San Precario salvaci tu dal ministro Damiano!!!

 

 

Vorremmo tanto che fosse uno scherzo. Di quelli scherzi brutti, un pò volgari, che ti capita di subire il primo giorno di scuola alle superiori o chennesò al militare. Invece no, l'arroganza con la quale il nascente Partito democratico ed i suoi ministri stanno cercando di mettere in crisi questo governo lascia esterrefatti! La proposta di Damiano (e di Prodi) è peggio della legge 30, stabilizza ancora di più la nostra precarietà, prende a schiaffi la nostra dignità, offende prima ancora che farci incazzare. Siamo proprio furibondi/e e da settembre sarà battaglia. Sperando che San Precario nel frattempo non faccia un miracolo!

 

Rifondazione sulla lotta al precariato Questa proposta di Damiano è una presa in giro

Michele De Palma*
Tutti ne parlano ma nessuno li vede e li capisce. Sicuramente li colpiscono ogni volta che possono: sono i giovani. Se ne parla come fossero aborigeni nascosti fino a ieri in una foresta imperscrutabile, se ne parla in nome e per conto anche se si è ministri ultra cinquantenni o presidenti in pectore, ma l'importante non è parlarne. Vederli sarebbe già un passo avanti e loro in questi anni di passi ne hanno fatti tanti, nelle manifestazioni e nei cortei, a milioni hanno percorso le strade di una Italia diventata una camicia di forza. Costretti tra divieti e paternalismi, legati alla catena della precarietà per guardarli esibirsi nel salto del cerchio infuocato del mercato del lavoro. È l'esibizione del circo di casa nostra con una generazione costretta ai tripli salti mortali e nel contempo usata per sciogliere la rete di protezione sociale. Il primo anziano maestro circense, Mario Monti, invocò una manifestazione nazionale dei giovani contro i vecchi e finalmente è arrivato il giovane Daniele Capezzone a organizzare la marcia dei 40 mila per il prossimo settembre. "Il vecchio e il bambino" si sono presi per mano e camminano dritti, dritti verso il "mondo governato dai ragazzi" di pasoliniana suggestione.
Ma a questo punto si impone una domanda: chi sono i giovani? Ho l'impressione che si usi la categoria giovani per neutralizzarne desideri e bisogni. Giovani senza corpo né testa, ma figure retoriche di una politica senza coraggio né idee, incapace di guardare negli occhi chi oggi ha tra i 18 e i 30 anni, a meno che non siano giovani confindustriali. Sì, perchè si è giovani se vai in vacanza in Costa Smeralda ma anche se in Costa Smeralda ci vai per fare il cameriere al Bilionaire per pagarti l'università. C'è un fattore "P" che anche la politica dell'Italia di marzapane di Veltroni nomina solo nelle promesse di campagna elettorale ed è la precarietà. Come scriveva nell'editoriale di domenica Anubi D'Avossa è la vita violenta e violentata di giovani ricattati e stretti nella tenaglia tra patto generazionale e inafferrabilità dei diritti. Una morsa che frammenta e divide ulteriormente, che imprigiona nelle mura di famiglie con padri violenti in particolare verso le donne. Precarietà è parola che non si può nominare perché disturba l'impresa e la pace sociale, precarietà è parola troppo volgare per i raffinati politici e sociologi che dissertano d'antropologia giovanilista, precarietà è troppo vera per essere nominata. Meglio dire "i giovani"come generica copertura dell'indefinita anagrafe di una condanna che il governo non vede.
Non c'è più tempo, troppe sono le ansie e le aspettative: si sta da una sola parte. Non contro o per i giovani ma contro o per una aspettativa di futuro. Per crearla ci sono due precondizioni: deprecarizzare il mercato del lavoro e istituire il reddito finanziato attraverso la tassazione delle rendite finanziarie. Questo significa scegliere di aprire uno scontro con chi con l'abbassamento continuo del prezzo del lavoro negli ultimi 15 anni ha accumulato enormi profitti. Altre strade portano consapevolmente allo scontro generazionale, chi è al governo lo sa. Sa inoltre che lo scontro generazionale può essere usato per impedire quello tra la finanza, le imprese e quella generazione che vede ogni giorno peggiorare le proprie condizioni di vita. Damiano propone, forse, di eliminare lo staff leasing e il job on call : tutti sanno che sono soltanto alcune decine i lavoratori assunti con questi contratti. Poi c'è l'abolizione della sovracontribuzione sugli straordinari a carico delle imprese.
Se questa è la grande riforma potrebbe seppellirla una risata, peccato che c'è tanta ipocrisia che suona come una atroce presa in giro verso i giovani precari, i sindacati e la sinistra. Chi non arriva alla terza settimana ha imparato a non farsi beffare dal commerciante, come dal governo. In autunno ci sarà una grande manifestazione che travolgerà la precarietà così come è già successo in Francia: Prodi non chieda se ci saremo perché è già certo.
*Segreteria Nazionale Prc-Se

Liberazione 23.07.'07


Walter De Cesaris*


C'è una questione di metodo che è di sostanza. Non possiamo girarci attorno e non possiamo eluderla. La questione chiama direttamente in causa i rapporti nella maggioranza e dentro il governo. I fatti parlano chiaro. Sullo scalone, è stato chiuso un accordo negativo. La posizione con la quale il governo ha svolto la fase finale convulsa di quella trattativa non è stata concordata dentro la maggioranza. Susseguentemente, il ministro Damiano ha concluso un accordo con le parti sociali sul mercato del lavoro, i cambiamenti da effettuare sulla legge 30, incentivi e così via. Anche in questo caso, il ministro si è mosso senza aver concordato, né in sede collegiale di governo, né in sede politica, le misure da sottoporre al tavolo del negoziato.
Basterebbe questa considerazione, per semplice e banale che sia, per affermare che le posizioni che il governo ha assunto non ci impegnano. Il fatto, poi, che il Presidente Prodi abbia voluto celebrare quegli accordi vantandone la continuità con la concertazione del 23 luglio del 1992, è un aggravante, un motivo in più, anche per ragioni più generali, per affermare che non sono stipulati in nostro nome. Quindi, lavoreremo nel Paese e nel Parlamento per cambiarle.
Le parole possono essere pietre. Non si tratta di fare gli spacconi o di fare minacce al vento. Le parole vanno misurate e io le misuro attentamente per quelle che sono. Il ministro Damiano sostiene che l'accordo sul mercato del lavoro non è modificabile? La nostra risposta è molto semplice e non abbiamo bisogno di urlarla. O è modificabile e si modifica oppure non avrà il nostro voto. Semplice, chiaro e diretto. C'è, infatti, una questione più di fondo. La si può chiamare il problema della collegialità o come si vuole. Il punto è chi e come decide dentro la maggioranza e dentro il governo.

Noi abbiamo contestato l'idea e la pratica di una tolda di comando riformista cui poi gli altri, recalcitranti o meno, seguono. O c'è una condivisione, anche un compromesso dopo una discussione comune, oppure salta la possibilità di una intesa. Chi persegue la rottura e lavora per consumarla è chi vuole imporre una linea che non è condivisa e non è conseguente a quello che dice il programma che tutti assieme abbiamo sottoscritto. Bisogna dire la verità ovvero che l'offensiva del Partito Democratico dentro il governo sta portando alla dissoluzione dell'Unione e alla crisi. Non possono esistere due pesi e due misure. I centristi dell'Unione possono tranquillamente fregarsene di quello che hanno sottoscritto nero su bianco e affermare che una legge sulle unioni civili non passerà mai. Sembra che ciò non determini alcuno scandalo. Ne dovremmo semplicemente prendere atto e, infatti, nessuno si permette di compiere alcun affondo. Si, c'è un iter legislativo, ma, nella pratica, è su un binario mezzo morto. Lo stesso, più o meno, succede per il disegno di legge che deve sostituire la Bossi Fini e altro ancora che, in misura più o meno precisa, è comunque lungo le linee tracciate nel patto che l'Unione ha stabilito con il suo popolo.
Non è, naturalmente, in questione lo sforzo fatto per portare a casa comunque dei risultati. Il caso delle pensioni è emblematico. Non dobbiamo sottacerli perché sono il frutto di un braccio di ferro tutto giocato sulla politica da parte di Rifondazione Comunista e degli scioperi operai direttamente convocati dalle fabbriche e con il supporto decisivo della Fiom, in assenza di un conflitto da parte del sindacato confederale che non ha effettuato alcuna pressione di mobilitazione. Se vi è stato qualche risultato è stato grazie alla convergenza di quei due fattori.

Ma questo non cambia il dato politico di fondo e non muta il segno regressivo socialmente delle decisioni assunte e degli accordi stipulati. Anzi, assistiamo pure al gioco delle tre carte del ministro che rimette in discussione anche quello che di buono vi era nell'accordo. Il punto è cosa fare, adesso.
Siamo in un passaggio decisivo e drammatico. La sinistra rischia di essere spazzata via, non nella prospettiva futura della capacità di rifondarsi, ma qui e ora se non è in grado di aprire un conflitto vero, deciso e fino in fondo su questi temi brucianti dell'attualità. Parliamoci chiaro. Questo ci riguarda direttamente perché è messa in gioco la nostra autonomia. Non è una partita a scacchi, né il gioco a chi rimane alla fine il cerino in mano.

Qui sta il senso dell'offensiva sociale dell'autunno, della manifestazione nazionale unitaria e della consultazione popolare che intendiamo promuovere come un vero evento partecipativo. Noi non ci faremo chiudere nell'angolo in cui la scelta che ci rimane è la corda con cui impiccarci: o la subalternità di chi recalcitra e poi beve o la chiusura settaria in una protesta senza sbocco, ugualmente incapace di incidere e produrre risultati. Sarà una offensiva unitaria e di popolo. Deve avere contenuti precisi anche di modifica degli accordi che una parte del governo ha fatto, arrogandosi il diritto a parlare in nome di tutti. Deve avere un obiettivo politico: una nuova stagione politica riformatrice fino a rivedere i rapporti dentro la maggioranza e il governo. Una offensiva senza ipocrisie e senza reti di protezioni. Nulla può essere escluso e l'esito non lo si scrive in precedenza. E' così in tutti i conflitti veri.

*Deputato Prc-Se, Segreteria Nazionale


Liberazione, 27/07/2007

_____________________________________________________________________________________________

Cocoprò, a termine, interinale Il Protocollo ti lascia precario
Nessun miglioramento con il testo Damiano. Così il ministro ha stravolto il Programma dell'Unione
di Antonio Sciotto "il manifesto" 29.07.'07

Sei cocoprò? Con il nuovo Protocollo del governo puoi rimanerlo a vita, licenziabile in ogni istante. Esattamente come sotto l'esecutivo Berlusconi. Sei interinale? Anche in questo caso: il tuo contratto può essere ripetuto all'infinito. Sei a tempo determinato? Sommi contrattini fino a 36 mesi. E dopo? Vai con l'impresa e un assistente sindacale presso la Direzione provinciale del lavoro: se c'è il tuo consenso si può fare l'ennesimo contratto a termine. E' ovvio che sarai forzato, pur di non perdere il posto, a firmare. Esattamente (fatta salva la forma) come sotto il governo Berlusconi. Stiamo parlando di almeno 3 milioni e mezzo di persone in Italia (appunto i precari: 1 milione di parasubordinati, oltre due di contrattisti a termine, diverse centinaia di migliaia di lavoratori interinali) per cui il Protocollo del welfare non cambia una virgola rispetto al passato: rimangono kleenex , fazzolettini usa e getta nelle mani delle aziende.
E così è davvero incomprensibile che il ministro del Lavoro Cesare Damiano difenda il Protocollo (Repubblica di ieri) parlando di «netta discontinuità con l'esecutivo precedente», perché chi sta nei posti di lavoro non ha visto la sua condizione migliorare. Il ministro poi passa a una quasi surreale difesa della legge 30, dopo che lui stesso, come estensore del Programma dell'Unione, ha scritto (pag. 162) che la coalizione «è contraria ai contenuti della legge 30 e dei decreti 276 e 368» e «punta al superamento della legge 30». Rispondendo a una domanda sulle critiche della sinistra alle attuali modifiche della 30, infatti risponde: «Allora bisognerà mettersi d'accordo, perché non si può scoprire che gli effetti della legge 30 sul mercato del lavoro sono stati modesti e poi farci sopra una battaglia politica». Dunque sbaglia chi chiede almeno le modifiche annunciate nel programma?
Nel Programma dell'Unione (sempre pag. 162) Damiano scriveva anche: «Proponiamo che le tipologie di lavoro flessibile siano numericamente contenute e cancellate quelle più precarizzanti: ad esempio il job on call, lo staff leasing, il contratto di inserimento». Se lo stesso ministro del Lavoro ha scritto nel 2006 il Programma e, qualche giorno fa, il Protocollo sul welfare, perché oggi si limita a cancellare soltanto il job on call?
Affermare infine che c'è stata una svolta con l'assunzione di 18 mila lavoratori dei call center non solo offende i restanti 3 milioni e mezzo di precari ancora a piedi (ne costituiscono un timido 0,5%), ma fa saltare all'occhio la triste realtà degli stessi operatori telefonici: 40 mila outbound non sono stati assunti proprio a causa della «Circolare Damiano», che permette di escludere dal lavoro dipendente chi fa le telefonate invece di riceverle. Le stabilizzazioni, poi, si sono arrestate al 30 aprile scorso, data limite degli incentivi in finanziaria. Migliaia di operatori, anche inbound, sono ancora precari.
Ma ora analizziamo alcune parti del Protocollo, per vedere come non si annuncino svolte per il futuro.
Contratti a termine: la proposta Damiano rinnega il Programma dell'Unione, dove si dice (sempre pagina 162): «Crediamo che tutte le tipologie contrattuali a termine debbano essere motivate sulla base di un oggettivo carattere temporaneo delle prestazioni richieste e che non debbano superare una soglia dell'occupazione complessiva dell'impresa». Infatti, nel Protocollo si lascia (così come nella riforma 368 del 2001 di Berlusconi) completa libertà al datore di lavoro sulle causali per accendere i contratti a termine, mentre addirittura si impedisce ai contratti nazionali di porre tetti «in caso di avvio di attività d'impresa, attività stagionali e sostituzioni», peggiorando dunque la stessa normativa berlusconiana. Ma è il «tetto dei 36 mesi» il vero capolavoro, perché anche qui, seppur mascherato da un miglioramento, si profila un peggioramento rispetto all'oggi. Il protocollo prevede che dopo una somma di 36 mesi di contratti a termine, se l'impresa vorrà farne uno nuovo, dovrà recarsi con il lavoratore, assistito da un rappresentante sindacale, presso la Direzione provinciale del lavoro. Non essendoci causali per i contratti a termine, che mezzi avranno il lavoratore e il sindacato per opporsi? In pratica si chiede di certificare la permanenza nella precarietà (potrebbero peraltro fiorire sindacati accomodanti), impedendo di fatto al lavoratore di fare causa (oggi, al contrario, c'è almeno lo sbocco legale). Insomma, si va all'ufficio pubblico solo per mettere un timbro. Altro che tetto di 36 mesi: la «via Damiano» permette la reiterazione all'infinito. Per porre un'alternativa efficace ed equa per il lavoratore, la sinistra potrebbe pescare ad esempio nella Proposta di legge Alleva o in «Precariare stanca»: prevedono l'obbligo di assunzione a tempo indeterminato dopo un limitato periodo di contratti a termine.
Lavoro interinale: i «fratellini minori» dei contrattisti a termine, quelli che cioè passano per le agenzie di lavoro in affitto, non hanno neppure la finzione del tetto. La somministrazione resta libera e reiterabile all'infinito, senza causali né tetti.
Job on call: attenzione perché non è che il Protocollo elimini del tutto il lavoro a chiamata. E' vero che propone di abrogarlo, ma poi mira anche a creare una commissione per «definire una forma di part-time per brevi periodi che potrebbe assumere la stessa funzione».
Staff leasing: non solo la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato non viene eliminata, ma addirittura si stanziano risorse per incentivare le agenzie interinali ad assumere. Una commissione studierà come riformare lo strumento.
Part time: i contratti collettivi possono introdurre le cosiddette «clausole elastiche» (cioè la possibilità per l'impresa di cambiarti il turno a suo piacimento), ma possono opporre rifiuto solo i lavoratori/trici che hanno «comprovati compiti di cura».
Lavoro a progetto: i cocoprò, i cosiddetti «giovani», vengono utilizzati per finanziare la riforma dello scalone. Ben 4,4 miliardi sui 10 complessivi verranno dall'aumento dei loro contributi (1 punto ogni anno dal 2008 al 2010). Dunque non solo sembrano condannati a rimanere precari (pure qui si invita la sinistra a pensare anche a loro, pescando dalle sucitate proposte di legge), ma per giunta dovranno pagarsi l'aumento con il loro netto, poiché non viene indicato che l'aumento dovrà pesare sul datore di lavoro. Non sarebbe molto meglio, anche per sostenere la riforma delle pensioni con maggiori risorse, parificarli ai dipendenti?