BUON VIAGGIO SANTE

 

 
Buon Viaggio Sante!

Buon Viaggio Sante!

Stefano Galieni

 

Sarà banale ma è difficile scriverne. Scrivere di Sante Notarnicola, che ci ha lasciato, significa raccontare una vita che è terribilmente interna ad un pezzo di storia rimossa di questo maledetto paese. Chi parla ha conosciuto di Sante solo una piccola parte, della sua storia, quella di quando a Bologna in zona Pratello, gestiva il suo “Mutenye” che solo chi non lo conosce può definire un “pub”. Era un posto “vero” di Bologna, in cui fra i tavoli incontravi spesso persone dal volto tracciato dalla storia, che lo frequentavano perché era casa di Sante e in mezzo, giovani non rassegnati all’indifferenza. Un passo indietro per chi è troppo giovane, fortuna sua. Sante arriva da Castellaneta (Taranto) a 13 anni a Torino, dalla madre. Per qualche anno è un quadro brillante della allora Fgci ma gli va stretta. Diventa operaio chimico, prova i turni massacranti e scopre quanto la rivoluzione sognata non abbia già più spazio nell’allora PCI. Sostiene con espropri proletari già dal 1959 i movimenti di liberazione anticoloniali, partecipa ai fatti di Piazza Statuto nel 1962 e lì la rottura diviene insanabile. Chi si scontra con la polizia viene chiamato, anche dall’Unità, “teppista” quando non “fascista”. Per Sante come per tanti altri è tempo di altre scelte. È il 1963 quando incontra un altro personaggio borderline della nostra storia, Pietro Cavallero ed altri comunisti come lui, di quelli che “volevano fare come la Russia”. Nasce la banda che di Cavallero prende, per la stampa, il nome, in 4 anni insieme a Adriano Rovoletto, Danilo Crepaldi, (partigiano) e Donato (Tuccio) Lopez, collezionano decine di “rapine proletarie”, in alcuni casi conclusesi nel sangue, il cui obiettivo era finanziare la rivoluzione, avventandosi soprattutto contro le banche, nella splendida canzone dei Gang dedicata alla vicenda si canta “Un tempo fu a Milano / dove si va a lavorare/ c’erano tante bande/ quante banche da rapinare”. Disperati? Forse Il 25 settembre 1967 l’ultimo colpo, 4 morti, 8 giorni di latitanza e poi l’arresto. Dalla vicenda, che occupa le cronache nazionali e in cui emergono simpatie verso i rapinatori anche se assassini, viene tratto il celebre film di Lizzani, “Banditi a Milano”. Sante è interpretato dall’allora in voga Don Backy, una ricostruzione da lui mai amata.. La condanna all’ergastolo per Notarnicola e Cavallero giunge velocemente. Ma Sante, era impossibile per lui, non si arrende. Comincia a combattere contro le condizioni carcerarie, rivolte cruente in cui si lotta per ottenere carta, matita, diritto a scrivere o ad avere più di un libro da leggere. Lotta, insieme agli altri, per l’amnistia, contro la tortura e le normative che porteranno nel 1986 al varo del famigerato 41 bis, nel 1976 tentò pure un’impossibile evasione dal carcere di Favignana. Di quegli anni, nel 2015 scrive nel volume “La farfalla, versi rubati” “Non ho nulla da vendere. […] ci ho messo 50 anni a diventare comunista. / E 20 anni 8 mesi e 1 giorno di prigione./ E 11 anni di carcere di massima sicurezza. E 5 anni di celle punitive. E la posta censurata. /E i vetri divisori ai colloqui […] E le cariche / dei carabinieri nei corridoi delle prigioni. / E il sangue nelle celle. / E il sangue dal naso. / E il sangue dalla bocca. / E i denti rotti. / E la fame all’Asinara. / E il silenzio obbligatorio al bunker della Centrale, a cala d’Oliva. / E i racconti dei torturati. / E i colpi contro la porta per non farti dormire. / E i colloqui respinti senza un motivo. / E la posta sottratta. / E il linciaggio del vicino di cella. / E il vivere col cuore in gola. / E la pressione che sale. / E il cuore che senti ingrossare. / E il compagno che se ne va con la testa. / E le divisioni a 5 nei cortili. / E le rotture politiche. / E le divisioni che teoricamente dovevano rafforzarci. / E il dilagare del soggettivismo. / E i vetri infranti ai colloqui. / E le rivendicazioni coi pugni chiusi. / E la ritirata strategica. / E gli scioperi della fame condannati. / E i sorrisi spariti. / E i soggettivisti sconfitti. / E gli odi tra compagni. / E le demolizioni personali. /E la disgregazione umana. / E le perquisizioni anali. / E le sei diottrie perse. / E l’assalto coi cani nelle celle. / E i compagni colpiti da schizofrenia. / E i primi tradimenti. / E la massa di dissociati. / E l’isolamento politico. / E la piorrea che avanza. / E gli anni che passano e i giorni che conti. / E i silenzi, i silenzi, i silenzi.

Diventa, conoscendolo suo malgrado, un simbolo di rivolta negli anni Settanta al punto che nella lista dei nomi indicati dalle BR per la liberazione di Aldo Moro, il suo è il primo di 13 nomi, anche se non ha mai fatto parte di questa né di altre organizzazioni. Sante in galera è il “compagno” di cui ci si può fidare, quello che non si vende e non ti vende. Intanto era uscito, nel 1972 il suo primo libro, “L’evasione impossibile” ne seguono altri, scopre di avere un talento poetico e si immerge in un linguaggio nuovo come quello della poesia. Pubblica altri libri Nel gennaio 1990 è finalmente in semilibertà, dopo aver girato le carceri di tutta Italia apre nel 1995 un’osteria che tutte le compagne e i compagni a Bologna e non solo conoscono, dal 2000 è un uomo libero. Nel 2001 esce “Mutenye, un luogo dello spirito. Parla di oggi? A chi legge il giudizio: “Coprendosi dietro la foglia di fico di un patriottismo d’accatto, i governi dominatori varano leggi liberticide che sfruttano un fantomatico nemico esterno per premunirsi contro l’eventuale insorgere di avversari interni. Gli immigrati perdono qualsiasi garanzia e divengono il bersaglio indifeso per eccellenza, il pretesto del terrorismo permette sempre più di “scremare” la mano d’opera schiavizzata tenendosi i docili e cacciando i recalcitranti: basterà chiedere il rispetto dei propri diritti sul luogo di lavoro, per essere tacciati di sovversione e ributtati al di là della frontiera, lasciando il posto a qualcuno più disperato e meno dignitoso, qualcuno disposto a chinare il capo e tacere. Le stesse leggi, poi, serviranno anche allo scopo di silenziare e imbavagliare gli oppositori che vanno aumentando di numero e capacità d’inventiva: mentre milioni di esseri umani nati e cresciuti nella fettina privilegiata del pianeta cominciano a mobilitarsi per affermare a gran voce che questo sistema economico sta conducendo l’umanità al disastro, i dominatori si dotano di strumenti per colpire massicciamente anche loro, gli “ingrati” che non si accontentano di consumare e ingrassare ma osano mettere in discussione l’impero dei sensi appagati… I bombardieri continuano a massacrare i civili, ma anche quando saranno rientrati alla base – in attesa della prossima missione, purtroppo – non rientreranno invece le leggi della barbarie e dell’inciviltà che permettono di colpire i più deboli e gli oppositori, cioè chiunque abbia una coscienza e abbastanza sensibilità da non poter tacere, nella totale indifferenza degli ignavi di sempre e con il beneplacito dei cialtroni che solo ieri hanno scoperto “quanto soffrono le donne afgane” dopo averle ignorate vilmente per decenni, e oggi inveiscono con la bava alla bocca contro i “disfattisti” che osano mettere in dubbio il fatto che “Dio lo vuole”, Gott mitt uns, “il Dio Mercato è con noi”…

Qualcuno, leggendoci, potrà considerare la tua storia di bandito e poeta ribelle poco educativa. Sante Notarnicola fino all’ultimo ha continuato a lottare contro il carcere, anche impegnandosi per garantire diritti ai detenuti e familiari durante la pandemia. Senza fermarsi se non di fronte alla malattia. Buon viaggio Sante.

P.S. anche con la sua morte, i quotidiani di regime, per ignoranza e/o revisionismo, hanno cercato di sporcare la storia di Sante facendolo parte di intrighi e accusandolo di crimini non compiuti, alla ricerca di verità di comodo utili per accomunare in un unico calderone l’universo carcerario. Ma Sante Notarnicola è stato unicamente e con tutte le sue contraddizioni, un figlio del suo tempo, che non aveva accettato la “via democratica al socialismo” e l’impossibilità di proseguire verso un percorso rivoluzionario. Per i suoi delitti ha pagato tutto (23 anni di carcere pieno e 5 di semilibertà), sul suo sito si incontrano tanto i ricordi di quegli anni quanto una lettera di Primo Levi e poi racconti, riflessioni, senza ipocrisia. Ma se si vuole raccontare la storia reale del movimento operaio, beh, ne fa parte anche lui come ne fanno parte i tanti e le tante che sin dal dopo guerra non hanno creduto di essere entrati nel migliore dei mondi possibili.

 

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