Marcella Di Folco

CULTURA

La mia, la nostra Marcellona

Marcella Di Folco, leader del movimento trans ci ha lasciato. Un ricordo corale

Cosa scrivere e come scrivere della Marcella, una persona con cui ho condiviso e intrecciato un’esperienza personale e politica che definire “sensazionale” sarebbe riduttivo, un percorso lungo 25 anni, da quando, in una salottino del Senato, Giglia Tedesco (Pci) convocò una delegazione del Mit, il Movimento identità transessuale, per un incontro con Rosa Russo Iervolino allora ministra degli interni. Indimenticabile per me la scena finale dei saluti quando, come in un film di Fellini, Marcellona singhiozzando di gioia, abbraccia, fino a farla scomparire tra le sue spire, la ministra che in quel momento, confidenzialmente, per lei era diventata Rosa. Rosa con la sua vocina ringraziava e Marcella col suo vocione elogiava. La paura di essere banale nel parlare della Di Folcland (come confidenzialmente la chiamavo) per me è alta, la paura di non riuscire a dire tutto quello che andrebbe detto nello spazio di un articolo. Il rapporto che ci univa era profondo, durava nel tempo perché, per evitare le durezze della vita, avevamo fatto di una sana e salutare autoironia uno stile di vita. Non ci siamo mai prese sul serio, riuscivamo a dirci le peggio cose l’una dell’altra (le trans sono così), ma la serietà non è mai mancata quando ci si confrontava con la nuda vita, con i mille problemi e le infinite tragedie che assediano la vita delle persone transessuali. Marcella sapeva dove arrivare, ottenere il massimo per le persone trans e in quello si tuffava anima e corpo e… che corpo!
Dall’incontro con il Presidente Napolitano a quello con la trans malata anziana e senza casa, da quello con gli scienziati dello Hbgda (l’associazione mondiale professionale per la salute transgender) all’incontro con le trans brasiliane clandestine e senza diritti, con tutti metteva la stessa identica verve e dignità, non esistevano per lei limiti politici, morali o istituzionali nella rivendicazione dei diritti. Costava quel che costava, per la Marcella le trans dovevano vincere.
Del resto la sfida, oltre al mangiare, era la cosa che amava di più e in un paese come l’Italia in cui di sfide (anche di sfighe) ce ne sono mille al giorno, lei aveva trovato terreno fertile. Come dire…una ruspa! Non per niente a un concorso di Miss Alternative era stata nominata Diga Vaiont. Prorompente, come quando a un congresso nazionale dei Verdi, con i suoi centosettanta chili di stazza, facendosi largo tra la folla dei delegati a colpi di pancia e di gomiti, arrivata al cospetto dell’allora sindaco di Roma Francesco Rutelli gli disse: «A Francè se nun te comporti bene me te’nculo!». E quando, consigliera comunale a Bologna, pretese pubbliche scuse dall’opposizione di destra che l’avevano offesa nel suo essere trans. Mettendosi di traverso, una vera e propria barricata, il consiglio comunale non sarebbe proseguito senza quelle scuse, la vendetta politica delle trans!
A Marcella piaceva soprattutto divertirsi, per lei infatti la politica, le battaglie per i diritti, il lavoro al Mit erano soprattutto un gran divertimento: mezzo e fine, personale e politico, privato e pubblico coincidevano in quel grande, spropositato delirio trans che a noi piace definire “favolosità”, la linea guida dell’esperienza bolognese del Mit. Visto che i diritti, la dignità e quindi anche la gioia ci sono stati sempre preclusi, con Marcella era chiaro che ce li saremmo presi tutti, con un grande e, soprattutto, favoloso divertimento. Ci siamo divertite e continueremo a farlo ricordandola, grande, favolosa, Marcellona mentre prepari la rivoluzione davanti a un fumante piatto di fagioli con le cotiche, mentre intoni appassionate arie della Callas in viaggio verso i mille pride della nostra liberazione. Mentre sfili vestita da papessa benedicendo urbi et orbi i convenuti alla processione gaia organizzata per l’arrivo del papa a Verona. E mentre te ne vai, lasciandoci qui, alle cose di tutti i giorni, mi piace riportare, alla fine, una frase geniale di Foucault: «No, non sono dove mi cercate ma qui, da dove vi guardo ridendo».

Porpora Marcasciano

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