Operai inglesi contro operai italiani...e adesso come la mettiamo?
«Attenzione, è guerra tra proletari ma gli operai inglesi non sono leghisti»
Intervista a Marco Revelli di Tonino Bucci
British jobs for british workers. Con questo slogan -
lavori britannici per lavoratori britannici - mezza dozzina di
raffinerie sono scese in sciopero. Lo hanno in solidarietà con la
Lindsey, uno stabilimento sulla costa orientale controllato da una
società francese, i cui operai sono entrati in rivolta non appena
saputo dell'assunzione di un gruppo di italiani all'indomani di una
gara d'appalto. La proverbiale stampa scandalistica inglese l'ha subito
messa sul piano della xenofobia, italiani contro inglesi. Però
l'effetto immediato della protesta, sostenuta anche dai sindacati
locali, è quello. Gli operai inglesi si lamentano per la concorrenza
"sleale" dei lavoratori italiani, disponibili ad accettare un posto di
lavoro a paghe più basse di quelle normalmente percepite in Gran
Bretagna. Le maestranze delle raffinerie dicono che gli italiani gli
rubano il posto, che "li hanno presi perché sono pagati meno, ma non
sanno lavorare". Insomma, non si può negare che gli operai inglesi
siano vittime di un meccanismo economico che porta al ribasso delle
condizioni lavorative, epperò qualche segnale inquietante c'è - come
sostiene Marco Revelli - in questo intreccio tra voglia di
protezionismo e rischio di una resipiscenza della guerra tra popoli e
razze.
Nazionalismo e competizione tra lavoratori di diversa
nazionalità. La peggiore via di uscita alla crisi che si possa pensare,
no?
Mi sembra un segnale inquietante di come la crisi morde sulla
società. Non va sottovalutato. Andremo incontro a effetti mostruosi se
non ci saranno culture politiche capaci di filtrare gli effetti
regressivi della crisi economica e di governarne l'impatto sociale.
Sarà la guerra tra poveri se non si costruiscono anticorpi nella
cultura politica. C'è un istinto primordiale alla chiusura
nazionalistica che si diffonde in tutti i paesi. La crisi enfatizza
tutte le fratture nel momento in cui scatta il meccanismo della
sopravvivenza. E' la mors tua, vita mea. Non c'è scampo: o hai una
cultura politica capace di fare da filtro oppure la risposta è quella
che dà Maroni.
Il leghismo avrà pure aspetti folcloristici,
però è anche, alla sua maniera, una risposta alla crisi attuale: guerra
agli immigrati ed esaltazione del suolo delle piccole patrie. Sarà il
modello per il futuro come dimostra la vicenda inglese?
L'istinto
della Lega a chiudere i confini nei confronti dei migranti qui ci
ritorna sulla testa. La stessa cosa succede allo specchio nei confronti
dei lavoratori italiani in Gran Bretagna. E domani potrebbe scattare un
analogo meccanismo di rifiuto delle merci italiane da parte dei
tedeschi. I nostri politici che speculano su questi istinti belluini
giocano col fuoco.
L'unica differenza è che il leghismo
italiano soffia sull'odio per gli immigrati che fanno i lavori in basso
nella gerarchia sociale, mentre in Gran Bretagna la contesa riguarda
lavoratori qualificati. Non è così?
Questo dipende dal fatto che
l'Inghilterra nella divisione internazionale del lavoro si colloca a un
livello più alto. La competizione si gioca perciò all'interno della
gerarchia sociale anche al livello dei tecnici. Ma non c'è una
differenza qualitativa. E' che la composizione sociale italiana è
appiattita sui lavori a bassa qualificazione, quindi la guerra si fa
contro i maghrebini, gli africani e i rumeni. Alla radice ci sta
l'alternativa tra il potenziale di imbarbarimento che ha la crisi e le
culture politiche che possono costruire anticorpi. Il problema è che
queste culture politiche sono collassate. Anche all'interno del mondo
del lavoro fa presa la seduzione del leghismo.
Appunto. Dietro
la protesta "antitaliana" degli operai britannici ci sono anche i
sindacati locali. Avranno anche le loro ragioni, ci sono posti di
lavoro a rischio, però così facendo non rischiano di incrementare la
guerra tra "proletari"?
Probabilmente in questo meccanismo è
coinvolta anche una parte del mondo sindacale. Il fenomeno è
determinato anche dalla diversa collocazione dell'Inghilterra nella
divisione internazionale del lavoro. La Gran Bretagna ha sperimentato i
guasti dell'ultra-liberismo. Conserva nella memoria la follia
thachteriana prima e blairiana. L'apertura delle frontiere del mercato
è servita come clava per massacrare la parte organizzata del mondo del
lavoro e delle Unions. L'Inghilterra si è affidata al neoliberismo in
forma più radicale rispetto all'Italia. La vicenda di questi giorni mi
sembra un colpo di rimbalzo inquietante e, direi, anche comprensibile
in questo quadro.
In fondo parliamo di una costante classica
nella storia del movimento operaio. Si potrebbe risalire allo stesso
Marx che nel cosiddetto "Discorso sul libero scambio" stigmatizzava il
protezionismo come forma di conservatorismo. Insomma, cosa deve fare un
sindacato, tutelare i lavoratori dalla concorrenza "sleale" degli
stranieri oppure abbracciare la filosofia della libera circolazione di
merci ed esseri umani?
Se non hai una forte cultura
dell'internazionalismo proletario, una cultura della solidarietà di
classe tra lavoratori al di là dei confini, allora la reazione
istintiva è quella là, la guerra tra poveri. Poi questa guerra potrà
esprimersi ai livelli più alti nei paesi a maggior contenuto
tecnologico e di maggior qualificazione della forza lavoro come è
l'Inghilterra. Qui da noi probabilmente non avremmo un moto di rivolta
contro gli ingegneri inglesi che venissero a gestire degli impianti
sofisticati in Italia per la semplice ragione che di impianti
sofisticati ne abbiamo pochi. Quelli che vengono a costruire impianti
mediamenti sofisticati in Italia lo fanno perché i salari dei nostri
ingegneri sono più bassi di quelli dei paesi centrali. La ragione è
solo questa. quando la Motorola ha aperto i suoi stabilimenti a Torino
ha assunto un centinaio di ingegneri italiani. Perché costavano di meno
di quelli inglesi, tedeschi, giapponesi o americani. Poi ha deciso di
chiudere e li ha licenziati. Se oggi in Inghilterra si ricorre al
subappalto di imprese ad alta qualificazione italiane è perché qui i
salari anche di operai altamente specializzati sono stipendi da fame. I
nostri lavoratori che vanno là vanno in dumping. Il meccanismo
economico è quello. E' un segnale che ci dimostra quanto sfasciato sia
il nostro mondo del lavoro, visto che la nostra manodopera, persino
quella altamente qualificata, risulta conveniente per gli altri paesi
europei.
Non a caso i lavoratori inglesi protestano perché gli
italiani accettano di fare un lavoro qualificato a paghe più basse e
così facendo spingono al peggioramento delle condizioni lavorative e
della forza contrattuale di tutti gli altri. Sbagliano?
Non hanno
tutti i torti. E comunque hanno molte più ragioni di quanto non ne
abbiano i padani nell'alzare barricate contro i maghrebini che vengono
a fare lavori che gli italiani non farebbero.
Insomma questi
operai inglesi non sono come li dipinge il giornale "Libero" che incita
a imparare da loro come si difendono i posti di lavoro...
Il
meccanismo è lo stesso di Maroni ma in condizioni molto diverse. I
nostri lavoratori in Inghilterra sono lavoratori sottopagati che si
collocano allo stesso livello di qualificazione dei lavoratori inglesi,
mentre i nostri migranti non in competizioni con la maggior parte dei
nostri lavoratori.
Dal punto di vista della nostra cultura
politica dobbiamo prepararci a questo scenario. Ormai sempre più
governi annunciano misure a favore dei lavoratori dei propri paesi a
partire dagli Usa di Obama. O no?
Il mondo orribile del
neoliberismo ha al di sotto una dimensione ancora più orribile che è
quella del mondo post-neoliberista e iperprotezionista. E' quello che
successe tra gli anni 20 e 30. Prepara le peggiori catastrofi belliche,
razziali, totalitarie. Il rimbalzo protezionista dopo l'ubriacatura
liberista è micidiale.
Può innescare una spirale in fondo alla
quale c'è la guerra e la recrudescenza dei conflitti di razza. Dalla
crisi del '29 si è usciti con la Seconda guerra mondiale, mica con il
New Deal. Anche l'economista Samuelson dice di stare attenti
all'iperprotezionismo del quale, a casa nostra, è interprete Tremonti...
Certo, il protezionismo ha dentro di sé la guerra. Tremonti è molto
inquietante in questa sua involuzione verso il demos, cioè verso quella
dimensione che negli anni Trenta prese il nome di völkisch. Bisogna
fare attenzione a questa regressione verso l'identitarismo su base
nazionale o su base populistica. Il populismo protezionistico ha un
potenziale distruttivo immenso.
1.02.'09 da www.liberazione.it
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Aldo (non verificato)
Dom, 01/02/2009 - 20:13
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Aggressione fascista!
Anonimo (non verificato)
Lun, 02/02/2009 - 20:23
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E' LA SOLITA STORIA PRIMA