Uguaglianza, libertà, liberazione per il socialismo del XXI secolo. Intervista a Fausto Bertinotti sulla Sinistra Europea.

 


 

Il Partito della Sinistra europea (Se) è nato a Roma nel 2004 e domani a Praga inizia il suo secondo Congresso. Fausto Bertinotti, dalla sua fondazione, ne è stato il presidente. Dopo tre anni, lascia quel ruolo in cui è stato designato Lothar Bisky, presidente della Die Linke in Germania. L’incontro con Fausto Bertinotti è l’occasione di una discussione a tutto campo sulla sinistra, la necessità della sua innovazione a fronte degli sconvolgimenti di questi anni, come si pone il tema della trasformazione nel nuovo millennio, le ragioni di fondo che chiedono nuovi processi unitari.

Puoi tracciarci un bilancio dell’esperienza della Se dal 2004 ad oggi ? Quali sfide si sono vinte e quali processi politici si è riusciti a innescare?

Partirei da una considerazione: l’intuizione, l’idea che si è proposta per la costruzione del Partito della Se coglieva un’esigenza politica. Il processo di costruzione di quel progetto ha confermato l’esigenza di costruire un soggetto politico della Se, non sulla base di una pregiudiziale costruzione ideologica, con delle affiliazioni prodotte da un’adesione alle proprie dottrine, ma sulla base dell’idea di un’altra Europa, la cui costruzione risulta sempre più necessaria, sia per i problemi mondiali, dalla guerra al terrorismo all’insorgere di nuovi problemi di squilibrio, di crisi, di povertà o di grandi questioni che si affacciano sulla politica in termini dirompenti, in cui non sai immaginare la risposta se non a partire dal ruolo dell’Europa. E, dentro l’Europa, la costruzione di una sinistra. Una sinistra erede della storia del movimento operaio, non gendarme della tradizione, ma in grado di proporre una nuova idea della sinistra che raccolga l’eredità, cioè la ragione della nascita della sinistra, cioè l’ascesa del movimento operaio, il tema della liberazione. Strada facendo, altri soggetti si sono aggiunti oltre i promotori delle classiche categorie iniziali delle varie forze politiche, comunista, socialista, socialdemocratica, verdi, e ciò è indicativo che l’intuizione era giusta. Questa famiglia si è allargata con ingresso di forze, da ultimo è stata accettata la formazione di Respect, formazione interessante, ma diversa. sia per collocazione geografica, la Gran Bretagna, sia perché è nata e si è costruita su una storia assai diversa da quella della sinistra continentale. Su questa aspirazione e necessità di una sinistra europea abbiamo fatto delle cose. Essenzialmente abbiamo favorito delle battaglie che venivano condotte nei diversi Paesi. La lotta in Francia contro il Trattato costituzionale, ha fatto nascere la prima esperienza di sinistra europea di massa, sia per il fatto che la critica al Trattato veniva da sinistra per la sua natura liberista e per non essere portatore di un’istanza di pace. La sinistra europea ha favorito la nascita di una soggettività politica Die Linke in Germania, non casualmente il frutto di un processo unitario di forze per loro natura diversa, dai compagni della Pds, a un sindacalismo di sinistra, a una collocazione socialdemocratica di Lafontaine che ha dato luogo a un’originale costruzione politica assai importante, che si afferma come protagonista della vita politica tedesca.

Adesso dicci, secondo te, qual è il limite fondamentale che pensi di poter individuare nell’esperienza del Partito della Se fino ad oggi. Limite su cui occorre intervenire per essere all’altezza delle grandi sfide di cui parlavi.

Il limite della Se è essenzialmente quello di non essere riusciti ancora a far vivere in proprio e direttamente delle battaglie di massa e su scala realmente europea, cioè la possibilità di progettare una campagna. Sul tema gigantesco della precarietà, ad esempio, sento che abbiamo arato il terreno, ma non abbiamo ancora completato una semina convincente. A Lisbona qualche settimana fa manifestano duecentomila persone, una manifestazione davvero imponente, che indica che c’è una domanda e credo che questo potrebbe essere davvero la nuova fase della Se, la capacità di progettare e far vivere una grande esperienza unitaria, delle vere grandi battaglie vertenziali, una di quelle fondamentali potrebbe essere la lotta alla precarietà.

Come si pone oggi in Europa il tema del rapporto politica, partiti e movimenti (il 20 ottobre a Roma, Lisbona, la ripresa degli scioperi

in Francia,ecc.)?

Uno dei problemi essenziali è il rapporto tra politica della sinistra e il movimento. Anche qui, l’intuizione è stata feconda perché dall’inizio abbiamo detto che uno degli elementi costitutivi della nascita del Partito della Se era il suo processo di costruzione in un rapporto privilegiato con i movimenti. Eravamo favoriti per la nascita e il rapporto diretto con il diffondersi e l’affermarsi del movimento altermondialista, dei forum sociali in Europa e nel mondo, con il movimento della pace che esprimeva una soggettività, un’unitarietà, pure con il massimo dell’articolazione.

Noi siamo ora in un’altra fase. E non solo per i depositi che i movimenti hanno lasciato sul territorio, le lotte di comunità, ma anche esperienze importanti di ripresa del conflitto di lavoro, di un suo nuovo protagonismo, ad esempio in Francia lo sciopero generale dei lavoratori dei trasporti, a detta di tutti, ha visto una partecipazione superiore alla grandissima stagione del ’95 che pose le basi per la vittoria della sinistra. E’ stata ricordata la grandissima manifestazione del 20 ottobre a Roma. Insomma, la contaminazione del deposito è reale e quando si danno occasioni, si hanno grandi espressioni di mobilitazione, ma con un andamento del movimento diverso da quello della fase ascendente della nascita. In questi nuovi termini dovremmo andare a un’analisi più matura del movimento con la sua forza e i suoi limiti. Per esempio, credo che vada indagato lo stato della questione del lavoro, non solo sul grande tema

della precarietà, ma anche sulla riorganizzazione del lavoro, sia nella dimensione economica che in quella del diritto e in quella politica. Per fare un esempio grossolano un altro pezzo a cui bisogna mettere mano: un sindacato militante come quello dei metalmeccanici si è portato ogni volta sul terreno su cui si apriva un fronte di lotta diverso da quello classico del conflitto di lavoro, dalla Tav a Vicenza. Quando c’è lo sciopero dei metalmeccanici sul contratto è difficile vedere che accada viceversa. Questo elemento non parla solo del rapporto tra lavoro e società e tra i diversi soggetti, ma parla anche dell’insufficienza del nostro ruolo, della politica della sinistra. Questo pone un problema grandissimo. Anche in certe esperienze del rapporto tra la sinistra e il governo, come quella italiana, questo tema del rapporto con il movimento va reindagato al fine di comprendere come un’aspirazione riformatrice batti il passo o non dia il risultato atteso e non per scadere nell’elemento binario se stare o no al governo.

Come si colloca,in questa nuova fase, la sfida tra destra e sinistra e come questa si intreccia alla crescita dei movimenti e ai conflitti complessi che attraversano la società dentro una crisi sociale e culturale drammatica come quella attuale?

Nella fase di ascesa del movimento altermondialista, si poteva pensare a un rapporto tendenzialmente univoco, dal movimento alla politica, come una sollecitazione alla politica di aprirsi e di riformarsi; oggi a me pare che la questione sia più drammaticamente complessa, forse anche per il mancato sfondamento nostro e del movimento contro le politiche neoliberiste di guerra nel senso di costruzione di alternative praticabili e praticate. Noi abbiamo, insieme al conflitto destra e sinistra, l’evidenziarsi nel grande corpo dell’Europa del conflitto tra alto e basso, un conflitto in cui delle realtà sociali consistenti, identificabili come tali, non riescono a intercettare una politica in grado di dar loro una traiettoria condivisa di cambiamento e entrano in conflitto con il sistema. L’esperienza delle banlieue in Francia è uno dei casi di maggiore evidenza di questa rottura e di questo conflitto tra alto e basso. Ma io penso che in questa crisi di civiltà che il capitalismo moderno totalizzante ha aperto nel cuore dell’Europa, si configura anche il conflitto amico/nemico. Nella tendenza, determinata anche dalla paura e dall’impossibilità di aderire a una coscienza di classe o comunque a una coscienza più generale di critica della società, in una condivisione di una soggettività per quanto diversificata, unitaria anche a livello sociale, la paura che ti prende nei confronti di un problema irrisolto fa scattare il meccanismo del capro espiatorio, cioè della distruzione di quello che seppur impropriamente viene identificato come il portatore della causa di quella insicurezza. Secondo me, si dispongono nella società tre ordini di conflitto: destra/sinistra (compreso il conflitto di classe o il conflitto tra ambiente e rapina dello sviluppo capitalistico o il conflitto tra istanze che, provenendo dal genere, criticano l’ordinamento patriarcale della società) e terreni che invece non riescono a essere riaccolti in questa contesa. come quello tra alto e basso e amico/nemico.

Penso non per una civetteria o per una citazione gramsciana che stiamo tornando obbligatoriamente a non poter far più il conto su supplenze che ci vengono dalla forza del movimento operaio organizzato, dalla forza dei movimenti, cioè da potenze prevalentemente determinate dalla storia o dalla spontaneità del disporsi di grandi forze del conflitto. Occorre affrontare la questione della formazione della coscienza, cioè dell’organizzazione della politica, capace di porre il tema dell’egemonia, cioè della determinazione di quei sensi comuni, di quelle culture entro i quali il conflitto possa ritrovare una capacità riformatrice, propositiva di organizzazione, di fuoriuscita dall’assedio, in cui invece oggi siamo.

E’ dentro questo nuovo quadro che si pone la necessità dell’innovazione e dell’unità a sinistra?

Anche se rischio di essere tacciato di meccanicismo, se c’è all’ordine del giorno la questione dell’egemonia, non può essere scartata la questione del soggetto politico che, senza alcuna ambizione autarchica, senza alcuna idea del nuovo principe, senza alcuna idea di neocesarismo, insieme alla costruzione dei movimenti, insieme alla costruzione di cultura politica, sia in grado di affrontare il tema dello spostamento delle forze e della formazione delle opinioni. Questo è quello che mi fa dire che è una questione di vita o di morte per la sinistra, se per sinistra intendiamo gli eredi delle questioni poste dal movimento operaio nel novecento, irrisolte o sconfitte malgrado i grandi cambiamenti; non una sinistra dei cittadini, ma per una sinistra che voglia porsi il tema insieme della libertà e dell’uguaglianza nella società contemporanea, che voglia porsi il tema del socialismo del XXI secolo. Per questa sinistra, noi siamo ad un passaggio cruciale di vita o di morte. C’è la necessità di un soggetto unitario e plurale in cui l’esperienza della Se ci possa incoraggiare a questo passaggio, come del resto è avvenuto in Germania.

Noi abbiamo fatto un’analisi secondo me adeguata dei poteri economici e dei poteri sopranazionali e cioè di quello che sta a ridosso della macchina della riorganizzazione del capitalismo, credo però che sulla destra, avendo d’avanti la destra italiana, non sempre riusciamo a vedere che cosa si sta muovendo. Se guardiamo a Sarcozy, ci rendiamo conto che c’è una destra che non è semplicemente una destra del denaro e del potere economico, ma si propone un’alleanza fra questo e una nuova idea di fondazione della politica, magari proprio su carattere nazionale, sebbene possa sembrare del tutto spiazzata dai processi di mondializzazione ed europeizzazione (e non è detto che lo sia). Dobbiamo guardare anche a ciò che si muove nel centrosinistra. Nel centrosinistra, direi in grosso modo, che noi vediamo la propensione a costruire dei partiti con una cultura liberal-sociale, partiti di estrazione non classicamente socialdemocratica, il cui esempio è il Partito democratico, un salto verso la cultura americana. Veltroni e Segolene Royale sono i due interpreti di questa idea, di un partito

del leader e di opinione in cui a formare l’opinione sono i cittadini una volta che abbiano deposto, prima di entrare nell’arena della politica, la loro propensione sociale, sessuale, materiale. Questa condizione, proprio per questo carattere, ci mette a rischio perché, siccome si presenta sul terreno dell’opinione, può ammiccare a sinistra dicendo “fai come vuoi nella società, sii più radicale possibile, fai le lotte ambientaliste, fai le lotte sindacali, soltanto ricordati ogni cinque anni di votare per me”. Questa attrazione è tanto più grande in quanto manca un soggetto organizzato, forte, della sinistra che sia in grado di riaprire la questione della trasformazione della società capitalistica nel nostro tempo. Tuttavia questa linea per la costruzione del programma fondamentale di questa soggettività, che deve essere aperta alle diverse esperienze, ha bisogno di proporre un investimento anche sentimentale. Uno deve poter trovarsi in una comunità. Quest’istanza della comunità noi non possiamo tenerla fuori dalla costruzione della nuova soggettività politica, anzi dobbiamo immetterla. Nell’esperienza italiana, anche la concreta costruzione della Se che si è avuta, secondo me, può essere messa a frutto. Quello che abbiamo fatto a livello europeo non solo ci aiuta a capire l’esigenza della costruzione in Italia del soggetto unitario e plurale, ma l’esperienza concreta della Se in Italia ci ha allenato e ci ha messo in rapporto con interlocutori venuti da storie diverse, e in qualche modo ci ha indotto a riflettere su come si può stare insieme tra storie diverse ma uniti da un progetto politico per il futuro.

Sinistra Europea (Liberazione), 22/11/07