Giuliano Pisapia: "l'insostenibilità del pacchetto sicurezza".

Non è ragionevole pensare di risolvere problemi sociali col diritto penale. E' necessario, invece, approvare al più presto pochi interventi, efficaci

Giuliano Pisapia*

Sono ben note, ormai, le critiche al cosiddetto "pacchetto sicurezza", da molti definito, non solo propagandistico e demagogico, ma anche, e soprattutto, iniquo e inefficace. Giudizio non derivante da schemi ideologici ma fondato su dati oggettivi e sull'analisi delle politiche di prevenzione e repressione e degli strumenti utilizzati per garantire la sicurezza dei cittadini (basta citare, del resto, il totale fallimento del cd. "pacchetto sicurezza", approvato nel 2001 con la sola contrarietà della sinistra). Già altri si sono soffermati sull'inutilità di misure che equiparano i venditori di borse contraffatte ai boss mafiosi, e sull'assurdità di proposte, tanto roboanti quanto inconsistenti, che non inciderebbero minimamente sul dovere di garantire la sicurezza (problema reale che tocca soprattutto, ma non solo, i soggetti più deboli); e che, anzi, farebbero diventare preda delle associazioni criminali chi criminale non è. Il programma dell'Unione dava, anche su questo tema, risposte precise e concrete: ma quel programma, come ben sappiamo, è quotidianamente tradito da non pochi che sono stati eletti proprio sulla base di quel programma. Se si prende quindi atto che, purtroppo, data la situazione politica, sono illusorie riforme complessive, diventa ineluttabile ragionare su pochi interventi, purché realmente efficaci. Perseverare in proclami, politicamente e giuridicamente inaccettabili, minerebbe ulteriormente la credibilità del governo e dell'intero centrosinistra. Si esca, quindi, dalla "logica" che ha ispirato il cd. "pacchetto sicurezza" e ci si impegni per una rapida approvazione di poche e incisive norme, che abbiano anche capacità propulsiva per una riforma organica dell'intero sistema penale.

Per garantire la sicurezza è indispensabile una razionale politica di prevenzione e controllo del territorio (in un rapporto solidaristico con i cittadini) e che, in presenza di condotte illegali, vi siano sanzioni tempestive e proporzionate all'effettivo livello di colpevolezza. Minacciare, come avviene oggi, pene draconiane, per lo più ineseguite e ineseguibili (oltre il 90% dei reati rimane impunito), rafforza il senso di impunità, causa principale della recidiva. Ecco perche Rifondazione condivide la proposta di "giudizio immediato" (non a scapito delle garanzie!) per chi si trova in stato di detenzione: una sentenza in tempi brevi, limita i danni per gli innocenti e, oltre a incidere positivamente sulla recidiva, restituirebbe fiducia nella giustizia, soprattutto se, con la condanna, saranno previste condotte risarcitorie e riparatorie a favore delle vittime del reato. E' evidente, però, che un processo celere sarà possibile solo se diminuiranno (contrariamente a quanto vorrebbero alcuni sindaci) i fatti-reato, prevedendo immediate sanzione amministrative per chi non lede beni giuridici che necessitano di una tutela penale. Dimezzerebbero gli oltre 5 milioni di processi pendenti, i giudici potrebbero occuparsi dei fatti realmente gravi e diminuirebbero le sacche di impunità. Lo stesso si può dire per la proposta di estendere ai prefetti l'espulsione di stranieri per "motivi di sicurezza" (termine la così vago che potrebbe includere la mera partecipazione a assemblee o manifestazioni). Quale significato, se non propagandistico, può avere una simile proposta se non si è oggi neppure in grado di eseguire le espulsioni disposte dall'Autorità Giudizaria, dopo un regolare processo e una motivata condanna? Valida alternativa, e non vano esercizio muscolare, potrebbe essere quella di prevedere che la condanna sia scontata nel Paese d'origine o, per i reati non gravi, sostituire (come già oggi è possibile) la pena con l'espulsione.
Per quanto concerne una efficace lotta alla mafia, bisogna accelerare i tempi di destinazione a fini sociali dei beni sequestrati (oltre il 47% non è stato ancora assegnato) e approvare le altre norme, previste nel disegno legge, tese a rafforzare la lotta alla criminalità organizzata. Provvedimenti, però - ed è questo uno dei punti discriminanti - che sarebbero neutralizzati dall'approvazione, pure prevista nel "pacchetto", dell'obbligatorietà (di fatto) della carcerazione preventiva per reati che già oggi, in caso di pericolosità sociale, prevedono la custodia cautelare in carcere.

E che dire del fatto che circa la metà dei processi viene rinviato per errori o ritardi nelle notifiche? Perché allora - invece di parlare di "sociologia d'accatto" - non approvare subito una semplice modifica legislativa - quale quella delle notifiche anche via internet - unanimemente condivisa, da tempo all'esame del Parlamento e che porterebbe a risultati sorprendetemente positivi! E, parallelamente, inviare in Parlamento, dove già ne è stata calendarizzato la discussione, le proposte che prevedono, per molti reati, pene diverse dal carcere (interdittive, prescrittive, risarcitorie ecc.) e introducono nel codice penale istituti che renderebbero più celeri i processi e più facile il reinserimento sociale, con conseguente diminuzione dei reati e, quindi, maggiore sicurezza per tutti. Ragionevolezza vorrebbe, quindi che - oltre a non pensare di risolvere problemi sociali col diritto penale - si accantonassero proposte inique, inutili e irrealizzabili e si approvassero, invece - e al più presto - poche norme, in grado però di assicurare più giustizia e più sicurezza. No, quindi, al "pacchetto" prospettato dal Governo; sì, a interventi realmente in grado di incidere sul livello, sia reale che percepito, di insicurezza dei cittadini, senza però abbandonare la prospettiva di riforme organiche e complessive. Solo così, ne sono convinto, sarà possibile recuperare quel consenso ampiamente - ma non definitivamente - perduto.

* presidente della commissione del Ministero della Giustizia per la riforma del codice penale

Liberazione, 30/10/2007