cui le voci delle donne erano messe a tacere e le loro speranze soffocate, questa donna le ha viste alzarsi in piedi, alzare la voce e dirigersi verso le urne. Yes, we can. Quando c’era disperazione nel Dust Bowl (la zona centro meridionale degli Stati Uniti divenuta desertica a causa delle frequenti tempeste di vento degli anni Trenta, NdT) e depressione nei campi, lei ha visto una nazione superare le proprie paure con un New Deal, nuovi posti di lavoro, un nuovo senso di ideali condivisi. Yes, we can. Yes we can. Quando le bombe sono cadute a Pearl Harbor, e la tirannia ha minacciato il mondo, lei era lì a testimoniare in che modo una generazione seppe elevarsi e salvare la democrazia. Yes, we can. Yes we can. Era lì quando c’erano gli autobus di Montgomery, gli idranti a Birmingham, un ponte a Selma e un predicatore di Atlanta che diceva alla popolazione : “Noi supereremo tutto ciò”. Yes, we can. Yes we can. Un uomo ha messo piede sulla Luna, un muro è caduto a Berlino, il mondo intero si è collegato grazie alla scienza e alla nostra inventiva. E quest’anno, per queste elezioni, lei ha puntato il dito contro uno schermo e ha votato, perché dopo 106 anni in America, passati in tempi migliori e in ore più cupe, lei sa che l’America può cambiare. Yes, we can. Yes we can. America, America: siamo arrivati così lontano. Abbiamo visto così tante cose. Ma c’è molto ancora da fare. Quindi questa sera chiediamoci: se i miei figli avranno la fortuna di vivere fino al prossimo secolo, se le mie figlie dovessero vivere tanto a lungo quanto Ann Nixon Cooper, a quali cambiamenti assisteranno? Quali progressi avremo fatto per allora? Oggi abbiamo l’opportunità di rispondere a queste domande. Questa è la nostra ora. Questa è la nostra epoca: dobbiamo rimettere tutti al lavoro, spalancare le porte delle opportunità per i nostri figli, ridare benessere e promuovere la causa della pace, reclamare il Sogno Americano e riaffermare quella verità fondamentale: siamo molti ma siamo un solo popolo. Viviamo, speriamo, e quando siamo assaliti dal cinismo, dal dubbio e da chi ci dice che non potremo riuscirci, noi risponderemo con quella convinzioni senza tempo e immutabile che riassume lo spirito del nostro popolo: Yes, We Can. Grazie. Dio vi benedica e possa benedire gli Stati Uniti d’America.
Ritratto di Aldissimo

Roberto sei più prolisso del compagno Mao... comunque alcuni spunti li condivido
Ritratto di Aldissimo

Fuori argomento: ma è giusto dare Onore a Miriam Makeba, figlia del Sudafria e campionessa indomita nella lotta contro l' apartheid e l' odiosa discriminazione razziale: Grazie Miriam, le tue canzoni resteranno sempre con noi e con tutti coloro che si battono per la fratellanza universale.
Ritratto di Anonimo

mi permetto di intromettermi caricandovi una riflessione presa dal sito della militant. luca Ha vinto Obama, come è noto. C’è chi ha ironizzato sulla sua abbronzatura, con quelle battute che fanno la fortuna dei film di Ezio Greggio, chi ha affermato che questa vittoria avrebbe fatto la felicità di Al Qaeda, scansando le critiche in modo stucchevole (di fatto Gasparri ha detto: “posso dire quello che mi pare di politica internazionale, tanto non conto un cazzo”), chi ha fatto feste in piazza (a Roma, non a Chicago), neanche le avesse vinte lui le elezioni. Sinceramente, chi ci fa più schifo è proprio quest’ultimo, il buon Veltroni, sempre pronto ad accogliere in modo acritica tutti i miti della cultura progressista Usa (JFK, Martin Luther King, Manhattan, il basket), sempre pronto a ignorare le biografie di quegli americani che lottavano per esprimere il conflitto e non per il pranzo del Giorno del Ringraziamento. E’ Veltroni che ci fa rabbrividire, quando afferma candidamente che “io credo all’insostituibilità dell’America. Il mondo non può accettare l’isolamento degli USA, non può rinunciare alla sua leadership morale” (Repubblica, 6 novembre, ripreso anche dal blog “Giornalismo partecipativo”, di Gennaro Carotenuto). Solo per la cronaca, ricordiamo che il Pd viene (anche) dalla storia del Partito Comunista Italiano, per quanto rinnegata e offesa in tutti i modi. Ma torniamo a Obama: ci risulta francamente difficile accodarci agli entusiasti della prima e dell’ultima ora. Crediamo, infatti, che il presidente degli Stati Uniti – chiunque esso sia – rappresenti una delle figura simboliche dietro alle quali la democrazia liberale nasconde le sue magagne e prosegue nella sua finzione. Finché lo pensiamo solo noi, si dirà, poco male. Ma non tutti i “progressisti”, negli Usa, sono entusiasti dell’opzione-Obama. Qui sotto riportiamo il link a un’intervista che addirittura il Corriere della Sera fece, sul finire dell’estate, a Kevin Alexander Gray, uno dei fautori della Black Politics, convinto che tra Obama e McCain non ci fossero grandi differenze. Tra le altre, ricordiamo questa definizione: “per noi afroamericani Obama è come il poliziotto nero che sbarca nel quartiere: più cattivo degli altri” L' intervista L' intellettuale afro-americano Gray «Con Barack è finita la politica nera È soltanto un bianco travestito» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK - «Obama non è un agente di cambiamento; tra lui e McCain non c' è grande differenza». Kevin Alexander Gray, il 51enne scrittore, giornalista ed attivista afro-americano autore di «The Decline of Black Politics: From Malcolm X to Barack Obama», appena uscito in America, è a Denver insieme al reverendo Jesse Jackson, storico leader nero, di cui nel 1988 gestì la campagna presidenziale in Sud Carolina. «Aver snobbato così Jesse, non invitandolo a parlare alla Convention, è stato uno schiaffo in faccia», spiega Gray. «Obama ha voluto strizzare l' occhio all' establishment bianco che detesta Jackson e Al Sharpton, in quanto "neri arrabbiati". La sua ascesa segna la morte della storica black politics, provocatoria e di sinistra. Per quanto mi riguarda», aggiunge, «preferirei essere fuori dalla zona verde a Bagdad che alla convention di Denver». Che cosa rimprovera a Barack Obama? «Di essere un finto progressista, proprio come Joe Biden, che ha appoggiato la guerra di Bush. Io, cresciuto con l' immagine di Malcolm X che incontra Fidel Castro all' Hotel Theresa di Harlem, inorridisco quando Obama corre a Miami per dire ai cubani "manterrò l' embargo"». Secondo i repubblicani Obama è perfino troppo liberal. «Le sembra liberal andare davanti alla lobby ebraica Aipac per affermare "sono un sionista"? O minacciare di ridurre in cenere l' Iran? Le sembra di sinistra mortificare di fronte al mondo intero i padri afro-americani, presunti "assenteisti", quando uno studio del Boston College sostiene che, al contrario, passano più tempo coi loro figli di quelli bianchi? O, dal pulpito di una chiesa nera, chiamare i neri "boy", ragazzo, usando un termine razzista usato finora solo dai bianchi?» Non crede che Obama incarni un' America dove bianco e nero sono ormai concetti superati? «L' idea di un' America post-razziale promossa dai media è ridicola. L' espansione della black middle class è cosmetica e anzi il divario di ricchezza tra neri e bianchi è peggiorato rispetto ai tempi di Martin Luther King». Obama si ripromette di correggerlo. «Come? Al Senato il suo curriculum è stato mediocre, pavido e inefficace. La sua campagna politica è disegnata e diretta da potenti maschi bianchi, guru come Axelrod e David Plouffe. Mi creda: per noi afroamericani Obama è come il poliziotto nero che sbarca nel quartiere: più cattivo degli altri». Secondo tutti i sondaggi negli Usa vince chi conquista il centro. «L' America voterebbe chiunque rappresenti davvero i suoi interessi. Se Obama fosse più populista e coraggioso sarebbe ben più avanti nei sondaggi». Cosa gli consiglia per risalire? «Scendere tra i comuni mortali ed essere meno elitario. La politica dev' essere personale: non puoi conquistare i cuori della gente con una campagna di marketing tutta hollywoodiana e televisiva. La bolla Obama è esplosa perché dentro c' era solo aria». Ha fatto male a circondarsi di star? «La sua intera candidatura è stata costruita dalle star e impacchettata dai mass media, da Scarlett Johansson a George Clooney. Per non parlare poi di Oprah Winfrey, che ha osato accreditare la sua millantata parentela con il "sogno" di Martin Luther King: un' operazione fraudolenta». Cosa pensa della benedizione conferitagli dal clan Kennedy? «Camelot non è storia ma mito, come quello di Obama. Non dimentichiamoci che Robert Kennedy permise all' FBI di J. Edgar Hoover di spiare Martin Luther King e JFK non era certo un amico dei neri». Le piace la moglie Michelle Obama? «E' una donna brillante anche se nell' ospedale di Chicago dove era una dirigente fu assunta proprio per buttare fuori i pazienti poveri che non potevano pagare: molti neri». Però la comunità afro-americana si è schierata tutta con loro. «Certo: senza i neri non sarebbe mai stato nominato, non se lo dimentichi. Obama ha usato la carta razziale contro Bill Clinton nel sud, per vincere il voto degli afro-americani e l' ex presidente non gliel' ha perdonata. In realtà i due sono molto simili e quando Obama parla sembra che stia recitando interi brani dal libro "Primary Colors"». Lei ha deciso per chi voterà? «Sono contento che in gara ci siano Cynthia McKinney e Ralph Nader. Ma come tanti intellettuali della Black Academia, anche io avrei voluto vedere in corsa un candidato come Randall Robinson».